Luciana (Ana Asensio) è una giovane ragazza spagnola da poco arrivata a New York e in fuga dal proprio passato. Sola e senza documenti, il suo unico scopo è trovare un modo per guadagnare quel tanto che le permetta di sopravvivere nella Grande Mela. Un giorno le vengono offerti 2.000 dollari per recarsi a una festa "esclusiva" dove dovrà "reggere il gioco" agli ospiti. Luciana accetta ma la festa conduce ad una stanza misteriosa...

Film tutto al femminile, Most Beautiful Island, opera prima dell’attrice spagnola Ana Asensio, tenta di raccontare l’immigrazione in maniera propulsiva e non banale, attraverso gli stilemi del thriller e del racconto gotico. Non mancano i compiacimenti stilistici e i passaggi a vuoto, ma il disegno d’insieme, per quanto imberbe e difettoso, è senz’altro affascinante. Girato in 16 mm e con una macchina da presa agile, il film prende spunto da una vicenda autobiografica della regista, anche interprete principale, che ha sperimentato sulla sua pelle l’esperienza da immigrata, e attraverso uno spunto di trama esile ma efficace riesce a esplicitare la metafora di un dramma umano che va oltre la fisicità e il contatto, non a caso non richiesti dalla “festa” in cui ella si reca. Per incidere, in compenso e a ferro a fuoco, ferite psicologiche ben più profonde, inevitabilmente sanguinanti e fatalmente irreversibili. La gran parte delle scene sono state girate a Chinatown, una scelta decisamente congeniale al look generale del film, che in filigrana sembra voler intavolare una sorta di contro-fiaba sul sogno americano, visto attraverso le fessure sospettose e taglienti di un’esule forzata.