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Workshop su Xavier Dolan: i vostri elaborati

Al termine del nostro workshop su Xavier Dolan del 24 novembre abbiamo chiesto ai partecipanti di scrivere un elaborato relativo al cinema del regista canadese. Ecco quelli più interessanti:

 

Katia Brega

Laurence Anyways – D’elles/ Rain Scene: https://youtu.be/rx1McJHf6B0

Cielo bianco, edificio bianco e un manto di neve occupa più della metà inferiore dello schermo, come una pagina bianca ancora tutta da scrivere. Nevica. Una quiete che si trasformerà presto in tempesta. Fred nella sua casa tutta bianca smista la posta. Tra le buste bianche c’è un pacchetto marrone, lei legge il mittente e la preoccupazione le inonda subito il volto, la bocca, gli occhi. Stacco. Fred è in sala seduta su un divano dai colori pastello. Dietro di lei una parete sul panna mostra righe disordinate nere che ricordano una pioggia monotona, come la vita che sta conducendo con la sua famiglia. Fred ha davanti un tavolino con un portacenere e un soprammobile: tutti e tre rotondi. Sul tavolino ci sono anche due libri… forse sono quelli delle loro vite che si sono una, due, tre volte incrociate e poi separate in modo circolare. Posa di scatto la mano sul pacchetto, chiude gli occhi, fa un respiro profondo e lo trascina sul divano a sé ancora più velocemente. Lo scarta con violenza in modo irrazionale, poi ritrova la ragione: lo pulisce dai pezzetti dell’imballaggio e soffia via quelli ancora rimasti. Un altro respiro profondo e legge il titolo del libro “D’Elles” di Laurence Alia. Poi dice: “Bene!”. Per farsi forza. Stacco. Fred sta leggendo il libro e la m.d.p. si avvicina sempre di più a lei come le poesie del libro si insinuano sempre più in profondità nel suo cuore. Si sente il rumore di un fiume in piena che sta per sfociare nel mare, mentre il cuore sembra voglia esploderle fuori dal petto: il respiro si fa profondo, anche se lei cerca di controllarlo invano, come ha cercato di fare negli ultimi anni da moglie e madre con il suo passato. Il volume dell’acqua aumenta sempre più come se le sue emozioni e lacrime sentissero il bisogno di urlare e di uscire finalmente allo scoperto sfociando libere, pungolate dalle poesie appena lette. Così una cascata dirompente inonda la stanza e Fred viene travolta da lacrime, ricordi e sentimenti troppo a lungo repressi.

 

Elena Ventola

J’ai tué ma mère – Hubert insegue la madre

La scena avviene quando Hubert, prima di scappare dal collegio, sta scrivendo una lettera per la madre (Chantal): in tale momento immagina un inseguimento tra lui e lei.

Guardando il paesaggio in cui si svolge la scena della corsa di Hubert verso la figura materna, ci si rende conto del collegamento tra la lettera e il pensiero mentale del protagonista. Egli scrive all’interno della lettera per la madre: “Se mi vuoi parlare vieni nel mio regno”; con il “mio regno”, intende, il luogo in cui vivevano prima del divorzio, lui e i genitori; infatti, l’ambientazione risulta molto simile, se non quasi uguale, a dove si trovava la prima casa di Hubert e Chantal, quando vi erano molti ricordi felici tra i due.

Ma come mai la scelta di tale territorio per questo pensiero mentale? Prima di tutto rimanda ai ricordi di Hubert, di quando era piccolo e veniva rincorso dalla madre; qui, invece, accade proprio il contrario, è il figlio che insegue la madre, in cerca dell’affetto che vorrebbe e per questo cerca il modo di avvicinarla a sé.

La caratteristica saliente della scena è il vestito da sposa di Chantal, il quale potrebbe far pensare al complesso di Edipo, ma che in realtà rappresenta più un allontanamento per il figlio dalla figura materna.

La visione di un altro uomo o altro matrimonio, a cui allude il vestito da sposa, potrebbe far pensare che il figlio si senta attaccato, non tanto da una figura maschile reale (visto che all’interno del film, oltre all’ex marito non vi è nessun altro che sembra sostituirsi come padre surrogato), ma più come una visione originale della perdita della madre e di questo suo continuo allontanarsi; al posto della morte come allude la citazione iniziale del film, un modo nuovo e particolare per rappresentare la perdita della figura materna.

