Orfana dei genitori, la giovane principessa Biancaneve (Rachel Zegler) è costretta a fuggire dalla sua matrigna cattiva (Gal Gadot), invidiosa della sua bellezza. Sola e senza un luogo dove andare, trova rifugio nella casa di sette creature magiche.

Dopo aver già lavorato a modesti titoli blockbuster in passato (The Amazing Spiderman e relativo sequel) il regista Mark Webb si limita a svolgere il minimo indispensabile per dare vita a Biancaneve, tragica trasposizione live action del primo glorioso classico Disney Biancaneve e i Sette Nani.  La stucchevole atmosfera fantasy saturata all’eccesso, gli impietosi tentativi di riproporre scene dell’opera originale (su tutte la meravigliosa sequenza in cui Biancaneve fugge terrorizzata nel bosco, qui resa in maniera grottesca e confusionaria), effetti visivi a tratti degni dei peggiori B-Movie e design di personaggi rivedibili sono solo alcuni degli aspetti più disastrosi di questo lungometraggio, coronato dalle scialbe interpretazioni di Rachel Zagler e Gal Gadot e da un comparto musicale veramente poco ispirato. Ciò che però fa più storcere il naso allo spettatore è la perversione con cui ormai da diversi anni Disney estremizza l’idea di politically correct, due i casi più evidenti: il termine “nano”, ritenuto offensivo, troncato non solo nel titolo ma completamente dribblato nell’intero film; e il personaggio del principe, rimosso in quanto considerato un ostacolo all’idea di una Biancaneve indipendente, che non ha bisogno dell’aiuto di una figura maschile per salvarsi (salvo poi essere sostituito dal ladro Jonathan che narrativamente svolge la medesima funzione). Complessivamente Biancaneve risulta un lungometraggio irrispettoso del più importante caposaldo dell’animazione mondiale, in cui tutta l’incoerenza politico-commerciale Disney degli ultimi anni viene condensata in due ore di sincero imbarazzo per adulti e bambini. Flop al botteghino praticamente in tutto il mondo tranne che in Italia.