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"Manifesto" di Julian Rosefeldt

Il Palazzo delle Esposizioni ospita dal 26 febbraio al 22 aprile 2019 la mostra da titolo Manifesto” di Julian Rosefeldt, promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita Culturale e Azienda Speciale Palaexpo.

L’artista, nato a Monaco nel 1965 e residente a Berlino, è architetto e docente di Digital and Time-based Media all’Accademia di Belle arti di Monacoç. La passione e l’esperienza per architettura, fotografia e filmografia lo spingono a creare installazioni multischermo con straordinari effetti cinematografici che mostrano una profonda conoscenza della storia del cinema e un originale gusto per la narrazione.

L’opera Manifesto, scritta, diretta e prodotta da Rosefeldt, nasce nel 2015 dall’incontro con Cate Blanchett: un’installazione di 13 schermi che proiettano un collage di manifesti scritti da gruppi o artisti dell’Avant-garde del XX secolo. I riferimenti spaziano da Marx ed Engels, il cui manifesto serve da prologo, alla più recente artista Sturtevant.

Ogni video dura 10 minuti e trenta secondi: una struttura ad hoc è stata costruita all’interno del Palazzo delle Esposizioni allo scopo di renderli fruibili singolarmente all’interno di un coro in cui parole, suoni e immagini si sovrappongono con un effetto magico, originale e via via più significativo.

La versione per le sale cinematografiche risulta meno efficace rispetto all’installazione: si tratta di un unico lungometraggio che ripropone i 13 manifesti montati in sequenza, a detrimento dei suggestivi effetti di polifonia. Lo spettatore perde la molteplicità dei punti di vista e il montaggio in sequenza rimuove gli effetti sincronici. Nell’installazione, invece, si alterna l’intreccio di voci in simultanea a momenti in cui una sola voce si afferma su quelle silenti: l’opera invita l’interlocutore a focalizzare l’attenzione su un tema e i suoi quesiti.

Il lavoro è stato realizzato in dieci giorni di riprese a Berlino, della quale vengono svelati i segreti urbani, storici e architettonici. L’unica attrice, la due volte premio Oscar Cate Blanchett, interpreta quotidianamente un ruolo differente e calato in un diverso contesto. Di lei brilla l’eleganza di una dizione impeccabile ancor più del trasformismo apprezzato da molti.

Rosefeldt affida allo homeless, unico personaggio maschile, le parole dei situazionisti scandite tra le rovine di un impianto industriale: “L’arte moderna, soffrendo di una tendenza permanente verso tutto ciò che è costruttivo e di un’ossessione di obiettività, rimane isolata e impotente in una società che sembra incline alla sua stessa distruzione”. Tra i dodici personaggi femminili un’agente di cambio recita i proclami futuristi nella sala della borsa, un’operaia nell’inceneritore l’avanguardia architettonica: “Buttiamo all’aria monumenti, marciapiedi, porticati, gradinate”; una burattinaia che fabbrica il proprio alter ego invita sulla scorta dei principi surrealisti e spazialisti a “scendere in strada, revolver in pugno, e sparare a caso, per quanto è possibile nella folla” ; una punk coi tatuaggi e la faccia stralunata, declama il manifesto di Stridentismo e Creazionismo: “Non avete fatto i conti con la mia follia”. Altri personaggi catturano la mente di chi guarda prima dell’ultimo filmato, costituito dall’epilogo della maestra elementare che consegna agli alunni il collage di manifesti sul cinema: “sono in guerra con il mio tempo, con la storia, con ogni autorità contenuta in forme fisse e spaventate”.

La relazione tra manifesti e trama è tutt’altro che prevedibile: all’interlocutore il compito di associare personaggi, contesto e parole.

L’opera ha richiesto un significativo lavoro di ricerca e selezione dei testi storici dei manifesti: cinquanta quelli di gruppo oltre a tutte le dichiarazioni individuali di filosofi, antropologi, danzatori, registi, femministe. Per citarne alcuni Tristan Tzara, Philippe Soupault, Lucio Fontana, Constant Nieuenhuys, Aleksandr Rodchenko, Guy Debord, Filippo Tommaso Marinetti.

Al di là delle considerazioni sulla natura poliedrica di questo lavoro, si possono individuare alcuni punti chiave che favoriscano la riflessione. Rosefeldt mostra un vivo interesse per il manifesto come forma letteraria valida in se stessa: perché mettere insieme tanti testi lontani nel tempo, negli scopi, nei contenuti? È forse per “ridurli” ai loro elementi formali, a ciò che hanno in comune: assertività, chiamata all’azione, stile quasi “profetico”, enfasi, struttura per punti, declamazione per articoli e forza degli slogan? E questi elementi che significato possono avere oggi? L’artista riconoscendo il populismo moderno come un doppio negativo, una versione degenerata di questa nobile forma letteraria, invita ad una rilettura più universale di quel genere? Senz’altro ha il merito di invitare a osservare, a essere curiosi, audaci, consapevoli del valore del mutamento: dire dove questo conduca non è nelle intenzioni e nelle possibilità dell’artista, né di nessun altro.

di Maria Palombella

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