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Il cuore oltre l'ostacolo – Considerazioni sul programma di Venezia 73

E’ una Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia tra le più variegate e generose degli ultimi anni, quella svelata dal direttore artistico del festival Alberto Barbera nel corso della conferenza stampa di presentazione del programma ufficiale di stamattina a Roma. Una selezione dal sapore eclettico e multiforme, che gioca al rialzo e dà l’idea di voler gettare davvero il cuore oltre l’ostacolo in termini di proposte e nomi chiamati a raccolta, pur non distanziandosi da alcuni marchi di fabbrica propri dello stile e dell’approccio di Barbera: attenzione alle cinematografie latinoamericane, culminata col Leone d’Oro a Ti guardo di Lorenzo Vigas l’anno scorso, un accento costante posto sul documentario come genere-chiave per focalizzarsi sulle contraddizioni del mondo di oggi e di ieri e una presenza di certo non massiccia del cinema asiatico contemporaneo, le cui cause non sono però da ricercare per forza di cose all’interno della selezione lidense e richiederebbero una riflessione anche di carattere industriale.

Sulla carta, dunque, le premesse non potevano davvero essere migliori e più succulente di così. A brillare nel concorso di Venezia 73 ci sono infatti il già annunciato film d’apertura La La Land di Damien Chazelle, musical omaggio all’età dell’oro di Hollywood con Emma Stone e Ryan Gosling, ma anche, tra i film internazionali più in vista e più attesi, The Light Between the Oceans di Derek Cianfrance con la nuova coppia d’oro di Hollywood Michael Fassbender e Alicia Vikander, l’opera seconda dello stilista Tom Ford, il seducente thriller Nocturnal Animals con Jake Gyllenhaal e Amy Adams, ambientato tra la scena artistica di Los Angeles e il sottobosco criminale texano, e il nuovo film del cineasta canadese Denis Villeneuve, Arrival (“un incrocio tra un film di Spielberg e uno di Malick, The Tree of Life che si mescola a Incontri ravvicinati del terzo tipo”, nelle parole di Barbera), anch’esso con protagonista Amy Adams, nei panni di una linguista incaricata di intavolare un contatto con gli alieni appena sbarcati sulla terra per stabilire, per conto del governo americano, se loro intenzioni siano pacifiche o meno.

 

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Si tratta, evidentemente, di alcuni tra i film hollywoodiani più attesi della prossima stagione, che di sicuro potranno dire la loro nella prossima Awards season (Variety, nel suo articolo di oggi, parla di un rafforzamento di Venezia in qualità di “oculata ed effettiva piattaforma per la stagione dei premi”). Una presenza che rilancia Venezia anche nel diretto confronto con Toronto, visto che l’anno scorso  per il concorso si era ripiegato su autori più “sotterranei” e defilati, non certo dei frontrunner da Award-race, come Cary Fukunaga, Drake Doremus, Laurie Anderson e Charlie Kaufman. In questa direzione va anche l’annuncio, fuori concorso, del film di chiusura, che sarà The Magnificent Seven, opening film a Toronto giusto pochi giorni prima: un testacoda rarissimo e singolare, forse addirittura inedito, che sicuramente non fa altro che giocare a favore di Venezia, del suo prestigio internazionale e della sua voce in capitolo nello scacchiere complessivo dei festival.

A tali film americani si aggiunge anche un altro film a stelle e strisce, The Bad Batch della regista  di origini iraniane Ana Lily Amirpour, autrice del sorprendente A Girl Walks Home Alone at Night, che sbarca in concorso al Lido con una storia d’amore dai tratti distopici che si consuma tra le campagne del Texas all’interno di una comunità di cannibali. Un soggetto dal tratto weirdo che, unito al talento bruciante e selvaggio dimostrato dalla Amirpour, non può che alimentare un’enorme curiosità. Altro grande colpo di Venezia 73 aggiunto all’ultimo alla selezione ufficiale a mo’ di ciliegina – qualcuno suggerisce addirittura “nella notte” – è la coproduzione Usa-Cile firmata dal talentuosissimo regista cileno Pablo Larraín, uno dei nomi di punta e dei cineasti più brillanti e ispirati del cinema internazionale, che passerà in concorso con Jackie, incentrato sui giorni della first lady Jacqueline Kennedy (Natalie Portman) subito dopo l’attentato che costò la vita al marito, l’indimenticato presidente Usa John F. Kennedy. Un’inclusione in extremis al cospetto della quale è legittimo togliersi il cappello, evidentemente voluta con le unghie e con i denti, visto che Larraín deve ancora ultimare il montaggio del suo film e probabilmente si affretterà per terminarlo in tempo per l’anteprima al Lido. Considerata la forma strepitosa dell’autore sudamericano, che nell’ultimo Neruda ha dimostrato di saper lavorare in maniera egregia su un’icona ingombrante e su un segmento della sua biografia per trarne una monumentale riflessione sul potere affabulatorio e romanzesco della Storia e dell’Arte, non si stupirebbe davvero nessuno se Jackie, che con Neruda condivide il determinismo temporale e il taglio da biopic atipico, rientrasse a pieno titolo tra i film indimenticabili della prossima edizione.

