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Krzysztof Kieślowski – L'intimità dell'uomo tra dilemmi morali e sentimenti inesprimibili
Tra i più grandi autori di sempre, stimatissimo da Stanley Kubrick, Krzysztof Kieślowski si distingue per un cinema intellettuale di notevole complessità tematica, capace di farsi portatore di sentimenti inesprimibili. Sceneggiatore, regista e scrittore, nato a Varsavia il 27 giugno 1941 e prematuramente scomparso a causa di un attacco di cuore a soli 54 anni, Kieślowski inizia a lavorare negli anni Sessanta come documentarista, sia per la TV che per il grande schermo, non senza problemi con le autorità polacche.

Nel 1976 esce il suo primo lungometraggio di finzione, La cicatrice (Blizna), ma è dagli anni Ottanta che realizza i suoi capolavori. Il dramma onirico e pessimista Senza fine (Bez konca, 1985) segna l'inizio del suo fondamentale sodalizio con Krzysztof Piesiewicz (sceneggiatore) e Zbigniew Preisner (compositore). Di importanza capitale la sua serie televisiva Decalogo (Dekalog): ogni episodio, di circa 55 minuti, è indipendente dagli altri e racconta una storia di vita quotidiana ispirata, talora vagamente, talora in modo più esplicito, a uno dei Dieci comandamenti biblici.


Dopo il bellissimo La doppia vita di Veronica (Le double vie de Véronique, 1991), realizza la splendida trilogia dedicata ai tre colori della bandiera francese e ai rispettivi motti rivoluzionari (Liberté, Égualité, Fraternité): Tre colori – Film blu (Trois coleurs: Bleu, 1993), Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia, Tre colori – Film bianco (Trois coleurs: Blanc, 1994), Orso d'argento per la miglior regia a Berlino, e Tre colori – Film rosso (Trois coleurs: Rouge, 1994), nominato a tre premi Oscar (miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior fotografia).

«Esemplificando i concetti attraverso l'azione drammatica della storia, Krzysztof Kieślowski e Krzysztof Piesiewicz acquisiscono il potere aggiuntivo di permettere al pubblico di scoprire quello che sta realmente accadendo piuttosto che semplicemente raccontarglielo. Lo fanno con tale abbagliante abilità, che non riesci a percepire il sopraggiungere dei concetti narrativi e a materializzarli prima che questi non abbiano già raggiunto da tempo il profondo del tuo cuore» (Stanley Kubrick, prefazione a Decalogue: The Ten Commandments, London: Faber & Faber, 1991)


Ripercorriamo la straordinaria filmografia di Krzysztof Kieślowski, attraverso una doppia classifica: da una parte i tre migliori lungometraggi del maestro polacco, dall'altra i tre migliori episodi del Decalogo.

3) Senza fine (1985)



Antek (Jerzy Radziwilowicz), giovane avvocato, muore improvvisamente, ma il suo spirito continua ad aggirarsi nel mondo terreno osservando e intervenendo nelle vite di sua moglie Ursula (Grażyna Szapołowska), distrutta dal dolore, di suo figlio Jazek (Krzysztof Krzeminski) e del suo ultimo assistito (Artur Barciś). Ursula risentirà più di tutti della morte del marito e, quando ogni tentativo di dimenticare non farà che amplificare il suo dolore, prenderà una tragica decisione.
Onirico e pessimista, politico e morale: Senza fine segna un'importante svolta nel cinema di Kieślowski sia dal punto di vista contenutistico che formale. Grazie anche all'apporto di quelli che saranno i due più importanti collaboratori del cineasta polacco fino alla sua morte, l'avvocato Krzysztof Piesiewicz per la sceneggiatura e il compositore Zbigniew Preisner per le musiche, il film raggiunge una maturità nuova per il percorso cinematografico dell'autore, coniugando le tematiche dei suoi primi lavori, legati al pessimismo di fondo di un destino ineluttabile che dirige la vita di ogni individuo, alle istanze politiche di critica al regime socialista in Polonia, e alle aporie morali che saranno poi al centro degli episodi del Decalogo: come il problema dell'individuo, della sua maturazione interiore e dei risvolti che ogni azione implica sulle altre persone. Non v'è fine al dolore di Ursula, come a quello di Antek, che solo nella tragicità di una seconda morte troverà non la sua soluzione, ma l'unico sbocco possibile: non vi è elaborazione così come non c'è soluzione nel caso del sindacalista imputato di essere un sobillatore, e anche la scarcerazione di Darek è fittizia e la pena solo rimandata. Il dolore dell'individuo si lega dunque a doppio filo con il destino politico della Polonia: una lotta impari tra l'uomo e la morte e l'uomo e il regime, una lotta che, alla fine, non può essere vinta e il cui esito non può che essere l'annullamento fisico e morale dell'individuo. Un'opera importante, da vedere e rivedere.

