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Workshop su Alfred Hitchcock: i vostri elaborati!

Al termine del workshop su Alfred Hitchcock abbiamo chiesto ai partecipanti di scrivere un’analisi del cinema del grande regista inglese. Ecco i contributi più meritevoli!

 

Andrea Cavo

L’UOMO CHE SAPEVA TROPPO POCO

La sequenza del dottore nella bottega del tassidermista

 

James Stewart ha dato il volto ad alcuni dei più famosi eroi del cinema di Alfred Hitchcock, ma ha anche interpretato il più inetto dei suoi personaggi.

Diciamo la verità: il piccolo Hank non avrebbe avuto alcuna possibilità se la sua sopravvivenza fosse dipesa esclusivamente dalla capacità investigativa del padre che ancora oggi lo starebbe cercando nella bottega del tassidermista Ambrose Chapell. Fortunatamente per lui però c’è Doris Day che, come fosse un Mr. Wolf ante litteram, risolve problemi. Josephine (il personaggio della Day) intuisce, appena arrivata a Marrakech, che qualcosa non quadra; sarà poi lei a capire che il messaggio dato da Louis Bernard è riferito alla cappella di Ambrose e non ad un tassidermista di nome Ambrose; il suo urlo salverà il primo ministro vittima dell’attentato e sarà il suo canto a far fischiare il piccolo Hank permettendo così di essere individuato dal padre. Mentre sua moglie è occupata a “risolvere problemi”, James Stewart che fa? Cerca vanamente di prendere la situazione in mano facendo un passo falso dopo l’altro, riuscendo solo a tardare l’arrivo dei titoli di coda perché, se avesse ascoltato la moglie e quindi chiamato la polizia prima di entrare nella cappella il film sarebbe durato un’ora in meno. Hitchcock, ne L’uomo che sapeva troppo, decide di inserire tutta la sua tipica ironia proprio nel rapporto marito e moglie, volendo forse attaccare un’impostazione familiare patriarcale in cui la donna è identificata come “la moglie di”; poco importa che Josephine Mckenna sia una cantante di fama internazionale e lui un semplice medico di quartiere. Immagine dell’inadeguatezza del dottor Mckenna è la sequenza dell’arrivo alla bottega di tassidermia e la successiva colluttazione. Inizialmente Stewart parla con il Sig. Chappell, convinto che egli sia il mandante del rapimento del figlio. Durante questa conversazione, il tassidermista viene inquadrato con alle sue spalle il busto di una tigre ruggente, che è tanto pericoloso quanto lo è Abrose Chappell: per niente.

 

La situazione si scalda, e il dottore si agita, dimenandosi animatamente quando viene afferrato con forza dai dipendenti della bottega. Proprio in questo momento di tensione Hitchcock si prende nuovamente gioco dello spettatore, ma soprattutto del suo protagonista. Il signor Ambrose Chappell (padre dell’Ambrose accusato) afferra con fermezza un pesce-sega portando alla gola del nostro eroe il rostro dell’animale impagliato. Quello che sta facendo tuttavia è ben lontano da un tentativo di intimidazione, egli sta infatti cercando di limitare i danni che Ben McKenna sta facendo all’interno della bottega. Liberatosi dalla presa degli operai, Benjamin riesce persino a farsi “mordere” dalla tigre impagliata subito prima di fuggire sbattendo fragorosamente la porta. La sequenza si chiude con un primo piano di un leone che sembra essere incredulo. Incredulo come lo spettatore che alla fine del film si chiede cosa il piccolo Hank abbia fatto di male per farsi augurare da un’amica della madre di aver ereditato l’intelligenza del padre e (solo) la bellezza dalla madre. Augurio che sembra non essersi avverato vista la disfatta che una sua aguzzina subisce in una partita a dama contro di lui.

 

 

Margherita Gera

UNO SGUARDO DALLA FINESTRA SUL CORTILE

 

Sotto i titoli di testa le tendine di una finestra si alzano e, come fossero un sipario, ci mostrano la scena in cui da quel momento in poi si svolgerà il film, o meglio, i film, di cui noi e il protagonista saremo gli spettatori: un caseggiato di mattoni attraverso le cui finestre possiamo scorgere dei momenti di vita quotidiana dei diversi abitanti, ognuno con la sua storia, le proprie passioni, abitudini e debolezze. Si apre così La finestra sul cortile di Hitchcock.

