News
Cannes 2017: le nostre impressioni sul programma della settantesima edizione!

Il programma della 70esima edizione del Festival di Cannes  è stato annunciato stamattina nel corso di una tradizionale conferenza stampa parigina, tenuta naturalmente da Pierre Lescure e Thierry Frémaux, rispettivamente presidente e delegato generale della rassegna cinematografica più prestigiosa al mondo (“Speriamo che Corea del Nord e Siria non compromettano questo festival che vorremmo stabile e festoso”, hanno esordito entrambi). L’abbuffata di nomi d’impatto è come sempre stordente, ma l’edizione del settantesimo anniversario presenta, un po’ alla luce dei titoli effettivamente pronti un po’ casualmente, delle apparenze lontane dalla grandeur che molti avevano preventivato in concomitanza di un anniversario così prestigioso. Il che non dispiace, perché stavolta c’è spazio per qualche nome nuovo in più e per un maggiore, potenziale eclettismo, anche e soprattutto in concorso, che tuttavia non rinuncia, laddove possibile, a restare guardingo.

Si tratta, naturalmente, di un programma conservatore e fedele a se stesso come puntualmente Cannes risulta essere, perfettamente a immagine e somiglianza di Frémaux, direttore artistico con un’idea di cinema precisa e rigorosa ma non certo ariosa e schizoide (ma anche simpaticissimo, però, quando ci si mette: “tutti i film con la neve sono interessanti”, ha detto stamattina). I nomi blasonati e con una storia già ragguardevole alle spalle trovano puntualmente posto nei ranghi del concorso anche quest’anno, con una puntualità che di fatto coincide con l’irrigidimento ma che contemporaneamente incontra sulla sua strada il meglio del cinema internazionale di ogni singola annata. Le edizioni del passato anche recente, in tal senso, parlano sufficientemente chiaro.

Tra i film più attesi di Cannes 70 ci sono senz’altro Les Fantomes d’Ismaël di Arnaud Desplechin, film d’apertura fuori concorso, e una sfilza di opere in competizione: il nuovo film di Noah Baumbach (una “promozione” meritatissima per un autore chiave dell’oggi, spesso troppo sottovalutato), che porterà sulla Croisette The Meyerowitz Stories con Adam Sandler, Emma Thompson e Ben Stiller; Okja di Bong Joon-Ho con Jake Gyllenhaal e Tilda Swinton, probabile conferma della graffiante profondità metaforica del cinema dell’autore (lo stesso Frémaux, in conferenza, l’ha definito un film “assai politico”); The Beguiled di Sofia Coppola con Kristen Dunst, Elle Fanning, Nicole Kidman e Colin Farrell, remake de La notte brava del soldato Jonathan di Don Siegel; Geu-Hu di Hong Sangsoo che dirige nuovamente Isabelle Huppert; The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos, anch’esso con la coppia Kidman-Farrell; Le redoutable di Michel Hazanavicius, biopic con Louis Garrel nei panni scomodi e scontrosi del regista Jean-Luc Godard; L’amant double di François Ozon.

Per  non parlare dei nuovi film di Michael Haneke, unico regista in gara quest’anno ad aver vinto la Palma d’Oro (nel suo caso ben due) che fa a pezzi la borghesia contemporanea in Happy End, con Isabelle Huppert e Jean-Louis Trintignant, di Toddy Haynes, alle prese con un coming of age con Julianne Moore nei panni di una rockstar in Wonderstruck e di Lynne Ramsay, che torna dietro la macchina da presa dopo sei anni con You Were Never Really Here, con Joaquin Phoenix nei panni del protagonista. Non ci sarà nessun italiano in concorso, ma non è una sorpresa: nessuno dei nostri autori di punta aveva un film pronto in concomitanza dell’edizione n° 70 (forse nemmeno Paolo Virzì e il suo esordio oltreoceano The Leisure Seeker, a questo punto proiettato verso Venezia e l’Award Season dell’autunno) ed è davvero difficile, fatta eccezione per pochi, selezionati nomi, agguantare un exploit come quello che che nel 2014 portò a casa Alice Rohrwacher con Le meraviglie, ritagliandosi uno spazio in Concorso e vincendo anche un grosso premio come il Grand Prix.

