La diserzione del generale del KGB Koskov (Jeroen Krabbé), a opera del servizio segreto inglese, nasconde in realtà una fitta rete di doppi e tripli giochi che coinvolgono il trafficante d'armi Brad Whitaker (Joe Don Baker). James Bond (Timothy Dalton), in compagnia della bella violoncellista Kara (Maryam d'Abo), sventerà un complotto internazionale.

A due anni dall'addio di sir Roger Moore, James Bond cambia attore (e pelle), assumendo i tratti spigolosi del gallese Timothy Dalton. Portamento aggressivo e modi risoluti vanno a sostituire l'ironia e l'approccio gigione del suo predecessore: il transfert è riuscito. Questo nuovo episodio, in realtà, non riserva particolari sorprese, proponendosi come una spy-story perfettamente in linea con la tradizione. Se le location sono tra le più suggestive di sempre (rocca di Gibilterra, Austria, Gran Bretagna e Marocco) e il reparto dei gadget offre gustose chicche (una su tutte la splendida Aston Martin V8 Vantage superaccessoriata), i limiti nella sceneggiatura sono così evidenti da impedire di apprezzare alcuni snodi cruciali di una storia che non presenta un antagonista di rilievo. Buona la partenza a Bratislava, discreta la parentesi a Vienna, anonima l'ultima mezz'ora nel deserto afghano, in cui è palese la ricerca di un finale avvincente che non arriverà mai. Imbarazzante la resa dei conti finale, così come la Bond Girl interpretata da Maryam d'Abo. La mano felice di John Glen si vede però nell'entusiasmante prologo, nelle sequenze sulla neve e nel duello ad alta quota a bordo di un Hercules C-130. Ultima colonna sonora di John Barry e primo film della serie senza Lois Maxwell nei panni di Miss Moneypenny, sostituita da Caroline Bliss. Tiepido successo di pubblico.