In questa scena, si può cercare di capire ciò che Hubert non riesce a esprimere a parole: ha bisogno del loro legame e del suo affetto come quando era piccolo e appunto per questo torna nel luogo in cui tutto è cominciato.

 

Giulietta Rattegni

Un tema caro a Xavier Dolan: la ricerca di un amore.
Tre storie per un unico desiderio: l’amore incondizionato. Un piccolo mattone rosa su un muro di mattoni bianchi
.

 

Torna sovente e prendimi,

palpito amato, allora torna e prendimi,

che si ridesta viva la memoria

del corpo, e antiche brame trascorrono nel sangue,

allora che le labbra ricordano, e le carni,

e nelle mani un senso tattile si raccende.

 

Torna sovente e prendimi, la notte,

allora che le labbra ricordano, e le carni…

 

(Torna, Costantino Kavafis)

 

Confessione #1

AMORI IDEALIZZATI – Goodbye kiss, Kasabian

 

“Ieri notte ti ho detto basta così. Forse non saprai mai quanto sia stato difficile scegliere di non avere più tue notizie, di non pensarti e di non cercarti. Ho capito che il mio amore per te è troppo prezioso e non posso più permettere a nessuno di rovinarlo, nemmeno a me stessa. Ho scelto di lasciarlo andare via perché bruciava troppo e io stringevo troppo forte. Ho deciso di darmi tempo. Ma ti volevo dire che esiste ancora quell’immagine. Io e te in quell’appartamento, io dietro un tavolo e tu su una poltrona a scambiarci sguardi complici e a scrivere. Forse ho trovato qualcuno che mi desidera, che ha bisogno di me, che mi ama incondizionatamente e che accetta anche il mio amore più segreto, il tuo. So che a modo tuo mi ami, non come vorrei, nemmeno come vorresti tu. Chiedevamo troppo e volevamo cambiarci. È la prima volta che decido di mollare la presa da qualcosa a cui mi sono aggrappata per così tanto tempo. Sono vulnerabile ora, come lo sono sempre stata con te. Ti prego non cercarmi.

Il mio amore era come un giorno d’aprile che rassicura e calma i pensieri cupi dell’inverno. Mi bastava anche solo un’ora di pura frenesia per cancellare dall’anima i segni di cento giorni infelici; un solo tuo sguardo per farmi sentire diversa, nuova, bellissima. Il mio cuore è troppo lento per raggiungerti e i miei occhi troppo stanchi per vederti partire di nuovo. Ho paura di dimenticarti e di perdere i piccoli dettagli. Il tuo odore quando ci siamo salutati, la barba tagliata corta sulle guance, i capelli arruffati, il cappotto abbottonato sotto il mento, le fossette che disegnano un arco stupendo ai lati della bocca. Non ce l’ho fatta, le ho ripercorse ancora una volta con il dito.

Forse passerà del tempo, ma se l’amore fa così male, allora non lo voglio. Non poteva continuare, alla fine uno dei due ci avrebbe lasciato davvero. Questo è un addio e la fine di una storia. La storia del mio primo amore. Tenera è stata sempre con noi la notte, ma oggi ha vinto portandoti via. Non ti voglio di nuovo con me, ma non aspetto altro che un tuo ritorno.”

 

Confessione #2

AMORI PERDUTI – There Is a Light That Never Goes Out, The Smiths

 

“Ci baciavamo seduti su una panchina alla fermata della metropolitana. Tu mi avevi appena dato la tua giacca di pelle che, infreddolita, avevo con poco imbarazzo accettato. Mi tenevi le mani strette mentre io, con le gambe accavallate, mi avvicinavo sempre di più a quella morsa calda e dolce che è l’abbraccio.

Poi un uomo con un maglione turchese si avvicinò masticando delle patatine, quelle del sacchetto rosso con la scritta “crik crok” bianca e che fanno sempre troppo rumore quando sei in silenzio tra la gente che torna a casa. Lui si sedette proprio dietro di te e io, dalla tua spalla, potevo osservarlo nella sua ridicola routine che prevedeva per merenda quelle fastidiose sfoglie scricchiolanti.

