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I 5 migliori film di Jerzy Skolimowski

Sperimentatore infaticabile e fautore di un cinema libero e dal taglio personale, Jerzy Skolimowski ha saputo raccontare lo spaesamento e le contraddizioni dell’essere umano a confronto con situazioni limite e incontri con altre dimensioni culturali.

Attraverso le sue opere, in cui combina la ricerca formale con uno sguardo sociale sempre lucido e ficcante, l’autore polacco ha saputo raccontare la bestialità insita in ciascun individuo e pronta a deflagrare da un momento all’altro, attraverso il sesso, la violenza o una semplice e feroce incomunicabilità.

L’imminente Mostra del Cinema di Venezia omaggerà Skolimowski con il Leone d’Oro alla Carriera e, in occasione di questo meritatissimo premio, la redazione di LongTake ha deciso di dedicare al cineasta polacco la sua classifica settimanale.

Ecco, dunque, i cinque migliori film di Jerzy Skolimowski, secondo la nostra redazione:

5) Moonlighting

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Skolimowski gira in Inghilterra questa storia in cui le vicenda politiche del colpo di stato in Polonia del generale W.W. Jaruzelski si intrecciano con quelle di un gruppo di operai polacchi emigrati oltre Manica. Gli eventi storici, di cui solo il personaggio interpretato da Jeremy Irons è a conoscenza e che nasconde ai suoi sottoposti, intervengono solo indirettamente nell’evoluzione della vicenda, dando quindi al tutto un senso di sospensione tra il grottesco e il tragico. In questo modo viene raccontata la marginalità di piccole vite che vanno avanti indipendentemente dal corso della Storia, ma che finiscono per esserne inevitabilmente condizionate e segnate. Commedia nera dai toni fortemente drammatici, filmata con stile secco e arguto, una delle opere più amare e struggenti del cineasta polacco.

4) Il vergine

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Skolimowski offre una personale rilettura della Nouvelle Vague francese attraverso uno dei suoi attori simbolo, Jean-Pierre Lèaud, feticcio di François Truffaut. Il regista (e sceneggiatore) racconta una iniziazione alla vita con stile vibrante e alieno alle convenzioni, arricchito da una buona dose di ironia (attraverso cui vengono rilette le fobie e le incertezze del giovane protagonista) e da una freschezza inventiva sempre capace di spiazzare lo spettatore. Cinema libero e sperimentale, capace di osare e farsi specchio di un disagio emotivo e di un profondo senso di inadeguatezza filtrati da uno sguardo leggero e da un acume che non disdegna un ragionato pessimismo nei confronti della natura umana. Orso d’oro al Festival di Berlino.

3) Essential Killing

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Skolimowski riflette sull’endemica bestialità insita in ogni essere umano e pronta a rivelarsi nelle circostanze più ostili, firmando un’opera radicale e al contempo essenziale. La natura ostile e selvaggia fa da cornice alla regressione allo stato primitivo del protagonista, impegnato in una lotta per la sopravvivenza che ne rivela le pulsioni più istintive e abiette. Ridotto a uno stato primigenio, muto per scelta e sordo dopo un’esplosione, solo, spaventato e dunque predisposto alle più feroci atrocità pur di salvaguardare se stesso, il soldato afgano senza nome (interpretato da uno straordinario Vincent Gallo) è l’emblema di una società che ha perso la propria umanità, ferita e individualista. Gran premio della giuria e Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia 2010.

2) L’australiano

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Adattando un racconto di Robert Graves, Skolimowski illustra la dissoluzione dei tradizionali rapporti all’interno di una famiglia borghese, la cui normalità di facciata viene sconvolta dalla comparsa di un elemento esterno. Elemento di disordine incarnato, come spesso succede nel cinema del cineasta polacco, da un individuo apolide e misterioso, il cui spaesamento culturale e la cui genuinità amplificano il sotteso senso di inquietudine dei propri interlocutori. Metafora evidente di un’umanità divorata dalle proprie insicurezze, folle e chiusa in se stessa, feroce ed egoista, destinata all’autodistruzione. Premio speciale della giuria a Cannes nel 1978, ex aequo con Ciao Maschio (1978) di Marco Ferreri.

1) La ragazza del bagno pubblico

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Skolimowski racconta una anomala storia d’amore tra due perdenti: lui innamorato, goffo e inesperto; lei disinibita, fredda e fragile. Entrambi inadeguati e fuori posto in un mondo crudele e squallido, emblematicamente rappresentato dalla periferia londinese grossolana, inospitale e alienante. Lo sguardo è ironico e partecipe, caricaturale ma scevro da qualsiasi cinismo, riuscendo così a descrivere un’inquietudine, generazionale e universale, dinnanzi alle contraddizioni del presente e allo svilimento dei sentimenti in una società sempre più superficiale e meschina. Folgorante la libertà espressiva del cineasta polacco, che guarda alla lezione del Free Cinema inglese ma riesce a mantenere un’impronta personale e decisamente originale.

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