2) La doppia vita di Veronica (1991)




Veronika (Irène Jacob) è una giovane ragazza polacca dotata di una bellissima voce. Vince un concorso di canto, ma durante la prima dell'esibizione muore improvvisamente. A Parigi, Véronique (Irène Jacob) identica fisicamente a Veronika, risente della sua scomparsa pur non avendola mai vista né conosciuta.
Incentrato su uno dei temi più cari a Kiéslowski, ossia le profonde connessioni tra esseri umani che travalicano spazio e tempo influenzandosi reciprocamente, La doppia vita di Veronica segna l'inizio della fase più matura dell'opera del regista polacco. La simbologia e le metafore del cinema kieślowskiano si fanno piena forma, intrecciandosi in un film intimamente doppio e allo stesso modo intimamente unico. Veronika/Véronique (interpretate da una splendida e indimenticata Irène Jacob) sono le due facce di una stessa medaglia: da una parte due variabili di uno stesso personaggio, le cui vite sono come due what if che si sviluppano paralleli sullo stesso piano spazio-temporale; d'altra sono, proprio in virtù di questa compresenza, l'una la premessa dell'altra, e viceversa. Come la ballerina/bruco, per divenire fata/farfalla, deve prima morire – come nello spettacolo di marionette a cui assiste Véronique – così la morte di Veronika è la conditio sine qua non per la maturazione di Véronique. L'una e l'altra ma anche l'una è l'altra, senza soluzione di continuità, diritto e rovescio, come l'immagine di cielo e terra ribaltati attraverso il prisma di una palla di vetro che entrambi i personaggi possiedono. Fotografato nei caldi toni dell'arancione, e pervaso da un universo sonoro diegetico ricchissimo (si pensi alla scena della “caccia al tesoro” sonora o al leitmotiv musicale che guida tutta la pellicola, parte centrale della straordinaria colonna sonora di Zbigniew Preisner), il film è l'ottima risoluzione, sia a livello formale che contenutistico, dei temi già accennati da Kieślowski, un po' troppo didascalicamente, nel precedente Destino cieco (1987), e qui sviluppati ed esplorati più a fondo e con maggiori margini interpretativi e simbolici. Prix d'interprétation féminine a Irène Jacob al 44° Festival di Cannes.

1) Tre colori – Film rosso (1994)



