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I sogni e gli incubi di David Lynch stregano la Festa del Cinema di Roma: "Prima di morire Fellini disse che ero un bravo ragazzo"

David Lynch: il genio, l’icona, l’artista irripetibile. A pochi mesi dalla fine della terza stagione di Twin Peaks il grande regista americano si è raccontato stasera in un Incontro Ravvicinato alla Festa del Cinema di Roma, che l’ha ospitato in chiusura.

Lynch ha parlato non poco e detto molto di sé, di certo non una sua abitudine (in conferenza stampa ha preferito liquidare le domande più superficiali e approssimative), col pubblico della Festa ipnotizzato dalla sua presenza carismatica, da quell’immortale, voluminoso, ondivago ciuffo bianco, dalle sue parole calme e strascicate, cullate da una voce – quella di Gordon Cole, dopotutto – riconoscibile tra mille.

Ecco, punto per punto, il resoconto completo della serata, alla fine della quale Paolo Sorrentino ha consegnato a Lynch il premio alla carriera della Festa del Cinema, commentando così, con una sintesi fulminante delle sue, un aforisma istantaneo alla Jep Gambardella de La grande bellezza: “Ho la febbre, ma stasera sarei venuto anche in barella. Sono molto onorato di consegnare questo premio al maestro Lynch, che ci ha insegnato una cosa molto profonda: l’ignoto e l’inconoscibile fanno parte di noi e il mito di conoscere se stessi è, per l’appunto, un mito. I suoi film secondo me parlano di questo”.

La cinefilia? No, Philadelphia

Non ero per niente appassionato di cinema, non andavo a vedere film da ragazzo. La mia ispirazione è Philadelphia, la amo per i motivi sbagliati: è una città sporca, violenta, sempre in preda al terrore, brutta, folle. Amo anche la sua architettura, i suoi interni dai colori verdi e improbabili, i mattoni ricoperti di fuliggine, le fabbriche. Da Philadelphia ho sviluppato un enorme amore per le fabbriche ed è questo immaginario che si ritrova in Eraserhead.

Dune, Velluto Blu, Dino De Laurentiis

Per Dune ho firmato il contratto sapendo che non avrei avuto il final cut, sapevo che non era la cosa giusta da fare ma ho firmato lo stesso. Velluto Blu invece ho deciso di farlo solo se avessi avuto il final cut: Dino, che mi insegnò all’epoca anche a cucinare i rigatoni, me lo promise e poi mantenne la promessa.

Sceneggiature e improvvisazione 

Non parlerei di improvvisazione ma di prove. Le idee che sentiamo nel nostro schermo mentale, che sentiamo letteralmente con tutti i sensi, nel momento in cui vengono esposte set riemergono nella loro interezza. Penso sempre alle idee come a dei rompicapi nell’altra stanza, qualcuno ti lancia un pezzo a distanza e tu cominci a scrivere, poi da essi nasce la sceneggiatura e in seguito anche il film. Occorre che tutto sia vicino all’idea originale ed è necessario anche che tutte le persone sul set agiscano per far sì che sì realizzi, che ci credano.

David, hai paura dei tuoi film?

No, mi piace avere ospiti!

Los Angeles

Strade perdute, Mulholland e INLAND EMPIRE parlano tutti di Los Angeles, di più non posso dire. L’ho vista per la prima volta nel 1970, venendo da Philadelphia. Sono arrivato di notte e la mattina dopo uscii dall’appartamento vedendo il sole di Los Angeles, questa luce meravigliosa che mi ha fatto quasi svenire. Una città di cui non si vedono i limiti, che non ha confini, in cui non vedi barriere nemmeno per la realizzazione dei tuoi sogni. E poi fiorisce quel gelsomino…

Creare al Cinema, Creare in Tv

Per me è esattamente la stessa cosa. Grazie alla tv via cavo puoi fare una storia che continui, mentre al cinema finisce subito. Certo, la qualità delle immagini e del suono in tv sono inferiori, ma di questi tempi giorno dopo giorno stanno facendo straordinari passi da gigante, su questo fronte…

Pellicola e digitale

La celluloide è bellissima ma perisce, mentre col digitale si possono fare mille cose dopo che si è girato. Il digitale dischiude interi mondi. Si avvicina al mondo della pittura, si può lavorare sulle immagini come sulla tela e questo spalanca le porte a un numero sterminato di possibilità.

Cinema ad alta definizione; a una cena con Bertolucci avevi detto: si vede troppo, non c’è mistero. Eravate entrambi d’accordo.

Amo Bernardo, anche se non mi ricordo per niente questa conversazione. Molti pensano che il digitale sia troppo plastico e organico, ma ormai attraverso tante tecniche sofisticate ci si avvicina sempre più al risultato che si vuole ottenere.

Il fil rouge delle tue Mostre

Vorrei poter dire che c’è, a volte c’è un legame familiare e intimo con i miei lavori, ma quando esaurisco una particolare linea mi metto a esplorare qualcosa di diverso, sempre.

Prima opera d’arte preferita: Seated Figure, Francis Bacon, 1961

Amo molto Bacon, credo sia uno dei più grandi artisti della storia, amo il modo in cui esplora la fenomenologia delle figure umane e la loro distorsione. Amo in particolare la distorsione dei volti. Le idee possono venire dal cinema ma anche da moltissime altre cose e mi piace poterle anche dipingere, quando mi entusiasmano. Riesco così ad ottenere un’azione e una reazione. In questo momento devo dire che mi piace molto la pittura brutta, quella un po’ infantile.

