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"Mindhunter", episodi 5 e 6: gli schemi della mente

È cruciale trovare degli schemi.

È la dottoressa Wendy Carr (Anna Torv) a dichiararlo, esplicitando quello che dall’inizio resta comunque il tema generale di Mindhunter, arrivato al 6° episodio e con un nuovo cambio alla regia: dopo David Fincher e Asif Kapadia è ora il turno di Tobias Lindholm.

Nella sua coppia di episodi si assiste a una generale evoluzione, anche nello stile, lievemente cambiato e caratterizzato da un tentativo di regia maggiormente brillante, soprattutto in sede di raccordi, anche se il clima generale dell’opera non muta, rimanendo quella asciutta ed essenziale narrazione che tanto è cara al produttore Fincher e che nei suoi silenzi o nella sua colonna sonora solamente accennata diventa anch’essa personaggio dell’opera.

Si prosegue a indagare sulla ragazza uccisa e mutilata, un caso che si rivela essere molto più complesso di quanto non sembrasse in origine e che, quindi, richiede un intervento esperto esterno che faccia da supporto agli agenti Ford e Tench: la coppia, infatti, diviene un trio con l’ingresso della dottoressa Carr, psicologa della Boston University che accetta di collaborare con l’FBI grazie alle sue competenze.

Trovare schemi, appunto. I risvolti psicologici e l’indagine sulla mente umana proseguono e vengono ulteriormente approfonditi in maniera efficace. Una domanda, però, si fa sempre più insistente: chi è l’uomo con i baffi a Park City, in Kansas? Il testimone ora passa ad Andrew Douglas per gli episodi 7-8, prima di arrivare al gran finale con il ritorno di Fincher dietro la macchina da presa.

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