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Game of Thrones 8x03: What do we say to the God of Death?

La seconda puntata ci aveva salutati sulle dolenti note di Jenny of Oldstones, malinconico canto funebre magistralmente interpretato da Florence + the Machine.


Silenziosi e riverenti, abbiamo assistito al commiato tra i numerosi personaggi prossimi a schierarsi sul campo di battaglia, condividendo con essi la triste consapevolezza che molti di loro non sarebbero sopravvissuti alla “notte oscura e piena di terrori” che di lì a poco li avrebbe travolti.


E così è stato.


Chiamato a portare in scena il più grande conflitto bellico mai visto sul piccolo schermo, il terzo episodio di Game of Thrones, The Long Night, giunge a stravolgere drasticamente quel raggelante clima da “calma prima della tempesta” che aveva contraddistinto le puntate precedenti.


Climax tensivo della durata di 82, soffertissimi minuti, la devastante Battaglia di Grande Inverno rappresenta un unicum nella storia non solo dello show, ma della televisione tutta: sapientemente calibrato nella sua scissione tra rovinosi scontri di massa e più nobili rese dei conti individuali, lo spettacolo cui abbiamo assistito nelle ore passate ci ha tenuti con il fiato sospeso e il cuore in gola dall’incipit sino al suo – sconvolgente e a dir poco inaspettato – epilogo.


Mai come in questo episodio Game of Thrones era stato capace di trascinarci nel cuore di un epos tanto avvincente quanto apocalittico: ad avvolgerci – narrativamente e fisicamente – è un’oscurità imperscrutabile e terrificante. Elemento, tra l’altro, oggetto di critiche da parte numerosi spettatori, che hanno lamentato la difficoltà della visione. Scegliendo di non accanirci più di tanto contro lo schermo nero e lo sforzo che ne è derivato, siamo convinti che l’adesione a strategie luministiche il più naturalistiche possibili non possa che rivelarsi concettualmente funzionale in tale contesto. Da un lato, infatti, esse rendono decisamente più credibile e palpabile la catastrofe della guerra, fatta di corpi – vivi, morti e non-morti – confusamente ammassati; dall’altro, sono l’ennesima dimostrazione della volontà da parte di Game of Thrones di non voler cedere alla semplicistica catalogazione come canonico prodotto fantasy, specialmente per quel che riguarda gli scenari bellici.


Oscurità, caos ed insostenibili silenzi. Ad essi si aggiunge una colonna sonora impeccabile, fautrice di un coinvolgimento emotivo (quasi) senza precedenti: soltanto la memorabile sequenza della distruzione del Tempio di Baelor (6×10) era stata in grado di coniugare immagini e suoni in maniera altrettanto egregia.


A The Long Night va inoltre riconosciuto l’enorme merito di aver saputo valorizzare nella maniera più onorevole possibile tutti coloro che, dopo averci accompagnati nel corso di otto, lunghi anni, sono con questa puntata giunti all’eroica conclusione del proprio arco narrativo. Primi fra tutti, Theon Greyjoy e Jorah Mormont.


Non senza una lacrima vogliamo allora ricordare i caduti: Edd, Beric Dondarrion, Lyanna Mormont, Jorah, Melisandre, Theon.


You are good men. Thank you.



Infine, giunto come uno schiaffo a distruggere qualsiasi teoria e supposizione sino a questo momento nutrita, il clamoroso finale: è Arya Stark, assassina silenziosa ed infallibile, a sconfiggere il Re della Notte una volta per tutte.


What do we say to the God of Death?


NOT TODAY.


Animated GIF


Un epilogo a dir poco inaspettato, che ha lasciato tutti gli spettatori letteralmente a bocca aperta. Che il destino di Arya fosse già scritto sin dall’inizio? Dopo tutto, la sua storyline è stata da sempre mirata a farne una spietata assassina senza volto: che fosse proprio questo lo scopo ultimo del suo addestramento? O forse – volendo polemizzare – si tratta di una soluzione furbescamente studiata che, a distanza di cinque stagioni, ci induce subliminalmente (e retroattivamente) a dare per inconfutabili le parole profetiche pronunciate da Melisandre durante il loro primo incontro (3×06)?


Certamente ci aspettavamo maggiori (e più che dovuti) chiarimenti in merito al Night King, al suo temibile esercito di White Walkers e al suo indissolubile (?) legame con Bran. Allo stesso tempo, però, non si può non riconoscere il coraggio dietro una simile risoluzione narrativa.


A questo punto, messa la parola fine al primo, catastrofico capitolo conclusivo, rimaniamo con un’ulteriore, amara presa di coscienza: il vero nemico è qualcun altro (e, potenzialmente, ancor più temibile).


We’ll rip her out


root and stem.



La spietata leonessa Cersei Lannister attende famelica dietro le mura di Kings Landing: il vero, traumatico scontro finale deve ancora arrivare.


 


 


 


 


 


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