Seated Figure 1961 Francis Bacon 1909-1992 Presented by J. Sainsbury Ltd 1961 http://www.tate.org.uk/art/work/T00459

Seconda opera d’arte preferita: The Illegal Operation, Edward Kienholz, 1962

Kienholz esplora in maniera straordinaria un tema che mi appassiona molto come quello dei fenomeni organici. A volte sulle mie stesse tele pratico dei fori o aggiungo qualcosa alla superficie affinché emergano degli elementi specifici.

Sogni

Amo i sogni, la loro logica che solo il cinema è in grado di esprimere quando non sappiamo esprimerla a parole. Amo sia le astrazioni che le cose concrete e adoro le storie che hanno entrambe queste qualità. A volte hai dei pensieri che ti permettono di conoscere le cose ma sono difficili da esprimere a parole. Proprio come quando ascolti un tuo amico che ti racconta un sogno: lo puoi stare ad ascoltare con interesse, ma non rivivrai mai l’esperienza che lui ha fatto.

Primo film preferito: Lolita, Stanley Kubrick

Un film straordinario sotto tutti i punti di vista, un film privo di debolezze che amo moltissimo, dall’inizio alla fine, lo amo in tutte le sue espressioni. Amo l’ossessione di Humbert, gli umori che evoca, i luoghi, la recitazione, tutto. Non è importante come si sia arrivati a così tanta bellezza, l’importante è esserci arrivati.

Secondo film preferito: Viale del tramonto, Billy Wilder

Un film triste, di desideri non realizzati. Vogliono raccontare una storia, a questo proposito. Gordon Cole è un personaggio di Twin Peaks (un agente dell’FBI sempre interpretato da Lynch stesso, ndr), ma anche un uomo che in una scena di Viale del tramonto viene chiamato da Cecil B. DeMille al telefono. Billy Wilder per me è uno dei più grandi registi di tutti i tempi. Se a Los Angeles ci si muove verso gli studi della Paramount due strade si incrociano sempre immancabilmente: una si chiama Gordon, l’altra Cole. Secondo me Billy ha preso il nome proprio da questo. Billy Wilder era straordinario, tra le tante cose, per il senso dei luoghi: la casa di questo film ci riporta all’età dell’oro del cinema, la sua bellezza è indubbia, negli arredi, nei costumi, della musica, nei rimandi alla Hollywood degli anni ’50. E tutti in questo film desiderano qualcosa in virtù di un anelito che non viene mai portato a compimento.

Terzo film preferito: Otto e mezzo, Federico Fellini

Federico Fellini è uno dei più grandi maestri del cinema di tutti i tempi. Mi ha inspirato senza ombra di dubbio, i suoi film sono delle opere d’arte. L’ho incontrato due volte. Una volta a una cena con Silvana Mangano, Isabella Rossellini e Marcello Mastroianni. Tutta una cena a base di funghi, che erano di stagione, si andava da funghi minuscoli a vere e proprie bistecche, dei funghi giganteschi! Quella sera dissi a Marcello che ero veramente appassionato di Fellini e lui il giorno dopo mi mandò una macchina la mattina all’hotel cui soggiornavo: aveva organizzato un’intera giornata che potevo passare sul set con lui.

L’incontro con Fellini

All’epoca Fellini stava girando Intervista, il direttore della fotografia era Tonino Della Colli. A colazione c’era una donna con un seno gigantesco, mi ricordo. Era la prima volta che lo vidi girando per Cinecittà.  La seconda volta fu per uno spot televisivo, c’era Gerard Depardieu e ancora una volta Tonino Delli Colli, che però mi disse che Fellini era ricoverato nel Nord Italia per degli accertamenti, ma si stava pensando di trasferirlo a Roma.

La visita a Fellini in ospedale 

Andammo insieme a trovarlo con Tonino quando lo trasferirono a Roma, mi pare che siccome il giovedì sera doveva fare delle analisi tornammo il venerdì. Mi ricordo che era una serata molto calda, percorremmo il corridoio dell’ospedale fino alla stanza in fondo, c’era solo la nipote di Fellini all’esterno. All’interno trovammo Fellini che parlava un giornalista, un certo Vincenzo (Mollica, ndr), di cui era molto amico. Federico stava in sedia a rotelle davanti a un tavolino. Vincenzo si mise a chiacchierare con Tonino, mentre io iniziai a parlare con Fellini. Gli ho tenuto la mano, abbiamo chiacchierato per una mezz’ora. Lo intristiva ciò che stava succedendo nel cinema italiano e mondiale, aveva la sensazione che i giovani si stessero dimenticando di lui e del cinema per migrare verso la tv. Tutto ciò gli metteva tristezza, io gli dissi che tutto il mondo in realtà stava aspettando il suo nuovo film, ma lui mi liquidò con un gesto della mano. Quindici giorni dopo purtroppo la sua situazione di salute si aggravò, entrò in coma e morì. 

Vincenzo anni dopo mi ha raccontato che quella sera, appena me ne andai da quella stanza d’ospedale e mi lasciai la porta alle spalle, Fellini gli disse semplicemente: “Questo è un bravo ragazzo”.

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