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Il cinema di Lars Von Trier allo Spazio Oberdan

Dal 7 al 25 febbraio 2018 presso il Cinema Spazio Oberdan di Milano, Fondazione Cineteca Italiana propone un omaggio in 11 film a uno dei registi contemporanei più innovativi e visionari, il danese Lars von Trier.

Ad alcuni film della rassegna è stato abbinato il cortissimo Genesis 1, due minuti di cinema carnale, materico, frutto della creatività dello studio grafico milanese H-57 e che rimanda alla fisicità dell’opera di von Trier.

Provocatore dentro e fuori dal set, celebre per aver fondato insieme a Thomas Vinterberg il movimento Dogma 95, inaugurato con il film Idioti (una serie di regole di regia cui attenersi per contestare il linguaggio codificato hollywoodiano), von Trier ha firmato autentici capolavori, mietendo premi soprattutto al festival di Cannes e non rinunciando mai a una poetica e a un’estetica assolutamente originali e all’insegna della continua ricerca espressiva.

In programma The Kingdom – Il regno, miniserie televisiva di grande successo a metà tra horror e commedia. Il rapporto di Von Trier con la televisione è piuttosto prolifico. All’età di 13 anni, per intercessione di uno zio regista e sceneggiatore, Lars ottiene un ruolo in una serie televisiva, mentre cresce la passione per la cinematografica grazie alla cinepresa a 8 millimetri della madre.

Tra gli altri lungometraggi, il minimalista e sperimentale Dogville, primo film di una trilogia, per il momento rimasta incompiuta, chiamata “USA – Terra delle opportunità” cui appartiene anche Manderlay. Il progetto narra le vicende di una giovane idealista di nome Grace nell’America degli anni Trenta. È ambientato in Nord America anche Dancer in the Dark, girato interamente con camera a mano e definito dal suo autore un anti-musical. L’operaia Selma, interpretata dalla cantante islandese Björk, consuma il proprio dramma lavorativo e familiare lasciandosi andare a momenti di canto e ballo che sono l’evasione ideale dalla realtà della paura.

In calendario anche Le onde del destino, vibrante storia di una follia pura, e Il grande capo, realizzato attraverso una nuova trovata registica, l’automavision: una camera fissa controllata da un computer che decide, in maniera del tutto casuale senza apparenti linee guida, che cosa riprendere, se fare uno zoom o una panoramica, un primo piano o un piano americano.
 
Più recente è la cosiddetta “trilogia della depressione”, legata a un periodo di malattia dello stesso Von Trier, che con questi tre film tenta di risollevarsi attraverso la narrazione cinematografica. Lo splendido Antichrist, attraverso la storia di una coppia che tenta di reagire alla perdita del proprio bambino, si interroga sulla malignità della Natura e sula forza dell’uomo nella lotta contro di essa. Non troppo lontano, anche se forse meno cinico, il seguente Melancholia: la crisi di due sorelle molto diverse durante e dopo il matrimonio della più giovane, alle porte di un’apocalisse inevitabile.

Non poteva mancare l’ultima ambiziosa opera del regista, Nymphomaniac, percorso filmico in due volumi da quattro capitoli ciascuno incentrato sulla vita di Joe, una donna fortemente segnata da un ipererotismo che ne ha dominato quasi tutti i tempi e gli spazi, complicando e danneggiandone i rapporti sociali, familiari e affettivi.

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