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Tim Burton, ragazzo speciale per sempre

Tim Burton è passato da Roma a presentare il suo nuovo film, Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, che arriverà nelle sale il prossimo 15 dicembre in 300 copie, preceduto, l’8 dicembre, da una serie di anteprime in tutta Italia in attesa dell’uscita vera e propria. Burton è parso rilassato, ironico e totalmente in pace con se stesso e con il proprio lavoro come ormai da molti anni a questa parte, ha scherzato con i giornalisti presenti in un’elegante sala dell’Hotel St. Regis in apertura di conferenza (“Mi sembra un concorso col karaoke in cui tutti si passano il microfono…”), fatto battute sui propri calzini a righe bianche e nere e rivolto sorrisi timidi e grati un po’ a tutti. Magrissimo, dinoccolato e ormai alle soglie dei 60 anni, il regista californiano, adorabilmente tetro e dolcemente schivo come di consueto, è tornato per l’ennesima volta ai temi e alle atmosfere che l’hanno reso celebre tributandogli un posto intoccabile nell’immaginario collettivo non solo cinematografico. Elementi che si ripresentano puntuali anche in Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, tratto dal libro di Ransom Riggs: un volume con dalla sua tutte le carte in regole per andarsi ad incastonare armoniosamente nell’universo poetico burtoniano.

Mr. Burton, qual è stata la miccia per indurla ad affrontare tale progetto? 

Pur non avendo sentito parlare in precedenza del libro ne sono rimasto affascinato fin dal titolo, che allude a dei bambini peculiari e speciali. Mi ricordava la mia infanzia, da molto vicino. Per non parlare del modo in cui l’autore del romanzo aveva messo insieme gli ingredienti della storia assemblandoli l’uno con l’altro, basandosi oltretutto su delle vecchie foto che costellano il libro. Le fotografie del passato hanno una particolarità incredibile, perché quando le guardi ti raccontano una parte di ciò che è stato ma non tutto, catturano uno spirito e un’anima che sono totali, certo, ma non definitivi. Per cui hai sempre un margine per intervenire, per far fare capolino alla tua visione e darle vita. Se ci si pensa un attimo, è in fondo la stessa cosa che fa il cinema. Un processo per quanto mi riguarda più emotivo che intellettivo.

Tanti personaggi del film sembrano affini alla sua biografia, al suo vissuto personale. Per caso non è che anche lei ha avuto un nonno o una nonna speciale, una Miss Peregrine, un anello temporale tutto suo? 

Sono cresciuto dentro una cultura che ama dividere le persone per categorie, ma per fortuna ho avuto una nonna che appoggiava le mie peculiarità e un insegnante di arte – uno solo, beninteso – che mi incoraggiava a essere speciale, a essere semplicemente me stesso e nient’altro. Ti bastano un paio di persone, in fondo, che incoraggino quello che sei, facendolo fiorire e portandolo a sbocciare. Io in questo senso sono stato davvero molto fortunato e non potrei che ritenermi tale.

Il film è pieno di citazioni, da Jan Švankmajer a Ray Harryhausen, perfettamente incastonate però nel suo materiale narrativo.

Sono parte di me e mi nutrono esattamente come una certa visione dell’infanzia, che avevo tra l’altro già esplorato in una mia raccolta illustrata di poesie, Morte malinconica del bambino ostrica, che tuttavia era qualcosa di molto diverso rispetto alla storia di Miss Peregrine, naturalmente. In ogni caso ho avvertito subito una connessione immediata soprattuto col protagonista, Jake, col suo sentirsi strano e fuori posto a livello interiore. Si tratta di un sentimento col quale non posso che identificarmi all’istante.

Si tratta di uno dei suoi pochissimi lavori, insieme a Sweeney Todd ed Ed Wood, nel quale non sono presenti le musiche di Danny Elfman, né tantomeno quelle di Howard Shore. Come mai, in questo caso, non si è avvalso della colonna sonora del suo storico sodale?

Danny era già impegnato, di tanto in tanto succede. Accadde anche con Ed Wood, mentre per quanto riguarda Sweeney Todd in quel caso c’erano già le musiche di Stephen Sondheim, trattandosi di un suo musical. Io e Danny in realtà siamo come una di quelle coppie che si amano, litigano, si lasciano, poi tornano ad amarsi e si ripigliano. Ovviamente torneremo a lavorare insieme, ma lui in questo caso aveva anche bisogno di prendersi una piccola pausa da me. Poi è un musicista e i musicisti reagiscono sempre alle cose in maniera molto drammatica, è nella loro natura! (ride)

Predilige la stop motion o la computer graphic, a questo punto della sua carriera? 

Amo la stop motion perché è proprio la mia tecnica del cuore. Con essa puoi toccare e sentire le tue creazioni fisicamente, è qualcosa di estremamente tattile e i burattini sono un’altissima forma di arte. Ma anche la computer graphic è estremamente piena di possibilità. Qui c’è una lotta tra le bambole realizzata in stop motion, ma in ogni caso dipende sempre dal tempo che hai a disposizione, perché la stop motion è fantastica ma richiede davvero tantissimo tempo…

Com’è maturata la scelta di Eva Green per il personaggio di Miss Peregrine, data la differenza anagrafica rispetto al personaggio del libro? 

