Hye-rim (Seo Young-hee), una bella donna sui trentacinque anni, inizia a lavorare come infermiera in una clinica privata e viene subito assegnata all’assistenza di un vecchio tycoon, in coma da dieci anni, principale finanziatore della struttura. Il figlio del miliardario, Sang-woo (Kim Young-min), è disposto a tutto pur di tenere in vita l’involucro ormai vuoto del padre, anche a trapiantargli il cuore di una sconosciuta (Kwon So-hyun) incinta e in coma. Quando Hye-rim viene mandata a cercare i parenti della donna per autorizzare l’espianto, scoprirà che si tratta di una prostituta, Mina, meglio conosciuta come Madonna, vittima di abusi e degrado. Terza regia per la regista sudcoreana Shin Su-won, ex insegnante, Madonna ambisce a raccontare la condizione subordinata femminile nel Paese (o forse nel mondo) utilizzando la clinica come un microcosmo, metafora della società, dove i ricchi trattano i meno abbienti alla stregua di numeri senza significato esistenziale. L’estetica è abbastanza curata e le interpretazioni di qualità, specie quella dell’esordiente Kwon So-hyun, corpo martoriato e straziato dalla crudeltà maschile e dalla generale indifferenza verso gli ultimi. Il problema è che il film fatica a prendere una direzione, indeciso tra i toni noir dell’inizio e i crudi (esagerati) flashback in cui viene descritta l’infelice vita di Madonna: i salti temporali e la durata di due ore, oltre a un ritmo non proprio scandito, non aiutano a tenere viva l’attenzione. Delude anche il finale, che amplifica la sensazione di un grande giro a vuoto in cui si perde il senso ultimo del progetto. Peccato, perché lo spunto iniziale è buono e i personaggi delineati bene, anche se in alcuni casi, come quello del sadico e anaffettivo figlio del tycoon, un po’ esagerati. Presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2015.