Una giustapposizione di immagini rallentate e di sonetti di William Shakespeare letti da Judi Dench, la cui voce accompagna figure contenenti amori omosessuali ma anche paesaggi, esplodendo di passione a partire dalla sovrapposizione degli elementi e dall'incontro tra nastro magnetico e declamazione attoriale. Film sperimentale che rientra a pieno titolo nella produzione formalmente più borderline ma anche meno d'impatto e più minore del regista. Quest'escursione visiva sui sentieri del desiderio, scandita da una grande attrice e dalla sua declamazione shakespeariana, genera un cortocircuito visivo e uditivo in grado di fondere allusioni e riserbo, mistero e avventatezza, con pochi esiti davvero rilevanti e un numero eccessivo di elementi messi in campo senza alcun tipo di preoccupazione o remora (per tacere dell'utilizzo a tutto campo di formati come il Super 8). Lo stesso Jarman ha descritto il film come un universo sognante, magico e rituale, un paesaggio onirico segnato dalla desolazione industriale dell'Inghilterra del sud, nel quale «Il tempo ticchetta senza rimorsi nella colonna sonora mentre il film scivola come i secondi di un vecchio orologio». Peccato che anche il suo lavoro, nonostante abbia fascino da vendere, tenda davvero a scivolare via senza lasciare traccia.