Santiago, Italia
2018
Paese
Italia
Genere
Documentario
Durata
80 min.
Formato
Colore
Regista
Nanni Moretti

È il racconto, scandito dalle testimonianze dei protagonisti e da materiali d’epoca e d’archivio, dei postumi del colpo di stato cileno dell’11 settembre 1973 che mise la parola fine al governo democratico di Salvador Allende, spianando la strada alla presa del potere con la forza di Augusto Pinochet. 

Nanni Moretti si ritaglia un momento di riflessione culturale ad ampio respiro all’interno della sua carriera tornando a lavorare su un genere, il documentario, che in passato aveva già avuto modo di esplorare e sul quale era già riuscito a imprimere il suo marchio. L’occasione muove dal desiderio di realizzare una parabola, a carattere storico e sociale, su uno dei paesi del Sudamerica dalla storia più travagliata e sfaccettata, il Cile, facendola dialogare in maniera piuttosto palese ed eloquente con l’Italia, come emblematicamente suggerito dal titolo. Il regista ha voluto guardare, in particolare, al ruolo svolto dall’ambasciata nostrana a Santiago, che fornì rifugio a centinaia di oppositori del regime del genere di Pinochet permettendo loro di approdare poi nel Belpaese. Tale spunto, tuttavia, è semplicemente il punto d’arrivo di un percorso di ricerca ben più ampio e sfaccettato, che alterna la ricognizione storica all’aneddoto, lo spaccato antropologico, alla ricostruzione etica e morale degli orrori e delle sofferenze patite da un manipolo di uomini e donne, equamente divisi tra personalità dal forte vissuto e intellettuali di rilievo. La forma è quella classica del film d’interviste, frontali e sincere, toccanti e misurate, che Moretti monta e assembla con grande onestà ed equilibrio. Costruendo, come spesso gli accade, un discorso organico e di grande impatto, apertissimo a molteplici spunti di riflessione e altrettante implicazioni. Nonostante il lavoro d’archivio non sia sterminato e l’impianto di Santiago, Italia abbastanza uniforme e convenzionale, stupisce a più riprese il coraggio e la lucidità con le quali l’autore di Caro diario (1993) e Palombella rossa (1989) ci parla, attraverso dei fatti risalenti ormai a mezzo secolo fa e collocati in una lontana e minuscola striscia dell’America latina (un modo frequente per indicare il Cile, e anche per sminuirlo), dell’Italia di oggi, in maniera nitida e limpida. Nello specifico, e prima di ogni altra cosa, dell’imbarbarimento di un’opinione pubblica e di un sentimento comune che, a differenza di quanto avvenuto con l’accoglienza dei cileni, ha totalmente smarrito un’idea, anche minima, di solidarietà e apertura verso l’altro. Un messaggio commovente e lancinante, che diventa, a tutti gli effetti, l’ennesimo, morettiano grido d’allarme rivolto alle idiosincrasie e alle storture di un presente drammaticamente schiacciato da farsesche storture populiste a buon mercato ed estreme destre a piede libero, per quanto disposte a presentarsi in vesti più amichevoli e rassicuranti che in passato.

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