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I dieci migliori horror della storia del cinema

Halloween, si sa, fa rima con orrore. La simbologia della morte e dell’occulto, strettamente legata a questa festa di origine celtica, tinge di macabro la notte del 31 ottobre e la rende ideale per gustarsi un classico film horror.

E la scelta non manca di certo: fin dai primordi della settima arte il terrore ha tinto di sangue il grande schermo, regalando opere destinate a imprimersi nella memoria collettiva.

Grandi film, grandi autori. Per celebrare un Halloween degno di nota, ecco una classifica da brivido: in rigoroso ordine cronologico, i dieci migliori horror nella storia del cinema.

Nosferatu – Il vampiro (1922)

Friedrich Wilhelm Murnau si ispira al romanzo Dracula di Bram Stoker (cambiando i nomi dei personaggi per eludere il pagamento dei diritti d’autore) e crea una vera e propria sinfonia dell’orrore (come enunciato nel titolo originale) e uno dei più alti risultati dell’estetica espressionista (insieme a Il gabinetto del dottor Caligari del 1920, firmato da Robert Wiene). Capolavoro metafisico, permeato da un costante senso di morte e di sospensione onirica, ritratto allucinato di un’umanità agonizzante, inerme e fragile, predisposta ad essere sopraffatta dal male.

Freaks (1932)

L’opera più celebre di Tod Browning è anche la più estrema e discussa e quella che più di ogni altra ha contribuito a formare la sua fama di cineasta maledetto. Il regista decide di ridurre al minimo trucchi ed effetti speciali, scegliendo attori che sono in realtà autentici performer di “Freak Show” (donna barbuta, nani, uomo torso, microcefali, gemelle siamesi) e veicolando un messaggio morale straordinariamente contemporaneo: i veri mostri sono i “normali”, aitanti, avidi e crudeli. Straziante e indimenticabile.

Vampyr – Il vampiro (1932)

Ispirato a due racconti contenuti nel libro In a glass darkly dell’irlandese Joseph Sheridan Le Fanu, il primo film sonoro di Carl Theodor Dreyer è il capolavoro più estremo, geniale e visionario partorito della creatività del maestro danese: un campionario densissimo e onirico di allucinate soluzioni visive, inusitato per l’epoca e ancora oggi di ineguagliata fascinazione. Celeberrima la soggettiva del protagonista dall’interno di una bara, durante il suo funerale.

Gli uccelli (1963)

Tratto da un racconto di Daphne du Maurier, Gli uccelli potrebbe essere definito l’unico horror puro nella carriera di Alfred Hitchcock: l’angoscia nasce, in particolar modo, dall’incapacità di capire il motivo di un’aggressione (perché gli uccelli attaccano gli uomini?) che ancora oggi scuote e risulta tra le più inquietanti che si siano mai viste sul grande schermo. La suspense cresce grazie al serrato apparato visivo e, saggiamente, è più palpabile nelle sequenze di quiete che in quelle dinamiche. Semplicemente straordinario.

Rosemary’s Baby (1968)

Un lavoro su commissione per Roman Polanski, che si trasforma inaspettatamente in un capolavoro destinato a superare i confini del genere horror. In una dimensione allucinatoria di rara suggestione (da antologia le sequenze oniriche, nelle quali passato, presente, realtà e fantasia si fondono e confondono), le presenze mefistofeliche e l’acuta indagine psicologica fanno emergere la fragilità ma anche la natura spietata dell’Uomo. Un film che «parte alla Doris Day» e si conclude con l’orrore più insostenibile, accennato e mai apertamente mostrato.

La notte dei morti viventi (1968)

Folgorante esordio alla regia per George A. Romero, ispirato al bellissimo romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda. Intenzionato a realizzare un horror low-budget facilmente vendibile, Romero scrive in realtà uno dei capitoli più interessanti e memorabili del genere horror, reinventando la figura del morto vivente e realizzando una lucidissima riflessione sulla società contemporanea: l’incapacità dell’uomo di vivere in armonia con i suoi simili è più forte dell’istinto di sopravvivenza. Memorabile.

L’esorcista (1973)

Il film che ha contribuito a sdoganare l’horror tra il grande pubblico, tratto dal romanzo omonimo di William Peter Blatty (anche produttore e sceneggiatore) e diretto da William Friedkin. Capolavoro di costruzione tensiva, capace di annientare emotivamente lo spettatore tramite l’uso di un climax narrativo costante, L’esorcista scava nelle paure ancestrali dell’essere umano (il demonio, simbolo di un lato oscuro maligno volutamente ignorato), oltre a rivelarsi saggio psicanalitico da manuale. Enorme successo al botteghino e svenimenti di massa all’uscita nelle sale.

Halloween – La notte delle streghe (1978)

Il titolo inevitabilmente più legato alla festa di Halloween: John Carpenter, al suo terzo lungometraggio, raggiunge uno dei punti più alti della sua carriera, confezionando uno degli archetipi dello slasher e consacrando il suo protagonista, Michael Myers, nell’Olimpo delle icone horror più famose di tutti i tempi. Climax tensivo da manuale, colonna sonora ormai cult (firmata dallo stesso regista) e un senso di agghiacciante e disturbante inevitabilità. Imprescindibile.

Shining (1980)

Tratto da un romanzo di Stephen King, un angosciante e sublime viaggio negli abissi della mente umana: Stanley Kubrick affonda la sua cinepresa nel genere horror, rinnovandolo e portandolo a una vetta di spessore drammaturgico e narrativo mai raggiunta in precedenza. I claustrofobici corridoi dell’Overlook Hotel riflettono la struttura del cervello umano e la graduale discesa nella follia del protagonista, che si trova sperduto in un labirinto di loop temporali e paranoie da cui non potrà più uscire. Da incubo la sequenza in cui Jack Nicholson attacca Shelley Duvall, asserragliata in bagno, con un’accetta.

La mosca (1986)

David Cronenberg filma le proprie ossessioni, relative alla poetica della mutazione, e spicca il volo realizzando (e aggiornando gli stilemi del genere) un horror d’autore dal grandissimo impatto visivo ed emozionale. La presenza fisica dei corpi vive ossessivamente in ambienti cupi contrassegnati dalla presenza di congegni metallici e calcolatori informatici all’avanguardia per l’epoca, in una messa in scena rigorosa che passa in rassegna carne, violenza, sessualità deviata, paura del contagio e contaminazione come elemento primario della degenerazione umana. Remake di L’esperimento del dottor K. (1958) di Kurt Neumann.

 

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