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Mine: intervista al regista Fabio Guaglione

Giovedì 6 ottobre uscirà in tutta Italia, distribuito da Eagle Pictures, il film Mine, opera d’ esordio di due giovani autori italiani, Fabio Guaglione e Fabio Resinaro.

Questo film conferma, in un’annata segnata  dai successi di Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti e Veloce come il vento di Matteo Rovere, una riscoperta da parte dell’Italia del cinema di genere ed è rappresentativo di come la svolta digitale abbia permesso ai giovani cineasti di esporre attraverso questo linguaggio universale le proprie visioni, storie e sogni aprendosi all’attenzione del mercato nazionale e internazionale.

Abbiamo intervistato Fabio Guaglione in occasione dell’ uscita di Mine ma, data l’ unicità del suo percorso professionale sempre vissuto in collaborazione con il collega Fabio Resinaro, è necessario raccontare prima la loro storia.

“La nostra intenzione, da sempre, è quella di raccontare storie universali e senza tempo ed è questo che ci spinge ad affacciarci al mercato internazionale. Non si tratta di una scelta strategica ma è semplicemente il luogo naturale in cui le nostre storie possono trovare casa”. (Fabio Guaglione e Fabio Resinaro)

Entrambi appassionati di cinema, fumetti, scrittura, musica e tutto ciò che riguarda la comunicazione, si conoscono nel 1995 in un liceo scientifico di San Donato Milanese e iniziano a sviluppare diversi progetti in comune. Senza iscriversi a nessun corso o scuola di cinema iniziano a “infiltrarsi” nell’ambiente cinematografico, preferendo la pratica alla teoria.

Nel 2004 raggruppano un team professionale per la realizzazione di un ambizioso progetto: un cortometraggio di fantascienza girato in 35 mm dal titolo E:D:E:N, che ottiene molti riconoscimenti in diversi festival (Nastri D’Argento 2004, Arcipelago Film Festival 2004, Sky Tv Award 2004, Future Film Festival 2005) soprattutto al di fuori dei confini italiani (Seattle Science Fiction film Festival 2008, Emirates Film Festival 2008, Boston Science Fiction Festival 2008, Festival Nèmo 2005, Dragon Con 2004, Manchester Festival of Fantastic 2004).

Successivamente, insieme a Sky Italia, danno vita a The Silver Rope, un mediometraggio drammatico/fantascientifico che diviene presto un vero e proprio evento internazionale nell’ambito dei cortometraggi.

Nel 2008, anno che vede Torino nominata Worldwide Capital of Design, vengono incaricati di realizzare un mediometraggio che costituirà uno degli eventi cardine degli Off Congress organizzati dagli UIA (Unione Internazionale Architetti). Nasce così il mini-kolossal Afterville, corto vincitore di importanti premi, come Miglior Corto di Fantascienza al Rhode Island Film Festival 2008 e Miglior Corto Europeo al Sitges – Festival de Cinema de Catalunya 2008, e che cattura l’ attenzione di numerosi producer americani.

Da gennaio 2009 sono rappresentati in Usa dalla CAA, la talent agency più importante di Hollywood, e il loro management americano è affidato alla The Safran Company.

Nella seconda metà del 2009 fondano la società MERCURIO DOMINA, la cui prima produzione ufficiale è il cortometraggio Myshoes (2011), per la quale rivestono il ruolo di produttori creativi.

Nel biennio 2010-2011 la Mercurio Domina produce il lungometraggio True Love, una co-produzione Italia/Stati Uniti girata tra Milano e Los Angeles. Il progetto, psychological thriller con venature sci-fi, è una joint venture con la Wildside e Peter Safran  (già produttore del film Buried – Sepolto con Ryan Reynolds).

Guaglione e Resinaro lavorano al film in qualità di sceneggiatori, produttori creativi e produttori. La Mercurio Domina si occupa della totalità della post-produzione e degli effetti visivi.

Il film ottiene un ottimo riscontro dai buyer internazionali e viene venduto in più di 70 paesi: un risultato straordinario per un microbudget movie indipendente. La release italiana avviene in un primo momento sulle piattaforme digitali Cubovision.it, RaiCinema Channel e iTunes. Successivamente il piano di lancio prevede un’edizione home video e uno sfruttamento tv sui canali Rai.

