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Lav Diaz conquista Venezia 73: «Sono un semplice cantastorie»

Se provate a dirgli che i suoi film sono esperienze di vita straordinarie e totalizzanti, è molto probabilmente che lui glissi e faccia spallucce. E’ capitato alla conferenza stampa di presentazione del suo ultimo film in concorso a Venezia, The Woman Who Left, dove Lav Diaz ha così ribattuto a chi sottolineava la dimensione immersiva richiesta dai suoi lavori: “Io in realtà sono un semplice cantastorie, un narratore come tanti altri e racconto il travaglio dell’essere umano. Mi sono liberato delle convenzioni nella mia carriera, ma essere liberi riguarda in profondità il mio modo di narrare e non potrebbe essere altrimenti. La vita è senza dubbio un mistero in quanto tale e ogni volta che faccio un film si tratta sempre di un esplorarlo a fondo, di produrre un esame attento e dettagliato della vita stessa”.

L’attrice Charo Santos-Concio ha parole al miele per il suo regista: “Volevo da tempo lavorare con lui, è un artista che non manipola mai le emozioni del pubblico e si tratta di qualcosa di unico”. A chi gli chiede se si ritiene, come molti lo definiscono, il padre psicologico del nuovo cinema filippino, Diaz ostenta una modestia se possibile ancora maggiore: “Non è vero, non credeteci affatto. Sono solo un regista qualunque”.

Sulla natura spesso ostica e non accomodante della sua arte, l’autore di Melancholia si esprime invece così: “Se sei un artista la parola compromesso è qualcosa di molto grande che è sempre su di te e intorno a te, ti circonda e ti sovrasta. Ma io ritengo che il compromesso sia un veleno, un muro, una prigione costante con la quale ogni artista si confronta. Quando faccio un film non penso al pubblico, penso alla cultura e alla trasmissione di un discorso culturale. Sono solo un semplice regista che cerca di dare un contributo alla cultura attraverso il cinema, so solo lavorare nel cinema e questo è il mio apporto all’umanità. Non so fare altro”.

Lav Diaz di The Woman Who Left è regista, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia. Sui titoli di coda, nel vedere tutte queste etichette professionali e creative apparentate sopra il suo nome, trattenere lo stupore l’ammirazione non è semplice. “Quando scrivo sono uno sceneggiatore, quando filmo sono un regista. Sono molte persone diverse allo stesso tempo. E’ difficile impartire quello che si vuole agli altri, anche nella fase di montaggio. Di solito è brutto perché in qualche modo tagli il lavoro del direttore della fotografia o di altri tecnici, ma in questo caso sono sempre io a fare e disfare. Ci sono parecchie scene molto belle che ho dovuto tagliare per mantenere l’armonia del film e dunque certe volte mi tocca mandare a quel paese il regista. Che però sono sempre io…”.

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