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Bandersnatch: Pillola rossa o pillola blu?

Pillola rossa o pillola blu? Il fulcro di Bandersnatch, film interattivo di Black Mirror firmato Netflix, si trova proprio nella proposta di Morpheus in Matrix. Ossia, scegliere. Solo che questa volta non è Neo a decidere: siamo noi, con il touchpad o un mouse, a far progredire la storia, partendo da decisioni banali e arrivando a quelle cruciali e decisive. Riuscirà il protagonista, Stefan (Fionn Whitehead) a coronare il suo sogno di programmare e pubblicare un videogame interattivo?


“E vedrai quanto è profonda la tana del Bianconiglio”. Proseguiva così Morpheus, nel 1999, quando gli allora fratelli Wachowski avevano regalato alla settima arte uno dei connubi meglio riusciti tra fantascienza e filosofia, tra cinema e le pagine di Lewis Carroll, che ora tornano prepotenti e culminanti con un esplicito attraversamento di specchio da parte del protagonista.


Ma non ci si limita a questo, perché la dimensione videoludica è centrale, ovviamente, e allora PAC Man diventa acronimo di Program and Control e l’icona arcade una metafora dello stato in cui vive l’essere umano, ossia ignaro di essere in un eterno labirinto, convinto di vincere e di cibarsi mentre i suoi fantasmi lo rincorrono in eterno. Black Mirror, dopotutto. Oltre che un richiamo esplicito a The Truman Show, che riprende vita in uno dei finali alternativi.


Ma siamo davvero liberi di scegliere? Esiste veramente il libero arbitrio? O siamo burattini in balia di decisioni prese da qualcun altro, figli di una trama già scritta e predefinita? Questi interrogativi sono il cuore pulsante di Bandersnatch, che trova nel gaming, negli Easter egg nell’interazione e nell’atmosfera 80s – 1984, nello specifico, con omaggio a Orwell – un terreno fertile in cui coltivare riflessioni importanti. Risulta abbastanza infruttuoso concentrarsi sulla trama di un’operazione chiaramente stilistica (e sicuramente riuscita sotto questo aspetto) benché perfettibile e con difetti, ma a suo modo intrigante nello sviluppo.


Il fatto che sia lo spettatore a scegliere l’evolversi della trama (ma, occhio, non sempre, e a volte si torna indietro come ad un checkpoint di salvataggio) è un modo per dirci che il gaming e il watching sono delle attività, non delle passività, in cui noi mettiamo qualcosa di nostro. In cui possiamo scegliere ancora qualcosa, forse.


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