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Le 5 migliori interpretazioni di Isabelle Huppert

Interprete carismatica e versatile, amata da alcuni dei principali autori della storia della settima arte, Isabelle Huppert è una delle figure di riferimento del cinema francese e non solo.

L’attrice parigina ha frequentemente portato sul grande schermo personaggi border line, ambigui, misteriosi e ai limiti della follia, caratterizzati spesso in maniera indelebile, grazie a una recitazione istintiva e prevalentemente fisica, sofferta ed emotivamente partecipe.

Isabelle Huppert è, inoltre, tra le poche attrici ad aver vinto più volte i maggiori premi di interpretazione nei principali festival mondiali; nel 1978 e nel 2001 il Prix d’interprétation féminine al Festival di Cannes per Violette Nozière e La pianista; nel 1988 e nel 1995 la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla Mostra del cinema di Venezia per Un affare di donne e Il buio nella mente, e nel 2002 l’Orso d’argento per la migliore attrice al Festival di Berlino per 8 donne e un mistero. Nel 2005 le viene conferito il Leone d’oro alla carriera alla Mostra di Venezia.

In occasione dell’inizio della Festa del Cinema di Roma 2018, in cui verrà omaggiata di un premio alla carriera, LongTake dedica la sua classifica settimanale alle migliori interpretazioni della straordinaria attrice francese.

Ecco, dunque, le cinque migliori interpretazioni di Isabelle Huppert secondo la nostra redazione:

5) Loulou

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Loulou incarna pienamente la libertà fisica e (a)morale del suo protagonista, interpretato da un Gérard Depardieu all’apice del suo fascino animalesco, in quel sottilissimo spazio attoriale tra il trasporto appassionato e la noncuranza verso la propria stessa aderenza al personaggio. Con l’apporto di una giovanissima Isabelle Huppert, perfettamente a suo agio nell’emancipazione sessuale e lavorativa della sua Nelly, i due ribaltano il carattere perdente della coppia sbilanciata, dove è la donna a mantenere il compagno, e danno vita a un amour fou senza preconcetti, dove il mondo giudicante rimane, almeno per un po’, dietro la porta di una camera d’albergo, con loro due isolati nella lussuria e alla larga da ogni perbenismo.

4) Elle

elle

Presentato all’ultimo Festival di Cannes e ritorno alla regia, a dieci anni da Black Book (2006), per Paul Verhoeven. Dietro a uno stile raffreddato quanto l’algida protagonista Isabelle Huppert (perfetta), si dipana una storia di false apparenze e doppie personalità, giocato tra reale e virtuale, in cui il regista olandese torna a dissacrare l’alta società con una serie di eccessi narrativi a volte solo abbozzati ma sempre ben calibrati. La carta vincente è il ricorso insistito della scrittura al registro grottesco, che permette di mettere in scena un tourbillon di situazioni stranianti che stemperano le (poche) scene di violenza. Un divertissement, raffinato e capace di (mal)trattare la borghesia con un cinismo notevole.

3) Un affare di donne

Un affare di donne

Seconda collaborazione tra Claude Chabrol e Isabelle Huppert dopo Violette Nozière. Parabola di una graduale presa di coscienza politica: dall’inconsapevolezza e dall’illusione proprie di una donna senza educazione né famiglia, Marie arriva a difendere lucidamente la condizione femminile davanti agli avvocati che la ignorarono di fronte alla “questione morale” dello Stato, giungendo infine al patibolo in blasfemia (con una battuta che scatenò non poche polemiche all’uscita del film). La Huppert media perfettamente il ruolo complicato di madre rigida (almeno con il primogenito maschio), di amante infantile, donna ingenua e contemporaneamente eversiva. Per questa sua prova, l’attrice francese vinse la sua prima Coppa Volpi, premio condiviso con Shirley MacLaine per Madame Sousatzka.

2) Il buio nella mente

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L’opera più riuscita degli anni Novanta di Chabrol è una tragedia preannunciata dalla mancanza di comunicazione tra classi sociali, di cui l’analfabetismo della protagonista si fa simbolo: sono le parole stesse a sfuggire e a tradire, per esempio nella difficoltà della famiglia a trovare una definizione meno umiliante possibile per Sophie (governante o donna di servizio, l’atroce servant nella versione francese). In questa spaccatura di linguaggi, la televisione si colloca come canale universale di isolamento, sia che venga trasmesso un popolare gioco a premi, sia un film d’autore. Eccezionale la prova delle due protagoniste Sandrine Bonnaire e Isabelle Huppert, entrambe premiate con la Coppa Volpi (la seconda per la Huppert) alla 52ª Mostra del Cinema di Venezia.

1) La pianista

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Grazie a una straordinaria Isabelle Huppert, Michael Haneke riesce a portare sullo schermo una storia cruda e violenta, che diventa ancora più disturbante grazie al viso pulito e ai modi eleganti della protagonista: il regista scava a fondo nei territori estremi e malsani della psiche umana con enorme spessore e con una lucidità a dir poco invidiabile. Valore aggiunto che rende La pianista ancora più pregnante è la componente sonora, che non si rivela mero elemento stilistico, ma travalica i confini letterari e cinematografici penetrando a fondo nel terreno delle emozioni e della “malattia” di Erika. Vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, accompagnato dai premi per la miglior attrice alla Huppert e per il miglior attore a Benoît Magimel.

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