Dopo averci guidati nell’osservazione dei vicini, la macchina da presa torna dietro alla finestra iniziale ed entra nell’appartamento del protagonista, mostrandoci un uomo con una gamba ingessata seduto su una sedia a rotelle, una macchina fotografica sfasciata, delle fotografie di incidenti appese al muro e delle riviste di moda. In questo modo Hitchcock, unicamente grazie al mezzo visivo, ci racconta chi è Jeff (James Stewart): un fotoreporter, costretto a un periodo di immobilità a causa di un incidente sul lavoro. La sua condizione non gli permette altro che guardare fuori dalla finestra e osservare la vita che scorre nelle case degli altri, passatempo di cui non può fare a meno e in cui anche noi, attraverso delle continue soggettive, veniamo coinvolti. Il tema del voyeurismo, che compare anche in altri film del regista, in La finestra sul cortile diventa centrale: insieme a Jeff tutti noi spettatori siamo dei “voyeur”, spinti dall’istintiva curiosità per le vicende altrui. Ed è proprio per questa sua abitudine che inizialmente Jeff viene accusato di morbosità dall’infermiera Stella e dalla ricca e affascinante fidanzata Lisa (Grace Kelly), che si recano spesso a casa sua: la prima per aiutarlo a rimettersi dall’incidente, la seconda per provare a convincerlo di sposarla. Quando però nell’appartamento di fronte, in cui abitano i coniugi Thorwald, la moglie scompare e Jeff inizia a sospettare che il marito l’abbia uccisa, anche loro non possono resistere alla tentazione di osservare i vicini e si lasciano coinvolgere nel piano per smascherare l’assassino. Dal momento che Jeff non può muoversi sono proprio le due donne infatti a oltrepassare la finestra, ad addentrarsi nel cortile e Lisa addirittura nel palazzo di fronte, dentro all’appartamento dove si suppone sia avvenuto il delitto, diventando a sua volta osservata e dando vita ad un gioco di sguardi tra lei e Jeff che terminerà con l’arrivo del signor Thorwald.

In una scena successiva, attraverso il teleobiettivo della macchina fotografica di Jeff, vediamo Lisa di schiena che mostra la mano con la fede della donna uccisa al dito, per far capire a Jeff che ha trovato la prova dei loro sospetti. Poi l’obiettivo si sposta e inquadra Thorwald che scorge il gesto di Lisa e intuisce che è indirizzato a Jeff, volgendo per la prima volta il suo sguardo inquietante in camera e quindi verso di lui. La stessa macchina fotografica si rivelerà essere l’unica arma a disposizione di Jeff per difendersi dall’uomo che poco dopo irrompe nel suo appartamento, colpendolo direttamente alla vista con una serie di flash accecanti.

Si può quindi affermare che tutto il film è basato sullo sguardo: quello del regista che diventa il punto di vista del personaggio, e che a sua volta è anche il nostro, fino a certi punti in cui, quando il protagonista è sopraffatto dal sonno, siamo solo noi a poter vedere ciò che accade. Il fatto che lo spettatore sappia di più di quello che conoscono i personaggi è infatti l’elemento fondamentale per la suspense nel cinema di Hitchcock, che in questo film riesce a combinare sapientemente momenti di pura tensione con altri che rimandano alla commedia romantica, ma sempre contraddistinti dall’eleganza ed ironia tipiche del grande regista. Come accade nella scena che è la perfetta conclusione del film, quando Jeff dorme placidamente con le due gambe ingessate e Lisa al suo fianco, abbandonati gli eleganti vestitini haute couture per una tenuta più sportiva, legge un libro di avventura che però, dopo un’occhiata a Jeff addormentato, sostituisce prontamente con una rivista di moda.

Infine calano le tende sulla finestra da cui abbiamo amato così tanto sbirciare quel mondo al di fuori da noi, nel quale però in fondo ci riusciamo a rispecchiare. Quella finestra che non è altro che il cinema e quello sguardo che diventa il nostro per il tempo di un film.

 

Mattia Migliarino

ANALISI ALFRED HITCHCOCK

 

Cercare di scrivere nero su bianco un’analisi approfondita del cinema di Alfred Hitchcock è un’impresa ardua anche per i più ferrati teorici e storici del cinema. Probabilmente non basterebbero intere biblioteche per contenere quanto si è già scritto su questo grande regista, forse uno dei più grandi di tutti i tempi, sicuramente il più innovatore.

