News
Buon compleanno a Ken Loach, cantore dei working class heroes

Un altro mondo è possibile, ma soprattutto è necessario. Così parlò Ken il Rosso, il cantore dei working class heroes, all’assegnazione della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2016 per I, Daniel Blake. Ken Loach, il figlio di operai che ha studiato legge a Oxford per poi sbarcare in tv e al cinema, autore da cinque decenni di un cinema rigoroso e fieramente schierato, compie 85 anni il 17 giugno. Nativo del Warwickshire (come Shakespeare), prolifico e instancabile, moralmente e professionalmente segnato dalla sua profonda adesione al socialismo, Loach ha iniziato la sua carriera negli anni Sessanta come regista di serie tv firmate BBC, contribuendo a rivoluzionare il piccolo schermo con l’archetipico docudrama The Wednesday Play per poi gettarsi a capofitto nell’avventura del grande schermo con l’esordio Poor Cow (1967) e l’ottima opera seconda Kes (1969).


Sono gli anni del Free Cinema britannico, nei quali Loach inizia a fissare indelebilmente le coordinate della sua arte: spinto da una vocazione al realismo – spesso al limite dello stile documentaristico – racconta di (anti)eroi del sottoproletariato alle prese con un disagio sociale schiacciante, rappresentanti di un mondo lasciato ai margini dallo Stato e dalla borghesia. Fino a fine anni Ottanta l’attività principale resta comunque quella di documentarista televisivo, cui Loach alterna pellicole acerbe ma infiammate di impegno civile, da Family Life (1971), atto d’accusa al sistema sanitario, a Uno sguardo, un sorriso (1981), che inaugura uno dei temi più cari all’autore: la critica al governo di Margaret Thatcher (Primo ministro dal 1979 al 1990), cui Loach dedica una serie di pellicole che ne attaccano con forza la politica conservatrice e la sua eredità socio-culturale che ha marchiato indelebilmente la storia britannica.


L’era della Iron Lady e i suoi postumi sono così il substrato fondamentale di quelli che restano probabilmente i suoi film più riusciti e i più esemplari di un cinema fortemente contrassegnato dalla critica civile: Riff Raff (1991), Piovono pietre (1993), Ladybird Ladybird (1994) e My Name is Joe (1998) sono parabole umaniste di enorme spessore, piccoli grandi drammi che talvolta sfociano nella durezza estrema e talaltra sono rasserenati da toni leggeri, ma comunque asciugati dalla retorica e da facili leziosità anche quando si piomba nella più cupa disperazione.


Negli anni Novanta e Duemila (ma c’era già stata la trasferta tedesca di Fatherland nel 1986), Loach esce dai confini britannici per traslare la sua poetica rabbiosa e impegnata su altre latitudini e culture: affronta la questione irlandese con l’imperfetto L’agenda nascosta (1990), anzitutto, e ancora, un atto d’accusa contro i maneggi thatcheriani; rievoca la guerra civile spagnola e l’ascesa del franchismo nell’affresco storico Terra e libertà (1995); omaggia la rivoluzione sandinista in Nicaragua (senza omettere le colpe occidentali) in La canzone di Carla (1996); regala la sua unica (finora) incursione statunitense con Bread and Roses (2000), sulle lotte sindacali dei lavoratori immigrati; parla di amori interrazziali in Un bacio appassionato (2004); torna in Irlanda per raccontare la guerra d’indipendenza e le conseguenti lotte fratricide in Il vento che accarezza l’erba (2006), che gli vale una Palma d’Oro al Festival di Cannes (tornerà sull’isola di smeraldo anche con Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà, del 2014).


Il cinema di Loach si fa quindi più vario, anche se non sempre accompagnato dalla medesima intensità drammaturgica, alternando i pamphlet di denuncia come Paul, Mick e gli altri (2001), In questo mondo libero… (2007) o L’altra verità (2007) a incursioni nella commedia più leggera e ottimista, come la sorpresa Il mio amico Eric (2009) o La parte degli angeli (2012). Generi e contesti a parte, Loach è sempre e incondizionatamente dalla parte dei suoi protagonisti, che sono imperfetti (spesso alle prese con violenze, alcolismo o guai giudiziari), ma pur sempre combattenti ostinati e puri, anzitutto vittime di una società che vincola le loro esistenze. Sono per lo più uomini grezzi, eppure docili o teneramente innamorati: Robert Carlyle e Peter Mullan, apparsi in diversi film, restano forse i volti più credibili di quello che è principalmente un cinema d’attori, nel quale l’occhio del regista resta discreto e scevro da tecnicismi e artifici. Non mancano comunque, nella sua filmografia, grandi personaggi femminili (Family Life, Ladybird Ladybird, In questo mondo libero…) o adolescenziali (Kes, Sweet Sixteen, 2002).


Quello di Loach è insomma la più classica incarnazione del “cinema da festival”, con un legame speciale che lo unisce a Cannes dove, ad oggi, è stato ospitato ben sedici volte. Anche la Mostra di Venezia ha però un occhio di riguardo per l’autore britannico, tanto da tributargli nel 1994 il Leone d’oro alla carriera, preziosa chicca di una lunga serie di premi. Non che critica e pubblico (colto) siano sempre d’accordo con lui, e le cadute di stile, in quasi 50 anni di carriera, sono state parecchie. Se c’è un difetto che si può imputare a Loach è quello di essere sempre uguale a se stesso come un Woody Allen d’oltremanica, dalla cifra stilistica identificabile al primo frame, ma incapace di mantenere la medesima freschezza e sensibilità laddove l’idealismo ha lasciato spesso spazio alla faziosità e l’umanesimo leggero ha ceduto il posto a un certo pietismo.


Per questo, la scelta della giuria di Cannes 2016 di premiare con la sua seconda Palma d’Oro I, Daniel Blake (ancora un ritratto intimista di due protagonisti alle prese con un sistema burocratico opprimente) è stata la più ferocemente contestata nella recente storia del festival. Al contempo, però, a Loach va riconosciuto un requisito inequivocabile: la sua coerenza narrativa si accompagna a quella morale e politica, tanto che, in un mondo che ha visto il tramonto delle ideologie e il trionfo del liberismo forsennato, Ken il Rosso rimane uno degli ultimi grandi decani della sinistra intellettuale, sostenitore di una società priva di classismo e ingiustizie. Qualche esempio? La scelta di mettere alcuni suoi film gratis su YouTube e il rifiuto del Gran Premio Torino al Torino Film Festival 2012, per solidarietà con i lavoratori del Museo Nazionale del Cinema. Non sarà un caso che, esempio raro tra gli autori contemporanei, non si sia mai lasciato tentare dalle opportunità hollywoodiane. Sempre fedele ai suoi principi, sempre ostinatamente incapace di scendere a compromessi.

Categorie

Persone

Maximal Interjector
Browser non supportato.