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Trent'anni fa un reporter e un DJ ci raccontavano la guerra in Vietnam

Niente è più “soltanto”. Non oggi. Non qui.

C’è una grossa ferita che ancora brucia nel popolo Americano. Una cicatrice che, se ci si pensa, ancora perde sangue e sulla quale sono stati versati fiumi di inchiostro e girati metri di pellicola, dette e sprecate tante parole senza, forse, arrivare davvero a comprendere fino in fondo quanto successo. Certo, nel 1979 Francis Ford Coppola era forse riuscito a girare quello che, a tutti gli effetti potrebbe essere definito “il Film sulla guerra del Vietnam”, partendo dalle pagine di Joseph Conrad e dando vita ad un capolavoro assoluto come Apocalypse Now. E a distanza di 8 anni, accade che nelle sale cinematografiche escano tre pellicole sull’argomento, tra cui una proprio di Coppola, Giardini di pietra, ma anche Stanley Kubrick decise di cimentarsi con un argomento così delicato, come del resto Barry Levinson, ed sono proprio queste due pellicole che hanno rinnovato l’immagine sulla guerra alla fine degli anni ’80. Naturalmente sarebbe infruttuoso cercare un confronto, perché la distanza artistica ed estetica tra Full Metal Jacket e Good Morning Vietnam rende le due opere quesi incomparabili, eppure qualche punto di contatto c’è, ed è interessante vedere come lo stesso evento, anche di tale portata, possa essere raccontato con efficacia e in maniera così differente.



Thiriller di guerra l’opera di Kubrick, commedia drammatica il film di Levinson: entrambi fanno leva su due personaggi particolari, a modo loro comunque fuori dagli schemi, entrambi salvi e congedati, entrambi con ferite che difficilmente dimenticheranno. Il Soldato Joker (Matthew Modine) di Kubrick è un reporter di guerra, l’Adrian Cronauer (Robin Williams) di Levinson è invece un dj, e già questi ruoli definiscono il tono differente con cui si affronta l’argomento: il clima cupo, crudo e di tensione raccontato da Joker non si trova nelle esilaranti parodie delle notizie raccontate da Cronauer, anche se, entrambi, denunceranno la censura preventiva che impediva la vera informazione, sostituita da notizie approvate e modificate ad hoc per far sapere alle truppe solamente ciò che il governo statunitense voleva sapessero, ossia tutto, tranne la verità. Levinson dona alla sua pellicola un tono quasi documentaristico, per lo meno all’inizio, mostrando quanto di bello potesse esserci in Vietnam, con immagini quasi bucoliche e soldati anche sorridenti, ma sono sequenze che stridono con una delle più iconiche del film, quando sulle note di What a wonderful world di Louis Armstrong vengono mostrati i morti, gli attentati, le esplosioni e gli orrori della guerra. 



Un effetto straniante, quasi quanto quello dei soldati che in Full Metal Jacket cantano la marcia di Topolino. Una guerra dai più definita assurda, che necessita di immagini ossimoriche per essere raccontata, immagini che stridano per rimanere impresse e per uscire dalla retorica. Stanley Kubrick, per raccontare l’orrore, parte dall’addestramento, da un ufficiale despota e dalle reclute soverchiate e umiliate, come se l’assenza di umanità fosse anch’essa parte della preparazione a ciò che aspetterà i soldati una volta arrivati sul campo. Joker si guadagna il suo soprannome prendendosi gioco del sergente Hartman, chiamandolo con l’appellativo di John Wayne, scelta non casuale visto che l’attore, oltre ad incarnare l’immaginario dell’uomo forte americano, era anche uno dei pochi ad essere stato apertamente favorevole alla guerra in Vietnam, tanto da essere anche regista di un film, Berretti Verdi (1968), che esalta dichiaratamente il conflitto: assurdo se si pensa che è stato girato proprio nell’anno simbolo del movimento pacifista. Dopo l’addestramento, la guerra, con Joker che si fa mandare al fronte di Huẽ perché stanco della censura applicata sui suoi articoli, ed è proprio laggiù che sarà costretto ad uccidere, per sopravvivere, per vendicare. Non c’è briciolo di bellezza nel Vietnam racccontato da Kubrick, il dramma traspare da ogni fotogramma e la speranza sembra non aver mai dimorato sul territorio vietnamita. Non sarà chiamato a tanto Cronauer, per il quale l’allontanamento è voluto dai suoi superiori perché ritenuto fastidioso, non conforme alle regole e alla chiusura militare, con Robin Williams capace di regalare una delle sue performance più intense. Entrambi abbandonano il fronte, entrambi sopravvissuti ed entrambi con amarezza nel cuore per ciò che hanno visto, fatto, raccontato. Cambiati. Per sempre.

Sono proprio contento di essere vivo, tutto d’un pezzo e prossimo al congedo… certo, vivo in un mondo di merda, questo sì, ma sono vivo… e non ho più paura.

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