Gli allarmismi sul cinema di casa nostra, che sono semmai da dirottare su altri fronti, non dovrebbero però abitare qui, avendo la massima sezione competitiva di Cannes una selezione serrata e feroce, in gran parte sulla base di un’autorevolezza e una nomea già acquisite, che non può certo stabilire in un colpo solo lo stato di salute di un’intera cinematografia nazionale. Nella sezione Un Certain Regard, dove ad aprire sarà un altro autore francese, Mathieu Amalric col suo nuovo Barbara, hanno invece trovato posto due film italiani: Fortunata di Sergio Castellitto con Jasmine Trinca e Stefano Accorsi, definito da Thierry Frémaux “un Mamma Roma in chiave contemporanea” (sic), e Après la guerre di Annarita Zambrano, co-produzione italo-francese. Sempre nella seconda sezione della kermesse, per blasone e visibilità, si accomoderanno anche il nuovo lavoro di Kiyoshi Kurosawa, L’atelier di Laurent Cantet, altra Palma d’Oro, Les filles d’Avril di Michel Franco e l’esordio di Taylor Sheridan con Wild River.

Il fuori concorso, come sempre in quel di Cannes, non manca di mostrare i muscoli ed è composito, variegato, di spessore. Oltre alla première mondiale dei primi due episodi dell’attesissima terza stagione di Twin Peaks di David Lynch, un evento che da solo catalizzerà l’attenzione mediatica a più livelli, ci saranno due film coreani tra le proiezioni di mezzanotte (insieme a Claude Lanzmann, un altro film Hong Sangsoo, il primo film da regista di Vanessa Redgrave), una nuova fatica di Takashi Miike, Agnès Varda e l’atteso How to Talk to Girls at Parties, diretto da uno dei registi chiave del new queer cinema John Cameron Mitchell, alle prese stavolta con un incrocio folle tra il mondo alieno la Londra suburbana (era finito fuori concorso già con Shortbus, e con dei nomi come lui ci vorrebbe forse più coraggio, di tanto in tanto).

Stupisce l’assenza in blocco del cinema sudamericano (che l’overdose degli ultimi anni abbia prodotto un senso di saturazione), ma anche molti dei nomi inseriti in concorso o nelle sezioni limitrofe sono in parte lontani dalle liturgie di Cannes, creando un circolo di idee e speranze positivo e senz’altro variegato (Baumbach, Fatih Akin e la Ramsey in concorso, ma anche altri registi meno noti e che danno meno sicurezze del solito sparsi qua e là). Fa strano non vedere Loach, i Dardenne e Nuri Bilge Ceylan, per citare dei registi archetipici di Cannes e affezionati seriali del festival, ed è anche inevitabile che Frémaux sopperisse alla loro assenza con qualche sussulto diverso. Da ciò a rendere Cannes “un Festival laboratorio”, com’è stato detto in conferenza stampa, ce ne passa, ma è salutare che anche Cannes mantenga dei punti di contatto col mondo e col presente (c’è pure Netflix, naturalmente, col film di Bong e con Baumbach e non, stranamente, con War Machine, che aveva Brad Pitt nel cast).

Tra i fiori all’occhiello anche il ritorno della miniserie di Jane Campion Top of the Lake, ancora con Nicole Kidman (mattatrice dell’edizione con ben quattro film, tra cui anche quello di John Cameron Mitchell) e tra le punte di diamante della serialità contemporanea, un Kiarostami postumo (24 Frames) e il primo cortometraggio da regista di Kristen Stewart, Come Swim. A pochi giorni dall’annuncio del primo concorso in Virtual Reality della Mostra del cinema di Venezia Cannes risponde a suo modo, ovvero facendo le cose in grande e scomodando addirittura il due volte premio Oscar Alejandro González Iñárritu, del quale verrà mostrata l’installazione Carne y Arena, fotografata manco a dirlo da Emmanuel Lubezki (un film di un’ora e venti e non un corto, come Frémaux ha fatto erroneamente intendere in conferenza).

Tra i grandi assenti spiccano D’Après une histoire vraie di Roman Polanski e sceneggiato da Olivier Assayas, che proprio qualche giorno fa ci aveva confermato che il film fosse ancora in fase di montaggio e che lui stesso non aveva visto nulla, e Mektoub is mektoub di Abdellatif Kechiche, che tuttavia, secondo i più informati, potrebbe trovare posto in cartellone in extremis (“il regista sta lavorando”, ha detto Frémaux sull’autore tunisino). Niente da fare invece per Luc Besson e il suo Valerian e la Città dei Mille Pianeti, risultato da poco il film francese più costoso di sempre, che era stato caldeggiato da molti come possibile film d’apertura. Frémaux e il consiglio direttivo paiono invece aver optato, con Desplechin, per un’apertura nettamente più autoriale, anche se altrettanto francese.

Nei prossimi giorni verrà annunciato anche il programma della Quinzaine des réalisateurs e della Semaine della Critique, sezioni nelle quali potrebbero trovare posto altri nomi importanti e pure alcuni italiani (si parla in particolare di Una famiglia di Sebastiano Riso).

L’appuntamento, in ogni a caso, è per tutti sulla Croisette dal 17 al 28 Maggio prossimi.

Maximal Interjector
Browser non supportato.