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I 5 migliori film di Abel Ferrara

Abel Ferrara è uno dei cineasti più selvaggi e scomodi del cinema contemporaneo, un regista che nei suoi alti come nei suoi bassi (non pochi, di recente) non lascia mai indifferenti e non manca di perseguire un’idea di cinema sfrontata, randagia, cupissima, fuori dagli schemi.

Talento vitalissimo, Ferrara è animato da un maledettismo e un senso di dannazione che sono da sempre le due lenti privilegiate dell’autore newyorkese per guardare al mondo e confrontarsi con la propria ispirazione, nutrita da un’esistenza turbolenta e da mille eccessi che ne hanno segnato in profondità il percorso artistico.

In occasione dei suoi 70 anni (19 luglio 1951), scopriamo insieme quelli che, a insindacabile giudizio della redazione di LongTake, sono i suoi cinque migliori film in assoluto!

5) L’angelo della vendetta

Il thriller che confermò il talento di Ferrara è piuttosto tradizionale nella struttura, così come nella parabola dell’ambiente ostile capace di trasformare un’anima candida in un’assassina. Il regista si ritaglia (mascherato e con il nome d’arte già usato in The Driller Killer) un’apparizione come stupratore, tanto per esplicitare che è l’autore il primo a fare violenza sugli attori, con il solito eccessivo didascalismo. La protagonista è però perfetta e il suo handicap che non le permette di comunicare la identifica immediatamente come un corpo estraneo all’organismo della metropoli. Quando Thana urla in punto di morte, lo spettatore attento non può non pensare ad altri orrori che ne abbiano provocato il mutismo.

Qui la nostra recensione completa del film.

4) King of New York

Ennesimo ritorno di Ferrara sui luoghi di origine per descrivere le gesta dell’unico “monarca” possibile in una metropoli contemporanea: uno spacciatore dai saldi principi morali, “amico dei neri” (come viene beffardamente definito dai rivali), in lotta con poliziotti dalla dubbia condotta e animato da un ideale altruista che nobilita e “giustifica” la sua attività. Forse il limite della pellicola è proprio questo: l’ambigua immedesimazione con un boss destinato al sacrificio finale rende meno coerente la riflessione sul male insito nell’uomo che sarà ripresa nelle pellicole successive. Detto ciò, King of New York è un film piuttosto solido e servito da un cast di prim’ordine, Walken in testa, ma con menzioni speciali anche per Fishburne e Buscemi da una parte (due degli sgherri di White) e Caruso e Snipes dall’altra (i detective che affiancano Bishop).

Qui la nostra recensione completa del film.

3) Fratelli

Per la loro ennesima riflessione su libertà, colpa, perdono ed espiazione, Abel Ferrara e lo sceneggiatore Nicholas St. John scelgono la metafora della famiglia e della malavita, avvalendosi di un’accurata ricostruzione d’epoca. Ne esce una convincente opera corale, grazie a un cast davvero straordinario, a iniziare da Penn, premiato come migliore attore a Venezia. L’utilizzo del gangster-movie rende forse più lineare, rispetto al precedente The Addiction (1995), la narrazione: anche se non si erano mai visti criminali così preoccupati dell’aspetto filosofico e delle conseguenze del loro agire. L’inizio, con Johnny al cinema che guarda Bogart per riapparire nella sequenza successiva in una bara, e il finale dove si mischiano violenza e ricordi, trovano il giusto equilibrio (raro nell’autore) tra epica e retorica.

Qui la nostra recensione completa del film.

2) Il cattivo tenente

Keitel si abbandona nelle mani di Abel Ferrara: il cattivo tenente si masturba molestando due ragazze, si fa in vena (nella versione integrale) e prorompe in ululati in chiesa durante un delirio mistico in cui gli appare Gesù Cristo. Al netto di qualche eccesso di troppo e di simbolismi (urbani e cattolici) già ampiamente presenti in gran parte della filmografia precedente, Il cattivo tenente è comunque tra i migliori lavori di Ferrara e probabilmente il suo più compiuto ritratto di un personaggio alla deriva. Le lunghe scene mettono talvolta alla prova la pazienza dello spettatore e l’immedesimazione è comunque impossibile ma, se si entra nello spirito della narrazione, si arriva a sentire la necessità dell’esecuzione finale, messa in scena con un’inquadratura fissa sotto la scritta “tutto accade qui”.

Qui la nostra recensione completa del film.

1) The Addiction

Insieme al successivo Fratelli (1996), si tratta del risultato più compiuto e riuscito della collaborazione tra il regista e il fido sceneggiatore Nicholas St. John. Ferrara raggela il materiale horror in un bianco e nero che ben si adatta alla messa in scena quasi stilizzata ed è questo il telaio tecnico su cui viene innestata una riflessione sulla propensione al male, con ampio uso (e forse abuso) di citazioni filosofiche e di rimandi storici ai massacri senza senso del ventesimo secolo. La tendenza all’eccesso sempre dimostrata dall’autore newyorkese trova il suo compimento in questa storia, intrecciata di dialoghi che possono essere indisponenti quanto affascinanti e punteggiata di sequenze non facili da dimenticare. L’incontro con il “mentore” interpretato da Walken, le crisi di astinenza e la festa di laurea che diventa un banchetto di vampiri difficilmente lasciano indifferenti.

Qui la nostra recensione completa del film.

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