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L'undicesima Festa di Roma, tra varietà e discontinuità

L’undicesima Festa del Cinema di Roma, che è stata presentata stamattina alla stampa dal Direttore Artistico Antonio Monda e dal Presidente della Fondazione Cinema per Roma Piera DeTassis, mostra ulteriormente i muscoli rispetto alle precedenti edizioni (il doppio delle anteprime mondiali, il 9% in più di accreditati rispetto allo scorso anno) e si ritaglia un’anima che va sempre più nella direzione del grande evento di costume e di colore, del contenitore di anteprime dell’imminente stagione autunnale che sarà (Oscar compresi), della kermesse-vetrina per una città ingombrante e complicata come Roma, che di riflessi positivi e solari di per sé ha un disperato bisogno.

romafest

Una capitale che di riflettori mediatici puntati addosso ne ha in questo momento fin troppi, per svariati motivi istituzionali, sociali e politici spesso tutt’altro che lusinghieri, nella quale sarebbe però davvero impossibile ipotizzare un festival metropolitano propriamente detto, sul modello del Torino Film Festival, che la città possa vivere appieno e nella quasi totalità del suo tessuto urbano. Perché Roma è piuttosto un agglomerato diversificato e composito, con un cuore, il suo centro storico, troppo grande per sopportare tutte le sue periferie, come cantava qualche tempo fa Il Teatro degli Orrori in Martino. I tentativi di allargamento territoriale da parte dell’amministrazione della Festa sono opportuni e lodevoli (il MAXXI, i cinema Farnese Persol, Moderno, Trevi, Broadway, Cineland, Admiral e Kino per Alice nelle città, più il nuovissimo Mazda MX-5 Drive-in all’EUR e addirittura il tappeto rosso in Via dei Condotti), ma chiaramente le prerogative urbanistiche e dunque anche antropologiche di Roma rimangono, per forza di cose, inamovibili.

Nessun Festival, allora. La parola d’ordine è ancora e sempre una: Festa. Con tutto ciò che ne deriva, in termini di luccichii, eventi collaterali, attenzioni da dedicare al pubblico di massa e discontinuità rispetto alle consuete prerogative dei Festival più tradizionali e consolidati, come l’assai prossima, in termini di date, Mostra del cinema di Venezia, evocata indirettamente nelle parole del direttore artistico Antonio Monda come modello dal quale doversi doverosamente differenziare, per far risaltare le proprie peculiarità dal punto di vista sia mediatico che identitario, al di là del Concorso e della dittatura delle anteprime mondiali. Antonio Monda, che ha iniziato la conferenza stampa nella memoria di Gian Luigi Rondi e di Luca Svizzeretto, rivendica tale natura con orgoglio anche quest’anno (“Non c’è alcuna madrina, perché noi non siamo un festival”) e dà l’idea di guardare più che altro, con i dovuti distinguo di proporzioni e di contesto, al Festival di Toronto e alla sua molteplicità onnivora di stimoli e presenze, non necessariamente ordinati secondo rigide gerarchie di qualità, sezioni e divisioni interne.

Vanno in questa direzione molte delle grosse produzioni soprattutto americane che vedremo alla prossima Festa: The Birth of a Nation di Nate Parker (“Un’incredibile storia vera sulla schiavitù e su quel periodo abominevole della storia americana, uno Spartacus moderno”, nelle parole di Monda), che fa parlare tantissimo di sé fin dallo scorso Sundance Film Festival dove fu un autentico film-caso, The Accountant di Gavin O’Connor con Ben Affleck, Denial di Mick Jackson, Florence Foster Jenkins di Stephen Frears con Meryl Streep, The Hollars di John Krasinski (“Un film che credo andrà molto lontano”, secondo Monda), per non parlare del film di chiusura Lion di Garth Davis e di Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan, dati come sicuri protagonisti di punta dei prossimi Oscar insieme proprio al film di Parker, altro frontrunner annunciato.