Non saprei dire come quella presenza così insistente e casuale mi fece allontanare da ciò che la mia lingua già da otto minuti stava facendo, ma mi resi conto, con stupore, che non era un caso che io stessi baciando proprio te e non il tizio mangiatore compulsivo seduto accanto.

L’amore è una metafora? Una serie di coincidenze? Forse è un’impronta indelebile (come la chiama Milan Kundera) nella nostra memoria poetica e un linguaggio segreto nel dizionario destinato ad ognuno di noi. La sera che decifrai le nostre parole comuni ero seduta su una panchina e aspettavo la metropolitana, con la tua giacca di pelle sulle spalle e ti baciavo. Penso che sia per via di quelle parole, se il tizio con il maglione turchese sia rimasto solo uno sconosciuto, mentre tu l’uomo che ho amato.

Un giorno mi hai detto: “Il tempo non esiste, se ci pensi bene capisci come tutto sia inutile e quanto sia importante questo momento.” Allora suonava così scoraggiante dare tutta questa aspettativa al presente senza riserbi per il futuro.

Passiamo la nostra vita ad aspettare anche un solo giorno felice in cui poter dire: “oggi sono davvero felice” e quando arriva, e arriva più spesso del previsto, non ti accorgi nemmeno di averlo appena vissuto. E l’unica cosa che ci rimane è la nostalgia del passato; la malinconia diventa il dono che ci concediamo.

Un mattino presto. Tu ed io in bicicletta verso il mare, nell’aria il profumo del pane e delle colazioni appena sfornate. Tra le stradine acciottolate con due asciugamani e la crema sulle spalle. L’odore fresco del mare, tu ti giri e un po’ addormentato mi schiocchi un bacio tra la bocca e il naso.”

 

Claudia Ronchi

Laurence Anyways – La scena ‘onirica’ dei vestiti che cadono dal cielo

In occasione del workshop di Xavier Dolan, abbiamo analizzato tutta la sua filmografia (corposa e di spessore, considerando la giovane età del regista) e inevitabilmente abbiamo passato in rassegna anche diverse sequenze di Laurence Anyways, inclusa la sequenza “onirica” dei vestiti che cadono dal cielo. La scena in sé mi ha suscitato una constatazione sulla volontà del regista di far capire al pubblico come saremmo più liberi, naturali e felici senza tutte le infrastrutture imposte dalla società. I vestiti cadono dall’alto verso il basso, quindi sopra le persone, ed è un qualcosa che, a lungo andare, accumulandosi, schiaccia chi sta sotto. Ed è proprio questo che fa, in fondo, una società: per il quieto vivere impone una serie di regole e di comportamenti che cercano di dare un‘impostazione alle persone. Se si esce dai “binari” poi succede quello che succede a Laurence (discriminazione, emarginazione, rifiuto etc.). È una scena che pare liberatoria perché apparentemente i due sembrano finalmente poter stare insieme, ma i vestiti che cadono dal cielo fanno presagire i “pesi” che dovranno sopportare i due protagonisti (lui, infelice perché non genuinamente accettato dalla società; lei, infelice perché non può amare la persona che ha conosciuto soprattutto a causa del contesto sociale). Vedendo tutto il lungometraggio (definizione totalmente calzante in questo caso, visto che il film dura 168 minuti), si ha la conferma della determinazione di Dolan di dimostrare non solo la chiusura pregiudizievole della società verso il diverso, ma soprattutto il rifiuto di comprendere e accettare qualcosa che non si sa bene che cosa sia. Laurence non svela di essere gay. Laurence vuole “solo” diventare una donna perché sente che quella è la sua vera vocazione: ed è qui che il protagonista esce “dai binari” e inebetisce chi lo circonda. Infatti, in una sequenza con Fred, Laurence chiede espressamente alla fidanzata “Cosa vuoi? Una famiglia? Un figlio? Te li posso dare”. Laurence non vuole lasciare Fred, la ama, è la sua A-Z (la prima e l’ultima). E anche Fred inizialmente, nonostante l’opposizione di madre e sorella, vuole provare a portare avanti la relazione. Fred, dopo un primo momento di incredulità, è convinta che la storia tra loro due possa continuare, nonostante una situazione non definibile in nessuno degli schemi conosciuti, andando oltre le convenzioni perché, come dice alla sorella, “la nostra generazione è in grado di affrontare anche questo”.