Nel 2014 Variety annuncia la nascita del loro nuovo progetto, Mine: un film prodotto da Peter Safran (produttore di Buried e reduce dal successo di L’evocazione – The Conjuring) e la sua Safran Company. Il protagonista della pellicola sarà Armie Hammer (The Lone Ranger, The Social Network, J.Edgar, The man from U.N.C.L.E.) e il produttore esecutivo del film Miguel Faura (già produttore di Enemy ed Escobar).

Al cast del film si sono aggiunti successivamente Annabelle Wallis (protagonista dell’horror Annabelle, prodotto da Safran, nonché star del serial televisivo Peeky Blinders  e dell’imminente La Mummia con Tom Cruise) e Tom Cullen (membro del cast fisso di Downtown Abbey e protagonista del cult Weekend).

Mine è il primo film che vede Fabio Guaglione e Fabio Resinaro come registi, oltre che sceneggiatori: è la storia di un giovane soldato americano (Hammer) che, dopo una missione fallita, finisce in un campo minato dove rimane bloccato con un piede su una mina antiuomo.

Da molto tempo i due autori stavano cercando una storia in cui si riconoscessero e che potesse metterli nelle condizioni migliori per esprimere la loro visione e il loro modo di raccontare, focalizzandosi su un progetto che avesse una forte idea di base e che permettesse loro di trovare un attore protagonista di richiamo in grado di accettare la sfida di un ruolo molto impegnativo.

Dopo aver visto numerosi film ambientati in uno spazio ristretto e angusto, hanno sentito l’esigenza di trovare un concept che permettesse un’unità di tempo e luogo alternativa.

Fabio Guaglione: «Abbiamo pensato di andare nella direzione opposta, un uomo bloccato in uno spazio infinito, desolato e ostile; questo scenario avrebbe permesso la creazione di situazioni complesse, nonché un vero e proprio one-man-show che avrebbe attirato un attore importante. Questo film rappresenta una metafora della condizione umana; a ognuno di noi è capitato di ritrovarsi in un un momento della propria vita in cui sembra di essere bloccati. Abbiamo cercato di esplorare questa condizione mentale con un viaggio che si muove sempre di più dalle circostanze esterne di un ambiente ostile verso l’interiorità del personaggio. Il nostro obiettivo era quello di fare dimenticare gradualmente allo spettatore la domanda che nei primi due terzi della pellicola è protagonista e fondamento della tensione, ovvero, come riuscirà a cavarsela? Nell’ultima parte del film la cosa che più ci interessava era quella di spostare l’attenzione sul conflitto interiore del personaggio di Armie Hammer, quello che dà il senso ultimo al film e che narra molto di più della storia di un soldato bloccato su una mina».

Nel raccontare la storia di un personaggio disperso in uno spazio infinito, quale è stato il vostro approccio creativo alla sceneggiatura e alla regia?

Per noi la fase di scrittura è fondamentale nella progettazione di tutti gli aspetti produttivi e concreti del film. Nelle nostre precedenti esperienze siamo stati sempre protagonisti in tutte le fasi della produzione: scrittura, preparazione, produzione, shooting, montaggio, post-produzione. Avere già in mente una visione sul risultato finale ci ha permesso di abbattere i tempi e i costi che portano dalla sceneggiatura alla scena finita. In merito a questo, il nostro lavoro sugli storyboard è stato utilissimo. La sfida centrale era quella di riuscire a intrattenere lo spettatore per tutta la durata del film, creando scena dopo scena una tensione crescente e mantenendo sempre vivo l’interesse verso il destino del protagonista. Per permettere questo, ci occorreva un evento importante più o meno ogni 4 pagine di script. Nel nostro approccio alla regia cerchiamo sempre di affrontare una storia come un’indagine sulla natura interna dell’Uomo, che porta, attraverso l’introspezione, alla riscoperta del nostro io più profondo e alla conoscenza della nostra natura primiginea.

Come siete giunti alla scelta di affidare il ruolo da protagonista a Armie Hammer? Come è stato lavorare con lui?