 

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Desta interesse anche la rappresentanza italiana in competizione ufficiale, che schiera Questi giorni di Giuseppe Piccioni, Piuma di Roan Johnson e l’ambizioso documentario dai contorni filosofici e spirituali Spira Mirabilis, della coppia milanese Massimo Parenti e Martina D’Anolfi. Si tratta, con ogni probabilità, della presenza tricolore più eterogenea e meglio amalgamata degli ultimi anni, un trittico diversissimo sia per impronta generazionale che per gusto, formazione e ascendenze, in grado di rispecchiare anime opposte ma complementari ed esaustive del cinema italiano di oggi. A loro si affiancheranno il francese Stéphane Brizé con Une vie, reduce dal buon riscontro ottenuto due anni fa a Cannes col misurato e commosso La legge del mercato, il trio di sudamericani composto dal messicano Amat Escalante, dall’esordiente Christopher Murray e dal duo argentino Cohn – Duprat, ma anche i nuovi film del russo Andrei Konchalovsky, di Emir Kusturiça, François Ozon e Wim Wenders, autori conclamati e dal sicuro richiamo, anche quando non più sulla cresta dell’onda e nelle grazie delle mode cinefile da molti anni, come nel caso del cineasta serbo. Senza contare la presenza in Concorso del fluviale cineasta filippino Lav Diaz col suo nuovo film The Woman Who Left, altra immersione feroce nella Storia filippina, e il documentario dal taglio cosmogonico di Terrence Malick Voyage of Time,  montato per quasi trent’anni e presentato nella versione lunga di 90′ con voce narrante di Cate Blanchett (non nella versione IMAX da 40′, come qualcuno aveva pensato in un primo momento): due autori decisamente fuori formato, chiaramente in modi e tempi diversi, ma anche un paio di sicure punte di diamante nell’offerta veneziana di quest’anno.

 

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Un lavoro di selezione sul quale si è così espresso Alberto Barbera, spostando il baricentro delle opere visionate  e poi scelte rispetto alla scorsa edizione: “Il cinema d’autore sembrava fino allo scorso anno orientato a riflettere sulla realtà, sulle cose che ci stanno capitando in questa fase della nostra Storia, sul modo di affrontare situazioni così complesse. Quest’anno, invece, mi è parso di scorgere un approccio diverso, mediato da tante cose: letteratura, teatro, genere. Si parla sempre della realtà, ma in maniera indiretta, si parla del presente anche parlando di passato. O di futuro”.

Imponente e corposo anche il fuori concorso, col film del regista Andrew Dominik sul musicista Nick Cave, il nuovo film di Mel Gibson Hacksaw Ridge, A Jamais di Benoit Jacquot, libero adattamento del romanzo di Don De Lillo Body Art con Mathieu Amalric, il documentario Austerlitz di Sergej Loznitsa, il doc di Francesco Munzi Assalto al cielo, Monte di Amir Naderi, vero aficionado del Lido, Tommaso di Kim Rossi Stuart, Safari di Ulrich Seidl, il fantasmatico Planetarium di Rebecca Zlotowski con Natalie Portman e Lily-Rose Depp, cui va ad aggiungersi ovviamente la già annunciata serie tv di Paolo Sorrentino The Young Pope con protagonista Jude Law, della quale sbarcheranno in laguna le prime due puntate. Orizzonti, la seconda sezione competitiva della Mostra, che guarda chiaramente all’Un Certain Regard di Cannes come da tradizione barberiana, ospiterà invece, tra le molte scoperte, gli apprezzati registi belgi Peter Brosens e Jessica Woodworth con King of the Belgians, Tim Sutton con la sua nuova fatica Dark Knight e il grande documentarista cinese Wang Bing, che firma il doc Ku Qian (Better Money).

Indubbiamente vitale e dalle molte anime, oltre che  fresca dal punto di vista concettuale, anche la rinnovata, poliedrica sezione Cinema nel giardino, che si propone come una via di mezzo tra i cinefili duri e puri e “coloro che non metterebbero mai piede in un festival” (Barbera dixit), ridisegnando così la vocazione di una porzione minima del festival e proiettandola verso un’anima più popolare, disposta ad accogliere anche i non accreditati e i semplici avventori o abitanti del Lido. Tra i titoli proposti in questa sede spiccano In Dubious Battle dell’onnipresente e instancabile James Franco, Geumul (The Net) del Leone d’Oro del 2012 Kim Ki-Duk, L’estate addosso di Gabriele Muccino, il documentario Robinù di Michele Santoro e My art dell’artista e fotografa Laurie Simmons, mamma della creatrice e star della serie HBO Girls Lena Dunham, che vede nel cast proprio la celebre figlia e l’ex regina dell’indie Parker Posey.

Non resta che darvi e darci appuntamento al Lido, con i migliori auspici, dal 31 agosto al 10 settembre prossimi.

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