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Festival di Cannes: 10 Palme d'Oro da ricordare

La 74esima edizione del Festival di Cannes è sempre più vicina! Per l'occasione ripercorriamo 10 Palme d'oro particolarmente significative, che hanno segnato la storia del festival francese e, spesso, anche del cinema tutto. 


10) Otello (Orson Welles, 1952)



Otello (1951) – MUBI

Secondo adattamento shakespeariano per Orson Welles dopo Macbeth. Malgrado riprese durate quasi due anni, cambi di cast in corsa e mancanza di fondi, la narrazione mantiene la sua fluidità grazie a un uso del montaggio sorprendente e funzionale che sfrutta brevi o brevissime inquadrature per celare mancanze produttive (attori inquadrati di spalle o avvolti nell’ombra, uso sapiente degli spazi) e al tempo stesso per dare forma a una tensione psicologica in cui la frammentazione delle immagini diventa esplicitazione visiva dell’io scisso del protagonista. Angosciante, intensa e memorabile riflessione sulle insicurezze dell’esercizio del potere. Palma d’Oro ex aequo con Due soldi di speranza di Renato Castellani.


9) L’albero degli zoccoli (Ermanno Olmi, 1978)



L'albero degli zoccoli", il capolavoro di Ermanno Olmi - Foto Tgcom24




Palma d’Oro nel 1978, in un’edizione memorabile per il cinema italiano anche grazie al Grand Prix conquistato da Ciao maschio di Marco Ferreri. Uno dei massimi risultati della carriera di Ermanno Olmi che trova abilmente un equilibrio tra documentarismo e melodramma grazie a uno stile asciutto. Il risultato è una fluviale narrazione popolare che parla sia per aneddoti che con episodi più costruiti, instaurando nello spettatore la stessa compassione, partecipe ma mai trasportante, che i protagonisti dimostrano tra loro. Questo mondo agreste mosso dalla misericordia (tanto umana quanto divina), in cui provvidenza e solidarietà si confondono e agiscono con apparente casualità, rivela una naturale crudeltà che tiene lontana ogni possibile nostalgia per “i bei tempi andati”.


8) Segreti e bugie (Mike Leigh, 1996)



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Il punto più alto del cinema di Mike Leigh. un film commovente e destabilizzante, che indigna e scalda il cuore, gelidissimo quando occorre esserlo ma capace, allo stesso tempo, di regalare fiammate d’umanità impossibili da dimenticare. Il ritratto della provincia inglese, spesso impietoso sotto il piano morale e antropologico, incontra una riflessione profondissima sul senso dell’identità e dell’appartenenza, mentre la densità psicologica dei personaggi si sposa incredibilmente al coinvolgimento emotivo. Pietra miliare del cinema anni Novanta e non solo. Palma d’oro e Premio per la miglior attrice a Brenda Blethyn in un’annata che comprendeva titoli come Crash di David Cronenberg, Le onde del destino di Lars von Trier e Fargo dei fratelli Coen.


7) Pulp Fiction (Quentin Tarantino, 1994)



Pulp Fiction”: i 25 anni di un capolavoro rivoluzionario - Mar dei ...




Opera spartiacque degli anni Novanta nonché esemplare connubio tra post-modernismo e cinema mainstream. Nel delirio audiovisivo concepito da Quentin Tarantino tutto torna magicamente, in un progetto onnivoro che inghiottisce i generi (dal noir alla commedia sofisticata, dal western metropolitano al grottesco, dai cartoni animati al trash) per restituirne uno nuovo. Straordinario esempio di cinema libero, alieno alle convenzioni, deciso a scardinare regole codificate (narrative e estetiche) con freschezza e sagacia davvero sorprendenti, senza mai troppo prendersi sul serio, risultando così spontaneo, energico, divertente ed entusiasmante. Palma d’Oro a sorpresa al Festival di Cannes 1994, battendo il favorito della vigilia, Tre colori: Film Rosso di Krzysztof Kieslowski.


6) Viridiana (Luis Buñuel, 1961)



Viridiana (1961) — A Patriarchal Surrealist Tale by Buñuel


Tra i film più conosciuti e rappresentativi di Luis Buñuel, nonché uno dei titoli della sua carriera che ha ottenuto maggiori consensi critici in tutto il mondo. Resta una delle opere più disturbanti e complesse nella produzione del cineasta spagnolo incentrata sull’innocente candore della protagonista eponima, costretta a soccombere davanti alle perversioni e all’imperio di due uomini. Due sequenze, sono entrate nella storia del cinema: la vestizione di Viridiana con l’abito da sposa e la celebre ultima cena (con annesso tableau vivant dell’opera di Leonardo da Vinci) dei reietti nella casa dei padroni. Stratificata nei contenuti, è anche una pellicola dal maestoso impianto formale: la fotografia di José F. Aguayo è di rara eleganza e Buñuel sa come sfruttarla nel modo giusto.