Inizialmente l’idea di Armie Hammer non ci convinceva molto. Avevamo dei pregiudizi nati dal fatto che, prima di Mine, lo avevamo visto sempre in ruoli molto solari, espansivi e brillanti, esattamente il contrario di quello che avevamo in mente per il nostro personaggio. Saggiamente, Peter Safran ci ha convinto dicendoci «se registi come Clint Eastwood, David Fincher, Gore Verbinski, e Guy Ritchie lo hanno voluto nei loro film, questo ragazzo deve pur avere qualcosa di speciale». Sin dal primo incontro con lui siamo stati travolti dalla sua energia e passione. Aveva capito immediatamente lo spirito della storia e del protagonista e non era minimamente spaventato dal doversi sobbarcare tutto il film sulle spalle, anzi, era letteralmente eccitato all’idea di poter mostrare la sua ampia gamma di qualità recitative in un one-man-show di 100 minuti. Dopo il primo incontro capimmo subito che Armie era la persona giusta. Da un punto di vista professionale, è stato un sogno lavorare con lui. Il suo punto di partenza recitativo è sempre ottimo: capisce il senso della scena e lo fa trasparire. Ed è in grado di seguire le direzioni della regia in maniera veloce e chirurgica. Umanamente, Armie si è rivelato sempre entusiasta e umile come pochi.

Come si è sviluppato il lavoro di produzione e post-produzione?

Una delle cose più impegnative e determinanti è stata trovare la location perfetta dove si sarebbe spesa praticamente tutta la produzione del film. La nostra idea originaria è sempre stata quella di un deserto sabbioso che avesse un senso sia da un punto di vista logistico che finanziario. L’unica location simile all’interno dei nostri confini europei è presente su una porzione dell’isola di Fuerteventura, che si trova nell’arcipelago delle Canarie, parte del territorio spagnolo. È così che è stato coinvolto nel progetto il produttore esecutivo Miguel Faura e la sua Roxbury. A causa di meccanismi di co-produzione internazionale tra Italia e Spagna non abbiamo potuto  lavorare con il nostro solito team. Abbiamo potuto scegliere solo una figura professionale italiana e abbiamo optato per Andrea Bonini. Appena atterrati a Fuerteventura, abbiamo conosciuto gli Head of Department che avrebbero lavorato con noi, accuratamente scelti da Miguel. Ci siamo quindi trovati di fronte al cuore della crew che avrebbe dato vita al film, abbiamo conosciuto il Direttore della Fotografia Sergi Vilanova, l’aiuto regia e lo scenografo. I primi momenti sono stati ovviamente di impaccio e imbarazzo. Fortunatamente si sono tutti rivelati professionisti eccezionali e personalità con cui è stato un piacere e un onore lavorare. Non solo riuscivano a interpretare perfettamente ogni nostra richiesta, ma il loro appassionato apporto creativo ha migliorato il progetto in ogni suo ambito. Le riprese sono durate cinque settimane e abbiamo lavorato a ritmi molto elevati, ma l’entusiasmo e la professionalità di tutte le persone coinvolte, tutti quanti innamorati della sceneggiatura, delle potenzialità e delle sfide che proponeva, sono stati gli elementi fondamentali che ci hanno permesso di ovviare alle difficoltà logistiche e fisiche incontrate. Abbiamo ricercato un approccio stilistico all’immagine che fosse il più possibile realistico. Insieme al Direttore della Fotografia abbiamo considerato che la soluzione perfetta fosse quella di usare il più possibile la luce naturale. Lo scenario desertico è stato un alleato fondamentale per ampliare la portata epica del film. La combinazione tra lo sfondo di una vastità desertica su cui si stagliavano pochi elementi o per la maggior parte del tempo un unico personaggio immobile, ci ha dato la possibilità di creare delle composizioni molto iconografiche e simboliche. Molti degli inconvenienti del set sono stati risolti nella lunga fase di post-produzione, durata quasi un anno. Al montaggio abbiamo lavorato con Matteo Santi e Filippo Mauro Boni.

Ricordiamo che Mine uscirà in tutta Italia in 200 copie giovedì, 6 ottobre, distribuito dalla Eagle Pictures.

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