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Milano Film Festival, giorno 6 - In guerra per il cinema: il nostro incontro con Pif

Tra gli ospiti principali del Milano Film Festival, svetta il nome di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, che ha incontrato il pubblico della kermesse meneghina il 2 ottobre alle ore 11.00. L’attore e regista ha raccontato la sua storia, dagl’albori della sua carriera fino a ai suoi ultimi progetti, spiegando come la realtà in presa diretta è da sempre il fil rouge del suo lavoro.

Figlio del regista Maurizio Diliberto, l’interesse per il mondo cinematografico è nato in lui in maniera spontanea e così, a 26 anni, è assistente di Franco Zeffirelli nel film Un tè con Mussolini, anche se ammette che il suo ruolo nell’opera fu soprattutto quello di dog sitter di Blanche, il cane del regista. Due anni dopo collabora con Marco Tullio Giordana, lavorando come assistente volontario alla regia de I cento passi, esperienza formativa in quanto la più piccola produzione gli permise di avere un ruolo attivo.

La svolta è nel ’98 quando, a scapito della sua ammessa pigrizia, partecipa a un concorso di Mediaset diventando autore televisivo, ruolo che ricoprirà nel programma Candid & Video Show prima e a Le Iene poi, grazie all’incontro con l’ideatore della trasmissione Davide Parenti. Lavorando anche come inviato, Pif racconta come quegli anni furono per lui frenetici, fatti di situazioni a volte scomode a cui doveva adattarsi, ma che in fondo era «sempre meglio che andare a lavorare».

Nel 2007 passa a MTV con Il Testimone, programma individuale nato da una visione di intervista che volutamente scardina la classica idea di quel tipo di format. Come ci spiga, Pif crede che la televisione sia la cosa che più si avvicina alla verità e il suo scopo è quello di riportare sul piccolo schermo la realtà così com’è, oltre che mostrare le star non come personaggi ma come semplici persone nel loro quotidiano. Un esempio? Il rapper Fabri Fibra che al supermercato chiede il catalogo perché sta aspettando di comprare le nuove tazze con i punti della spesa. Il modo per farlo è semplice: non avere una troupe, non avere una grande macchina da presa, perché la cosa importante non è la parte tecnica, ma quello che si dice. Pierfrancesco racconta però come la sua popolarità sia diventata un ostacolo perché, con il tempo, le persone hanno iniziato a modificarsi e a cambiare la realtà in sua presenza.

Dopo una crisi e una riflessione su se stesso mentre aspettava la navetta per arrivare a Mediaset, capisce che quello che davvero vuole (e ha sempre voluto) è essere un regista e così nel 2008 conclude il suo percorso a Le Iene e si trasferisce a Roma «perché i produttori stanno lì». Infatti riceve la telefonata di Mario Gianani, che dopo averlo notato grazie a Il Testimone, gli chiede se ha qualche idea per un film e, soddisfatto dell’idea che l’allora aspirante regista gli propone, decide di produrre La mafia uccide solo d’estate. Pif ammette che il passaggio dalla camera singola del suo programma al set cinematografico è stato per lui abbastanza complesso: dal un lato si trovava a suo agio perché già aveva sperimentato, anche se come assistente, il mondo del dietro le quinte; ma con il suo secondo film,  In guerra per amorela troupe era il doppio e, lavorando anche come attore, è stato per lui una stressante e continua lotta contro il tempo. Ci spiega infatti che questo è il motivo per cui ha preferito affidare a Luca Ribuoli la regia della serie televisiva La mafia uccide solo d’estate, tratta dall’omonimo suo film, in cui ha preferito essere solo narratore oltre che autore del soggetto e della sceneggiatura.

Pif, dopo aver condiviso con il pubblico la sua personale esperienza nell’universo dello spettacolo, conclude l’incontro in maniera speranzosa: pur ammettendo quanto questo ambiente sia ostico, ci tiene a sottolineare che chi ha qualcosa da dire potrà sempre trovare uno spazio, anche in un mondo difficile come questo.

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