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"Mindhunter" di David Fincher: nella mente dei serial killer

Cos’è che la gente non farebbe agli altri?”; “Non c’è niente che non farebbe.
Sono nati criminali o lo sono diventati?

Interrogativi che vengono a galla durante il trailer di Mindhunter, serie Netflix prodotta e diretta da David Fincher (per 4 episodi, i primi e gli ultimi 2, sui 10 totali), un regista che sulla psicologia criminale ha costruito gran parte della sua filmografia e del suo successo.

Sin da Se7en (1995), infatti, Fincher ha sempre desiderato indagare la mente dei suoi protagonisti (dei killer, soprattutto) e questa serie è dunque una produzione coerente in una filmografia che annovera titoli come Zodiac (2007), Millennium – Uomini che odiano le donne (2011) e L’amore bugiardo – Gone Girl (2014). Dopotutto la sinossi della serie, ambientata nel 1979, parla chiaro: basandosi sul libro degli ex agenti speciali Mark Olshaker e John E. Douglas Mind Hunter: Inside FBI’s Elite Serial Crime Unit, i protagonisti studieranno a fondo le menti dei criminali catturati in modo da arricchire le loro abilità di profiler. Ed è proprio su Douglas che è stato plasmato l’Holden Ford (Jonathan Groff) dell’unità di scenze comportamentali, mentre per Bill Tench (Holt McCallany, che con Fincher aveva già lavorato in Alien³ e Fight Club) il riferimento è all’agente Robert K. Ressler, uno dei primi proflier statunitensi.

Cosa aspettarsi dunque da Mindhunter? Una serie crime in stile Lie to Me? O forse un incontro tra True Detective e Criminal Minds? Guardando il trailer si potrebbe optare per la seconda ipotesi, e ciò che lascia ben sperare è che già si respirano le atmosfere di Se7en e Zodiac (“Non è facile torturare la gente. È un lavoro duro, fisicamente e mentalmente, non credo che la gente lo capisca”), profumo di casa per gli amanti del cinema di Fincher, che potrebbe aver trovato nel piccolo schermo un altro medium per veicolare il suo messaggio. Il tono di rimprovero che si sente nella voice over – “Il nostro lavoro non è commiserare queste persone, il nostro lavoro è giustiziarle” – lascia pensare che, al contrario, i protagonisti cerchino di scavare a fondo: capire, prima di condannare in maniera irreversibile, facendo dei carnefici una risorsa per evitare che fatti atroci si ripetano nel futuro. Emblematica in tal senso la conclusione:

Come possiamo anticipare dei pazzi se non sappiamo come ragionano i pazzi?

Per scoprirlo, basta aspettare il 13 ottobre.

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