Io vorrei sicuramente una direttrice come lei. Eva aveva tutte le caratteristiche che  questo personaggio doveva avere. Doveva essere forte, divertente e al contempo drammatica, oltre ad essere credibile come persona che si trasforma in un uccello. Lei poi è in grado di parlare ed esprimersi anche solo con gli occhi, come le star del cinema muto. Durante la mia infanzia ebbi un’insegnante come lei, bellissima e magnetica, che tutti stavano puntualmente ad ascoltare imbambolati qualsiasi cosa dicesse, mentre con gli altri professori si scatenava puntualmente il putiferio!

Nel cinema contemporaneo trova che ci siano degli artisti che possano paragonarsi a lei e all’originalità del suo tratto? 

Ci sono sicuramente un sacco di personalità interessanti, ma mi dà i brividi pensare che possa esserci qualcuno come me, uguale alle mie caratteristiche. Non so neanche come sono e chi sono io per davvero, anche perché il mio modo di fare le cose col tempo è cambiato. Di sicuro però ci sono in giro parecchie persone visionarie, senza dubbio.

Miss Peregrine a un certo punto del film dice: “Qui non si parla del futuro, a noi piace vivere nel buon vecchio presente”. Qual è il suo rapporto con la contemporaneità, dove trovare storie nuove da raccontare è sempre più raro e gli effetti speciali, invece, abbondano? 

Si guarda sempre al futuro o al passato, ma vivere nel presente e goderselo appieno è anche per me la cosa più difficile in assoluto, come per chiunque altro. Il mistero, la poesia e la sorpresa sono tutte cose preziose, che però latitano nei ragazzi di oggi, divisi tra bullismo senza nome e like sui social, l’unico parametro in base al quale sono soliti misurare il proprio valore. Cosa che io trovo estremamente deprimente, esattamente come chi va a un evento e poi rimane incollato al telefonino per riprenderlo e filtrarlo. Viviamo una vita che in un modo o nell’altro è mutuata sempre da un dispositivo e mi ci metto dentro anch’io, naturalmente. Gli effetti speciali nei film li uso invece come semplice strumento per ottenere qualcosa, cerco di farne un uso consapevole e strumentale, con una finalità ben precisa.

Lei ha iniziato anche come regista di cinecomic. Ha sfiorato un Superman con Nicolas Cage che poi non si concretizzò, tra l’altro. Si tratta di una tipologia di racconto che la influenza ancora?

All’epoca pareva un territorio da indagare selvaggiamente, qualcosa di nuovo e propulsivo. Oggi invece esce praticamente un nuovo film coi supereroi ogni settimana. I miei bambini speciali di Miss Peregrine sono tuttavia anch’essi a loro modo dei supereroi, anche se restano dei ragazzini con le loro fragilità e difficolta. Ero interessato anche a questo aspetto ordinario della loro infanzia, che mi interessava raccontare al di là delle loro evidenti stranezze. Superman resta il miglior film che non ho mai fatto, ricordatelo così. Sarebbe stato davvero magnifico, e lo avreste adorato.

Pensa a uno specifico target di pubblico quando realizza i suoi film? 

Assolutamente no. Mi dicono che Sweeney Todd ad esempio vada molto forte ed eserciti un enorme fascino tra le ragazzine di dieci anni, ma loro in teoria non dovrebbero nemmeno vederlo! Non penso a nessuno nello specifico, né ai bambini né agli adulti né agli animali domestici (ride).

Nel film si regala anche un cammeo su un ottovolante. 

Sì, è un’apparizione velocissima. Avevamo finito le riprese e anche i soldi, per cui io e dei miei amici siamo saliti di nascosto su quest’ottovolante. Avrei mandato volentieri qualcun altro al posto mio se fosse stato possibile, perché io detesto davvero vedermi sullo schermo.

Gli occhi da sempre rivestono un’importanza singolare nel suo cinema, ma di recente paiono aver riacquistato una nuova centralità. Penso a Big Eyes, dove gli occhi erano per ovvie ragioni il fulcro dell’universo espressivo e malinconico del film, ma anche in questo caso essi sono causa di dolore e di disagio. Quanto le interessa il disadattamento e la sofferenza connessi direttamente agli occhi, all’atto stesso del vedere? 

Non posso negare che sia vero, anche perché per me i bulbi oculari una fonte di nutrimento primaria e qui lo sono anche per i vacui, dei personaggi del film in effetti tutt’altro che positivi. Si tratta di qualcosa che mi accompagna fin dai tempi di Nightmare Before Christmas, dove con la Disney si pensava a un protagonista principale animato privo di occhi, che alla fine sono stati resi molto più grandi del normale proprio perché coincidenti con due grossi buchi neri. Poco fa, tra l’altro, dicevo di aver scelto Eva Green perché in grado di comunicare solo con lo sguardo. Gli occhi sono una straordinaria metafora per me e non credo che ciò sia mai cambiato, rispetto ai miei esordi. Quando una persona entra in una stanza la prima cosa che noto di lei, dopotutto, sono proprio gli occhi.

In chiusura, cosa può dirci dei suoi progetti futuri? In particolare rispetto al sequel di Beetlejuice e al Dumbo live action della Disney.

Ho elaborato una regola frutto della mia esperienza passata che non consiste nel non parlare più di cosa dovrò realizzare in futuro. Perché in passato ho parlato di film che dovevo realizzare e poi puntualmente quei film sono stati cancellati. Sono arrivato alla conclusione che pianificare tutto  troppo nel dettaglio non è nemmeno la cosa migliore da fare. Di Beetlejuice posso dire soltanto che il personaggio continua a piacermi tantissimo, però si tratta davvero di una creatura enormemente insolita. Così tanto che ancora mi stupisco di come il primo film possa essere piaciuto così tanto.

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