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Il commissario Ricciardi e altre storie: intervista ad Alessandro D’Alatri

D: La fiction IL COMMISSARIO RICCIARDI costituisce la tua seconda collaborazione con Maurizio De Giovanni, dopo I BASTARDI DI PIZZOFALCONE. Cosa c’è nella scrittura dell’autore che hai trovato di particolarmente congeniale alla tua cifra stilistica, al tuo modo di scrivere e leggere la realtà?

R: È una collaborazione di continuità professionale più che artistica: perché i due soggetti sono soggetti completamente diversi, hanno tematiche, spessore, filosofia, capacità di intrattenimento completamente differenti tra di loro. Diciamo che se vogliamo cercare un comune denominatore tra i due soggetti è sicuramente la penna di Maurizio De Giovanni, e la capacità che ha di lui di appoggiare lo sguardo su Napoli e i napoletani: e soprattutto i comportamenti che appartengono a questa città. È un viaggio bellissimo in cui lui accompagna i suoi lettori, lettori che molto spesso non conoscono Napoli, diciamo che è un Virgilio che accompagna i visitatori in questi mondi e comportamenti che sono strettamente partenopei. In questo però non c’è soltanto un local sight: in realtà, sono comportamenti che riguardano gli esseri umani. Ad esempio: mentre su I BASTARDI lui si appoggia su crimini commessi all’interno della società civile bypassando completamente la grande criminalità organizzata raccontata dalla serialità più specifica su camorra e mafia, e quindi colpendo quelli che sono i delitti maturati con uno sguardo molto interessante; in RICCIARDI ha una matrice completamente diversa. IL COMMISSARIO RICCIARDI ha un grande cocktail di linee narrative dove dentro ci sono vari colori, c’è la detection, il paranormale, lo storico, il sentimentale, la commedia. Sono tanti elementi che vanno a combinarsi e danno una matrice unica nella letteratura ricciardiana.

D: Da spettatore e critico, se dovessi io dire perché il connubio D’Alatri/De Giovanni è venuto fuori così bene, è lo sguardo che avete nei confronti del risvolto sociale dell’essere umano. Come dicevi tu, sia ne I BASTARDI che in RICCIARDI, la detection è centrale per portare avanti la linea narrativa, ma è strumentale per osservare la varia umanità…

R: Esatto..

D: RICCIARDI è come un catalizzatore che accentra i personaggi e le sue storie. E tu hai accarezzato i personaggi di contorno che poi “di contorno” non sono. 

R: Sono d’accordissimo, vorrei aggiungere che dal mio punto di vista I BASTARDI era un progetto già avviato e ho trovato un cast affiatato e già confezionato, con scelte fatte a monte, con ambienti già decisi. Quindi ho dovuto tornare sui passi di altri percorsi. RICCIARDI invece l’ho fondato io! Dal punto di vista della serialità televisiva. Ho costruito tutto il cast principale, tutte le location , tutti gli ambienti, i costumi: la visione è stata fondata da me, ed è una bella differenza dal punto di vista professionale del regista, perché significa fare le fondamenta di un palazzo con un tuo pensiero. Io sui BASTARDI mi sono adattato su scelte degli altri; là dove ho potuto ho cercato di intervenire ma insomma, avevo le braccia legate.

D: Nella visualizzazione del fumetto de IL COMMISSARIO RICCIARDI, pubblicato dalla Sergio Bonelli Editore, il protagonista ha un’aderenza incredibile al protagonista sul set, a Lino Guanciale…

R: Sia il fumetto sia la serie TV sono basati sull’interpretazione della scrittura: tutti hanno rispettato il ricciolo, l’impermeabile, il cappello e via discorrendo. Entrambi abbiamo rispettato le indicazioni dell’autore.

D: Ancora non avete finito di girare le puntate della prima stagione…

R: No, stiamo chiudendo la quinta e la sesta puntata, siamo in ritardo con la post produzione. Noi in realtà abbiamo iniziato senza pandemia e avremmo finito senza, ci sono state interruzioni determinate da una serie di problemi che poi solo dopo si sono trovate ad avere a che fare con la pandemia. Questa è una lezione di vita che non andrebbe mai dimenticata: la lavorazione su un set deve finire sempre prima possibile!

D: Dopo la pandemia, resterà il doppio binario tra sala e TV, perché durante i lockdown lo streaming è stato il canale ovviamente preferenziale delle produzioni. Come ti poni di fronte a questa dicotomia, fermo restando che il cinema deve continuare ad essere fatto e distribuito in sala?

R: Guarda, secondo me va bene tutto. Nel senso che adesso la sala non c’è neanche magari per chi avrebbe più senso trovasse posto direttamente sullo streaming (piccole produzioni, emergenti, esordienti), perché le sale sono chiuse! Per adesso, o ti mangi sta minestra… Per il resto, d’altra parte, devo dire che l’offerta variegata di prodotti e di spazi è da salvaguardare. Io sono per la libertà di scelta del pubblico, secondo me questo è uno stimolo per ciascuno per migliorarsi e per fare meglio. Se è vero che alcune volte l’offerta produttiva dello streaming è più interessante, diventerà di stimolo per chi fa la sala, per diventare competitivo. Così come anche il contrario: se la sala offre di più. Più piattaforme ci sono, più possibilità di usufruire dello spettacolo ci sono, secondo me fa bene a tutti. Quello che non fa bene è che ci siano le cose chiuse: teatri, cinema, ristoranti, tutto chiuso, anche perché poi parliamo di un settore che non ha mai dato nessun segnale di contagio…


GianLorenzo Franzì

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