The Birth of a Nation

The Birth of a Nation

Tra gli altri fiori all’occhiello del programma anche il nuovo film di Werner Herzog, Into the Inferno,  documentario incentrato sulla vulcanologia che pare ricalcato su misura sulle ossessioni tipiche del regista, The Secret Scripture di Jim Sheridan con Rooney Mara, il già chiacchierato Snowden di Oliver Stone, che incontrerà il pubblico di Roma, il documentario Richard Linklater: Dream is Destiny e quello sui Rolling Stones e il loro tour in America Latina The Rolling Stones Olé Olé Olé!: A Trip Across America Latina e i quattro film che andranno a comporre la nuovissima sezione Tutti ne parlano: lo zombie-movie Train to Busan, assai apprezzato da Monda, Genius di Michael Grandage, Hell or High Water di David Mackenzie, western sui generis già visto all’Un Certain Regard dello scorso Festival di Cannes esattamente come un altro lavoro del quartetto, il film d’animazione La tortue rouge.

Into the Inferno

Into the Inferno

Monda ha sottolineato la presenza di film messicani, peruviani e rumeni, sottolineando in particolare la bellezza e l’interesse del cinema dell’America Latina contemporanea, a suo dire tra i più innovativi degli ultimi anni (e non è il solo direttore di festival a pensarla così). E ha speso parole al miele, in particolare, per il film d’apertura Moonlight: “Non si tratta del classico film d’apertura, consolatorio, leggero, non troppo impegnativo e magari pieno di star. E’ un film sulla diversità sessuale e razziale, che è uno degli altri fili conduttori e delle tematiche ricorrenti della festa di quest’anno. Siamo a Miami, tra machismo e tossicodipendenza, e il protagonista del film è un ragazzo che dopo essere cresciuto in tale ambiente scopre di essere omosessuale, con tutto ciò che ne può derivare. Non siamo lontani dagli echi di Accattone e, in questo mi sento di espormi e di metterci la faccia, sarà una delle sorprese più significative dei prossimi Oscar”.

Quattro i film italiani in cartellone: Sole, Cuore, Amore di Daniele Vicari con Isabella Ragonese e Francesco Montanari, il già annunciato 7 minuti di Michele Placido, Napoli ’44 di Francesco Patierno e Maria per Roma dell’esordiente Karen Di Porto. Sul primo Monda si esprime così: “Tratto dal libro di Norman Lewis, è un film che mescola mirabilmente repertorio e immagini ricreate dal vero, un’opera contro la guerra di grandissima potenza che sono fiero di avere qui a Roma”. Sul secondo film, invece: “E’ un esordio, una commedia fresca, brillante, originale. Non faccio nomi, ma spero di bissare il successo di un’altra opera prima proposta qui l’anno scorso, che poi si è rivelata un successo e ha vinto moltissimi David…”.

Tra le rivelazioni in merito agli Incontri Ravvicinati spiccano le precisazioni di Monda su Don De Lillo, che verrà a parlare esclusivamente del cinema di Michelangelo Antonioni, in un masterclass di due parti delle quali la prima dedicata a Deserto Rosso e la seconda ad altri immortali capolavori del regista ferrarese come La notte e L’eclissi. Ma anche, a sorpresa, l’aggiunta di un incontro con Roberto Benigni, che verrà a parlare del suo rapporto con Fellini, Matthau, Troisi e con la spiritualità, rivelando, secondo Monda, “cose che non ha mai detto prima altrove, e di questo lo ringrazio”.

Michelangelo Antonioni

Michelangelo Antonioni

Tra gli altri eventi in programma anche dei documentari musicali su Elio e le Storie Tese e Michael Bublé, la reunion del cast de Il paziente inglese e tre retrospettive: sulla politica americana alla vigilia del rush finale tra Hillary Clinton e Donald Trump per la Casa Bianca, su Tom Hanks, che riceverà un premio alla carriera oltre a farla da padrone in uno degli incontri ravvicinati, e su Valerio Zurlini, maestro dimenticato del nostro cinema. E infine: un montaggio di 30’ delle più belle scene di ballo cinematografico assemblato da Michael Cimino, che verrà così omaggiato dalla Festa del Cinema di Roma a pochi mesi dalla morte. Una chicca del grande regista americano che non vediamo l’ora di gustare.

 

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