Genitori quasi perfetti
2019
Paese
Italia
Genere
Commedia
Durata
93 min.
Formato
Colore
Regista
Laura Chiossone
Attori
Anna Foglietta
Paolo Calabresi
Lucia Mascino
Marina Rocco
Elena Radonicich
Francesco Turbanti
Paolo Mazzarelli
Marina Occhionero
Nicolò Costa

Simona (Anna Foglietta), mamma single quarantenne, si sente terribilmente inadeguata al ruolo di genitore. L’organizzazione della festa per gli otto anni del figlio Filippo (Nicolò Costa) porterà a galla tutte le sue insicurezze e quelle del gruppo di genitori dei bambini della classe del figlio.

Commedia corale acidula e ambientata praticamente tutta all’interno di una festa di compleanno vissuta dalla prospettiva dei più piccoli e da quella dei genitori, succubi di disagi e inadeguatezze disparate e senza ritorno, l’esordio alla regia di Laura Chiossone suona come un’ulteriore e non troppo necessaria costola del successo di Perfetti sconosciuti (2016) di Paolo Genovese. Anche in questo caso, infatti, ci si trova di fronte a una manciata di adulti vessati da notifiche su Whatsapp e sbandate dovute a una maturità tutt’altro che semplice e conciliata, con un gioco di caratteri che spazia dalla coppia untuosa e inquietante, dalle smanie biologiche, ecologiste e naturiste (Paolo Calabresi e Lucia Mascino) all’etichetta stereotipata della “mamma lesbica” (Elena Radonicich), passando per la madre solitaria nella doppia versione frigida e sessualmente disinibita (rispettivamente Anna Foglietta e Marina Rocco). Una sarabanda di ipocrisie e stereotipi che propone gustosi momenti di ironia e stoccate ben assestate accanto a tanti, troppi compiacimenti, che alternano momenti eccessivamente sopra le righe a frangenti che precipitano maldestramente e senza troppo equilibrio e senso di misura nella farsa d’accumulo. Con queste premesse, più che lo smarrimento esistenziale, a emergere è una scrittura sfasata e malferma, che una regia ammiccante e a tratti ambiziosa non riesce del tutto a riscattare. Rivedibile, in particolare, il finale, una briosa ma gratuita incursione conclusiva nel musical per le vie di Milano. Convincente e apprezzabile, complessivamente, il tentativo di raccontare le falsità e i mascheramenti dei personaggi attraverso un discorso sull’identità sessuale infantile, così come il tappeto sonoro tambureggiante, ma il disegno d’insieme fatica a convincere e annega, a tratti, nello scult. Una scena, in questo senso, appare particolarmente memorabile: Paolo Calabresi, che già di suo si prodiga a citare I quattrocento colpi (1959) e Il ragazzo selvaggio (1970) di Truffaut e Maladie d’amour di Jacques Deray, che nel corso di un amplesso furtivo provvede a urlare, all’acme del piacere, i nomi di un novero di registi giapponesi come Takeshi Kitano, Nagisa Oshima, Hayao Miyazaki e…Hirokazu Kore-Eda.

Maximal Interjector
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