Il primo incontro tra il regista inglese e il cinema non parte dietro la macchina da presa ma come assistente alle luci e all’illuminazione (elementi che saranno poi determinanti nei suoi lavori alla regia con una forte influenza data dalle luci e ombre espressioniste), che permettono al giovane Hitchcock di mostrare il suo passato da perito elettrotecnico. Il passaggio all’aiuto registico sarà il trampolino di lancio verso l’apprendimento di quel mestiere che lo renderà famoso in tutto il mondo.

L’esordio alla regia di Hitchcock avviene nel 1925 con Il labirinto delle passioni alla fine del periodo del cinema muto e alle porte di quello che sarà il cinema sonoro. Possiamo quindi avere già una divisione per quanto riguarda il suo cinema: da una parte gli esordi con il muto e dall’altra il successivo passaggio al sonoro, che avverrà nel 1929 con Blackmail. Non è un caso che nel primo periodo il giovane regista inizi a sperimentare quegli espedienti che gli saranno molto utili per raccontare le proprie storie. Un maestro dell’immagine come lui, che fa del linguaggio cinematografico (soprattutto del montaggio) una vera arma, riuscì a utilizzare ogni singolo fotogramma come mai nessuno prima.

Nel film Il Pensionante (1927) la trasparenza del soffitto tramite un trucco ottico permette al personaggio non solo di vedere i passi di un uomo al piano di sopra ma anche di sentirli, un trucco fotografico che attiva entrambi i sensi in un tipo di cinema che ne prediligeva soltanto uno. L’utilizzo di effetti ottici è un classico nel cinema di Hitchcock di cui si serve per coinvolgere sempre di più lo spettatore, fargli capire e sentire qualcosa, molte volte aiutandolo e altre volte confondendolo. Questo concetto può essere spiegato solo tramite le parole dello stesso Hitchcock: “il cinema non è il cosa ma il come”. La commistione tra immagine e senso dato allo spettatore toccherà l’apice con pellicole del suo periodo americano come Io ti salverò (1945) in cui con l’aiuto dell’artista surrealista Salvador Dalì riuscirà a ricostruire a livello profilmico la forma dei sogni e La donna che visse due volte (1958) in cui il connubio tra una carrellata in avanti e uno zoom all’indietro creeranno il suo famoso effetto vertigine.

Ma la genialità del regista britannico non è circoscritta soltanto all’innovazione tecnica. Le tematiche morali che Hitchcock riesce a toccare riguardano molte volte le sue esperienze personali e soprattutto legate alla sua infanzia. L’innocente che non ha colpa è sicuramente ricorrente nelle sue pellicole. Lo stesso Hitchcock racconta tramite un aneddoto che da bambino venne arrestato (sotto richiesta segreta del padre) e portato in carcere per qualche ora:, la volontà del padre era di far capire al figlio cosa succede a chi si comporta male. Questa vicenda rimarrà ancorata al regista per tutta la sua carriera indirizzando molto il suo cinema. In pellicole come L’uomo che sapeva troppo (1934) e Il club dei 39 (1935) abbiamo dei personaggi che vengono colpevolizzati ma che sono in realtà innocenti, il che trae anche in inganno lo spettatore, molte volte quasi fino alla fine e altre volte prima della metà del film introducendoci a un altro concetto molto caro al regista: quello della suspense. L’utilizzo che Hitchcock fa della suspense fa ancora oggi scuola. In una celebre intervista di Francois Truffaut, Hitchcock spiega l’enorme differenza che c’è tra la sorpresa e la suspense evidenziando come nella seconda scelta lo spettatore abbia una conoscenza in più rispetto ai personaggi della vicenda. La pellicola che meglio evidenzia tutto questo è Sabotaggio (1936) dove un ragazzino con l’obbiettivo di portare a destinazione un pacco si fa largo nella città e viene continuamente ostacolato da alcuni eventi. Hitchcock in questo caso gioca sul fatto che solo lo spettatore sa che all’interno di un comunissimo pacco c’è in realtà una bomba ad orologeria.

Tematiche e espedienti tecnici volti a innovare il linguaggio cinematografico sono da Hitchcock portati al punto più alto che il cinema classico abbia mai toccato. Alfred Hitchcock con Psyco (1960) pone una cesura che porterà all’avvio del cinema moderno. Il film ha tutto per essere fuori dai canoni classici: la mancanza di intreccio amoroso, la morte della star a metà del film, e la falsa pista che il regista fa seguire allo spettatore. Alfred Hitchcock, oltre che innovatore ed esteta, è anche un rivoluzionario che ha cambiato il modo di fare e intendere la settima arte.

 

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