5) Il gattopardo (Luchino Visconti, 1963)



Voglio raccontare ai ragazzi quant'è bello "Il Gattopardo ...




Rilettura critica del Risorgimento e adattamento del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il film di Luchino Visconti è una lucida analisi sull’effimera appartenenza patriottica delle classi politiche italiane. Maestoso ritratto sulla fine di un’epoca e sul sostanziale immobilismo storico della società nostrana, in cui l’inesorabile scorrere del tempo scandisce un glorioso passato che si proietta verso un futuro incerto, e opera fondamentale per la splendida ricostruzione storica, le magnifiche scene di massa e l’impeccabile direzione degli attori. Palma d’Oro nel 1963, annus mirabilis per il cinema italiano completato dall’Orso d’Oro a Berlino per Il diavolo di Gian Luigi Polidoro e il Leone d’Oro a Venezia per Le mani sulla città di Francesco Rosi.


4) Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976)



Non c'è Paragone: AND THE OSCAR GOES TO... TAXI DRIVER


Capolavoro di Martin Scorsese: un viaggio allucinato in una mente deviata e in una New York mai così sporca e infernale. La città è specchio di una nazione incapace di superare la pesante eredità del Vietnam e che nasconde la sporcizia sotto il tappeto della politica più ipocrita. Su questa società corrotta, putrescente e razzista, l’alienato Travis, antieroe per eccellenza del cinema revisionista della New Hollywood, non può che invocare un catartico “diluvio universale” o scatenare in prima persona la sua rabbia repressa. Palma d’Oro al Festival di Cannes 1976 e prima grande affermazione a livello internazionale del sodalizio artistico tra Martin Scorsese e il suo attore feticcio, Robert De Niro.


3) Roma città aperta (Roberto Rossellini, 1945)



Roma città aperta (1945) di Rossellini - Recensione | Quinlan.it




Immortale capolavoro del cinema italiano e opera simbolo del Neorealismo. Roberto Rossellini gira un film sulla quotidianità nella Roma occupata, prediligendo un registro asciutto e austero, pedinando il reale e lasciando che si dipani e srotoli con spontaneità di fronte alla macchina da presa, così che la finzione del film finisce per diventare “vera” quanto la realtà dei fatti. Straordinaria la dirompente forza di alcuni personaggi e l’incredibile progressione drammatica ed etica della seconda parte, che culmina nella scena della maledizione lanciata (e poi subito ritirata) dal prelato verso i Nazisti. Palma d’Oro (all’epoca Grand Prix du Festival International du Film) al Festival di Cannes e nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale.


2) Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979)



Apocalypse Now – Brandon Talks Movies




Uno dei film più importanti della cultura contemporanea occidentale, firmato da Francis Ford Coppola. Due, tra le tante suggestioni, le assi portanti del film: la lisergica e allucinata descrizione in chiave rock dell’imperialismo americano da una parte, con i soldati che affrontano la guerra come se fosse una folle vacanza, fumando erba, assumendo acidi, ascoltando i Rolling Stones e facendo surf durante i bombardamenti; dall’altra, la risalita del fiume intesa come esoterico viaggio psicanalitico dentro la mente umana, attraverso il quale i protagonisti si spogliano di tutte le sovrastrutture razionali per arrivare a Kurtz, simbolo dell’irrazionalità più oscura e malvagia che alberga dentro tutti noi. Palma d’Oro ex-aequo con Il tamburo di latta (1979) di Volker Schlöndorff.


1) La dolce vita (Federico Fellini, 1960)



La dolce vita' torna al cinema in versione restaurata | Il Friuli




All’alba degli anni ’60, una scossa tellurica senza precedenti nella storia del costume italiano, sia sociale che cinematografico. Autentico film-simbolo di un’intera epoca, chiacchieratissimo già a suo tempo, fondamentale per comprendere lo slancio definitivo dell’Italia del boom ormai proiettata verso la perdita dell’innocenza. Roma, nel capolavoro di Federico Fellini è un fondale solo apparentemente in movimento e in realtà smorto e inerte, che culla la spossatezza esistenziale dei personaggi senza opporre resistenza, senza imporre la sua presenza. Una tappa formidabile e obbligata della storia del cinema moderno, anche per via della rivoluzionaria struttura narrativa rapsodica. Enorme successo di pubblico sia in patria che a livello internazionale.

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