Mózes (Márton Kristóf) è un ragazzo introverso che ha da poco terminato gli studi in teologia. Dopo un breve periodo passato in una struttura psichiatrica, torna a vivere con la famiglia in un villaggio della pianura ungherese, ma la relazione con il padre (László Gálffi) è decisamente complicata; persino dopo la sua scomparsa, lo spettro autoritario e severo dell'uomo non cessa di tormentarlo. Raccontando un’insolita e buffa commedia agrodolce, la regista esordiente Virág Zomborácz si propone di inscenare uno tra i più classici romanzi di formazione, in cui un protagonista decisamente insicuro e oppresso da obblighi sociali più o meno importanti riesce a trovare l’indipendenza tanto sognata e ambita. Strutturando la narrazione secondo canoni stilistici rigorosi, anche se a tratti un po’ furbi e ammiccanti (si pensi al prologo e a tutte le scene girate coi ralenti), la Zomborácz riflette adeguatamente sull’importanza dei legami familiari, del valore delle radici e dell’indipendenza individuale senza annoiare o appesantire la visione. La pellicola non è sicuramente priva di difetti – non mancano scelte stilistiche troppo acerbe e passaggi un po’ stucchevoli – ma si può ugualmente apprezzare l’originalità di fondo dell’operazione e la capacità di non scadere nella retorica. Il film ha vinto il premio principale del Bergamo Film Meeting 2015.