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Il mio amico robot e il nuovo cinema d’animazione agli Oscar
Il "Miglior Film d'Animazione" è la categoria più giovane tra i premi che vengono assegnati oggi agli Oscar, essendo nata solo nel 2002, e rappresenta il più importante riconoscimento industriale per il mondo del cinema d’animazione; la sua breve storia è intrisa di evoluzioni e cambiamenti che rispecchiano il crescente impatto e la complessità che questo approccio cinematografico ha acquisito sempre di più negli ultimi vent’anni. Fino agli anni ’90, il cinema d’animazione occidentale si poteva dividere in due macrocategorie, da una parte un cinema popolare e di pregevole fattura tecnica ma indirizzato principalmente ad un pubblico di bambini, con la Disney che aveva una sorta di monopolio in questo campo; dall’altro lato, un cinema adulto, sperimentale e di nicchia che, per forza di cose, non avrebbe mai avuto modo di raggiungere riconoscimenti popolari come gli Academy Awards.

Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, grazie alla nascita di concorrenti credibili in grado di sfidare il monopolio Disney, come la Dreamworks, la Pixar e il grande riconoscimento occidentale ricevuto dal lavoro di Hayao Miyazaki, l’Academy decide finalmente, a partire dalla cerimonia del 2002, di creare una categoria dedicata al cinema d’animazione. I primi anni della categoria sono stati caratterizzati da una serie di candidature che hanno contribuito a ridefinire il panorama del cinema animato nel nuovo millennio, sottolineando l’importanza di opere d’animazione che, pur restando indirizzate ad un pubblico giovane, siano in grado di parlare anche ad un pubblico adulto e maturo.

Se da un lato, dal punto di vista delle vittorie, abbiamo un dominio assoluto da parte della Disney/Pixar, vincitrice di 15 statuette nelle 23 edizioni tenutesi tra il 2002 e il 2024, dall’altro, dal punto di vista delle candidature, abbiamo uno spazio sempre maggiore dato a film non statunitensi, che propongono un tipo di narrazione non convenzionale e un approccio all’animazione lontano da quello tipico degli studios hollywoodiani.

Il mio amico robot

In un’edizione degli Oscar in cui da una parte avevamo l’approccio pop e ipertrofico di Spider-Man: Across the Spider-Verse e dall’altro quello poetico e onirico di Miyazaki con Il ragazzo e l’airone, il film più sperimentale della cinquina era sorprendentemente questo piccolo film spagnolo di Pablo Berger. Il mio amico robot racconta una storia tanto semplice quanto emotivamente complessa e sfaccettata e lo fa con un approccio tutt’altro che scontato per un film d’animazione: senza dialoghi, la carica emotiva del film è tutta costruita negli sguardi e nei corpi dei due protagonisti, un cane e il suo robot da compagnia. È un film che può essere visto come il simbolo dell’evoluzione e della maturità raggiunta dal cinema di animazione in questi due decenni: una produzione europea lontana dagli studios statunitensi, con un approccio sperimentale ma accessibile che racconta una storia tanto indirizzata ad un pubblico adulto quanto adatta ad un pubblico più giovane.


Marcel the Shell

Scritto e diretto da Dean Fleischer Camp, che adatta in forma di lungometraggio la sua trilogia di corti dedicati alla piccola conchiglia Marcel, il film del 2021 è un mockumentary ibrido tra live action e animazione in stop motion. Il film racconta di Marcel, che vive con la nonna Connie in una casa diventata un Airbnb, dove entra in contatto con Dean, un filmmaker che decide di realizzare un documentario seguendo la vita di Marcel e intervistandolo. Privo di un vero e proprio sviluppo narrativo, il film di Fleischer Camp è costruito soprattutto attorno alle piccole e grandi sfide quotidiane della conchiglia e ai suoi ragionamenti sulla vita, sulle proprie emozioni e i propri sentimenti.


Flee

Flee è un altro tipo approccio ibrido al cinema d’animazione. Si tratta di un documentario completamente animato - sia nelle ricostruzioni, che nei momenti classici di un documentario, come le interviste - che racconta la storia di Amin e della sua fuga dall’Afghanistan alla Danimarca durante l’adolescenza, e del suo arrivo in un paese in cui potrà finalmente essere se stesso e vivere a pieno la sua vita. Il film, diretto dal regista danese Jonas Poher Rasmussen, affronta in maniera elegante ma potente i temi LGBTQ+ che si intrecciano alla questione delle migrazioni dai paesi arabi, senza cadere in un approccio paternalistico o ricattatorio. Agli Oscar del 2022, oltre alla candidatura per il miglior film d’animazione, gli vennero riconosciute anche candidature nella sezione dei documentari e in quella dedicata al miglior film internazionale, sottolineando la natura ibrida del progetto.

Wolfwalkers – Il popolo dei lupi

Una favola su quello che accade quando una forza colonizzatrice cerca di domare una terra selvaggia che non ha nessuna intenzione di cedere neanche un centimetro. Il film della coppia di registi irlandesi Tomm Moore e Ross Stewart è, tra i film analizzati in questo articolo, quello più chiaramente indirizzato ad un pubblico infantile, con una storia ben scritta ma più convenzionale e semplice. D’altro canto, è il film più notevole a livello visivo, con una splendida animazione disegnata a mano che utilizza una palette autunnale ricca di dettagli. Si tratta di un film capace di emozionare anche solo grazie alla forza visiva.


Dov’è il mio corpo?

Film francese diretto da Jérémy Clapin che mette al centro il tema della perdita. Che sia fisica, come nel caso della mano di Naoufel, o emotiva, attraverso la perdita dei genitori, il film mostra come una persona possa perdere ciò che è più prezioso per lei, ma possa comunque crescere e migliorarsi. Tutti gli elementi, dalla musica al lavoro degli attori in fase di doppiaggio, passando per l’animazione e la storia, sono pregni di emozioni e lavorano all’unisono per creare l’atmosfera malinconica che avvolge tutto il film. Inoltre, un po’ come succede in Il mio amico robot, Dov’è il mio corpo? sottolinea la straordinaria capacità, unica del cinema d’animazione, di umanizzare e rendere empatiche cose che nel mondo reale non lo sono, con la mano di Naoufel che diventa un personaggio a tutto tondo, i cui sentimenti sono riconoscibili tramite microespressioni che non potrebbero esistere nel cinema live action.

A cura di Simone Riccardi
Maximal Interjector
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