L’uomo che vendette la sua pelle
The Man Who Sold His Skin
2020
Paesi
Tunisia, Francia, Belgio, Germania, Svezia, Turchia
Genere
Drammatico
Durata
104 min.
Formato
Colore
Regista
Kaouther Ben Hania
Attori
Yahya Mahayni
Koen De Bouw
Monica Bellucci
Dea Liane
Darina Al Joundi
Christian Vadim
Sam Ali (Yahya Mahayni), un giovane siriano sensibile e impulsivo, fugge dalla guerra lasciando il suo paese per il Libano. Per poter arrivare in Europa e vivere con l’amore della sua vita, accetta di farsi tatuare la schiena da uno degli artisti contemporanei più intriganti del mondo. Trasformando il proprio corpo in una prestigiosa opera d’arte, Sam finisce per rendersi conto che la sua decisione potrebbe non significare la libertà.

Opera seconda della regista tunisina Kaouther Ben Hania dopo La bella e le bestie (2017), L’uomo che vendette la sua pelle è una parabola sulfurea sulla mercificazione dell’individuo che si pone al confine tra la riflessione sull’arte e quella sulla politica e l’instabilità degli scacchieri internazionali, trovando uno straniante equilibrio distopico a partire proprio dalla sua trovata di partenza: uomo che decide di farsi illustrare sulle spalle un visto Schengen, e per di più da un artista di fama internazionale. Un pretesto, di portata simbolica non indifferente, che si traduce in un’incursione acida e dissonante sull’Occidente visto dagli occhi e, letteralmente, dalla pelle del Medio Oriente e dalle sue contraddizioni drammaticamente flagranti. Il film utilizza delle coordinate espressive decisamente nitide per inoltrarsi in una serie di conflitti sociali e identitari che sono, a tutti gli effetti, il costante fuori campo di un’operazione che non si limita a farsi largo negli inciampi stranianti e paradossali dell’arte contemporanea, ma li declina anche da una prospettiva fortemente connotata sul piano formale. Lo sguardo della cineasta è infatti sempre incline a replicare una dimensione performativa da “gesto artistico”, anche se è proprio questa tendenza a produrre qualche contraccolpo di troppo sul piano narrativo: il manierismo formale e la ricerca della bella inquadratura, per quanto stimolanti e non di rado notevoli, finiscono col tarpare le ali allo sviluppo dei personaggi e alla portata di tutta l’operazione. Anche la riflessione sulla vitalità tutta contemporanea dell’arte, sviluppata attraverso il dispositivo mediale degli schermi digitali, è abbastanza pretestuosa e si limita a sterili cortocircuiti di facciata. Interessante, in compenso, la decostruzione immaginifica che la regista regala a Monica Bellucci, il cui erotismo e presenza scenica sono incrinati e trascinati verso territori impervi come di rado è capitato all’interprete italiana nel corso della sua filmografia. La trama è ispirata all’opera d’arte moderna Tim del 2006 dell’artista belga Wim Delvoye, che ha anche un cameo nel film: si tratta di un uomo che, seduto su un basamento posto in un'area museale, esibisce la propria schiena su cui è stata tatuata l'immagine della Vergine Maria, circondata da un teschio e alcune decorazioni in stile messicano e giapponese. Primo film tunisino a ottenere una candidatura all’Oscar al miglior film internazionale e presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2020, dove Yahya Mahayni ha ottenuto il premio Orizzonti per il miglior attore.
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