Ma il contesto sociale si rivela più forte e incapace di analizzarsi nel profondo per cercare di capire e accettare questo genere di nuove situazioni, e Dolan esprime questo concetto con il suo sapiente uso degli sguardi in diverse sequenze: dalla scena iniziale quando proprio attraverso gli occhi di diverse persone il regista inizia a spiegarci quello che succederà nel film; a quella della scuola quando Laurence si presenta per la prima volta vestito da donna; a quella del ristorante dove Fred ha una crisi di nervi e urla nel locale spaccando i piatti; fino anche alla scena della festa in cui Fred, da sola, incontra quello che diventerà suo marito. Sguardi sempre accusatori, indagatori, indignati, increduli, a volte sarcastici ma mai benevoli. E proprio sguardi e struttura sociale sono i temi di una delle ultime sequenze, quella dell’incontro vis-à-vis con la giornalista che si rifiuta di guardarlo, e in cui Laurence parla delle differenze e delle separazioni sociali.

La forza del contesto sociale Dolan la manifesta anche attraverso la trasformazione di Fred. Quando Laurence e Fred si ritrovano e si concedono una fuga d’amore, Fred è sposata con un figlio e si è decisamente imborghesita: vive in una bella casa, mantenuta dal marito che ricopre un incarico importante (al punto da arrivare in ritardo alla festa di Natale), circondata da agi, arredamento ricercato e pezzi d’arte di pregio. Tuttavia, lei crede di essere rimasta ancora la donna “open minded” di un tempo. E il regista ce lo fa credere: Laurence ritorna (con il seno, in piena trasformazione, quindi, da uomo a donna) e subito tra i due si riaccende la passione. Ritrovano subito la complicità del rapporto di un tempo: gli oggetti d’arte e i soprammobili della casa di Fred diventano subito “vittime” di una delle loro liste.  Forti di questo “ritrovamento” decidono di andarsene. In questo viaggio Laurence porta Fred a conoscere una coppia che abita in mezzo ai boschi. Apparentemente è una coppia eterosessuale, ma l’uomo un tempo era una donna. Di fronte a questa situazione le convinzioni idealiste di Fred iniziano a vacillare e nei dialoghi della scena della cena Dolan esprime in modo chiaro il suo pensiero di come dovrebbe essere l’amore universale: una totale libertà di amare chi si vuole, a prescindere dal sesso. La donna della coppia, infatti, dice che per lei ha sempre contato la persona, che ha sempre seguito la logica del cuore, che non si è mai posta domande sul sesso della controparte e che non si era mai fermata alle apparenze. E qui Fred esprime già una parte del suo distacco e anche un po’ di disagio verso questo mondo non più “incasellato”, dicendo che per loro era più facile perché dalla loro apparenza erano una coppia normale. Dove le parole apparenza e normale sono l’essenza del suo allontanamento. La discussione tra Laurence e Fred della sequenza successiva rivela ulteriormente la crescente estraneità di Fred verso loro situazione. Per Laurence la coppia incontrata era un esempio di felicità, una dimostrazione che, credendoci fino alla fine, anche loro avrebbero potuto essere felici insieme nonostante le differenze sessuali. Fred risponde inviperita: per lei quello non era un esempio di felicità, era solo un esempio di due disadattati sociali che per sopravvivere erano dovuti scappare dalla città per vivere in una capanna. È un segno di resa da parte di Fred che, durante il loro ultimo incontro, invita definitivamente Laurence a “tornare sulla Terra”.

Due elementi meritano ancora un momento di attenzione: il titolo del libro che ha scritto Laurence e per il quale viene intervistato, “Elogio della normalità”. Una normalità secondo i suoi canoni, che vive di libertà assoluta di amare ma che la società ancora non riesce ad accettare probabilmente perché non in possesso degli strumenti di analisi e di critica necessari per compiere il salto in avanti. Allora Dolan decide di affidare questo incarico alle nuove generazioni attraverso la scena del bacio del ragazzino che scorge sul balcone una persona e, incurante di chi potesse essere, le manda un bacio.

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