Una giovane modella, Valentine (Irène Jacob), dopo aver accidentalmente investito il suo cane, fa la conoscenza di un giudice in pensione (Jean-Louis Trintignant) che spia le conversazioni telefoniche dei vicini: il loro incontro cambierà entrambi. Parallelamente si svolge la vita di Auguste (Jean-Pierre Lorit), studente di giurisprudenza che ha un'appassionata relazione sentimentale con Karin (Frédérique Feder).
Terzo e ultimo capitolo della Trilogia dei colori, dedicato alla fraternità, Film rosso è una summa della poetica di Kieślowski e allo stesso tempo, purtroppo, un commiato alla Settima arte, a causa della morte del regista neanche due anni dopo. La pellicola riassume in sé tutti i temi principali del cinema di Kieślowski: l'intreccio delle vite, l'influenza reciproca a prescindere dallo spazio-tempo, la dicotomia scelta-destino. l'approccio problematico alla morale e alla religione, il problema dell'altro come doppio, il simbolismo. Tutti elementi che vengono plasmati in una forma compiuta e raffinata (in special modo per quanto concerne suono e fotografia), capace di chiudere elegantemente il cerchio sia dal punto di vista narrativo che tematico, attraverso delle potenti metafore simboliche ed esistenziali. Il rapporto Jacob-Trintignant definisce quell'influenza reciproca sul filo affilato dell'asserzione morale propria dei dieci episodi del Decalogo, mentre la vita parallela di Auguste ricorda alcune dinamiche de La doppia vita di Veronica. Notevole, profondo, malinconico, è un lungometraggio che non si dimentica facilmente. Venne candidato agli Oscar del 1995 per la miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia, ma non portò a casa nessuna statuetta. Nel corso della visione compaiono, per l'ultima volta, tutti i protagonisti della trilogia.


3) Decalogo, 6 – Non commettere atti impuri (1989)



Un ragazzo (Olaf Lubaszenko) spia in modo compulsivo una donna (Grażyna Szapǒłowska), di cui è innamorato, con il cannocchiale. Riesce a incontrarla ma, umiliato da lei, tenta il suicidio.
Sesto episodio del Decalogo. Come per Decalogo, 4 – Onora il padre e la madre, il film mette al centro della sua indagine il rapporto tra uomo e donna in relazione all'essenza e al significato letterale del comandamento, mandando in cortocircuito entrambi i termini del discorso. Da una parte l'amore puro del ragazzo che si esprime nell'atto impuro della masturbazione e del voyeurismo, dall'altra lo scetticismo radicale nei confronti dell'amore, che si esprime nel sesso occasionale, ma che pure esprime il bisogno di affetti e sentimenti. Solitudini e desideri si intrecciano e si rincorrono inesorabilmente per tutta la pellicola, correndo su binari paralleli e allo stesso tempo tangenti, fino a coincidere nell'ambivalenza: lo spiarsi è per l'uno unico modo di esprimere un amore vero, per l'altro il gioco provocante per riempire il vuoto di sentimenti. All'incrocio dei due punti di vista, quando il confronto diventa reale e fisico, si consuma un'inversione, e quello che era un atto puro per esprimere un amore sincero, diviene atto impuro (e violento) che umilia quel sentimento, fino a spingere il ragazzo al suicidio. L'ambivalenza è totale quando i due protagonisti finiscono per ribaltare la loro percezione dei sentimenti, impedendo ogni consolazione o risoluzione finale, come di regola succede in tutti i titoli del Decalogo. Kieślowski ha girato anche una versione cinematografica più lunga del film, con il titolo letterale Breve film sull'amore, distribuito in Italia col titolo fuorviante Non desiderare la donna d'altri, facente parte del progetto incompiuto di una versione estesa per il cinema di tutto il Decalogo. Straordinario.

2) Decalogo, 4 – Onora il padre e la madre (1989)



Una ragazza (Adrianna Biedrzynska) scopre una lettera lasciatele da sua madre poco prima che morisse di parto, vent'anni prima. Al ritorno del padre (Janusz Gajus) da un viaggio di lavoro, gli rivela di non essere la sua figlia naturale. Il confronto verrà portato all'estremo e tra i due nasce un'attrazione fisica.
Quarto episodio del Decalogo. Film ipnotico e straniante nel problematizzare l'essenza del quarto comandamento, sceglie la via più estrema degli aut-aut morali-religiosi fin'ora proposti, scardinando nel profondo la relazione genitore-figlio in un serrato confronto sempre al limite tra la legittimità del sentimento e lo scandalo del suo portarsi alle conseguenze più moralmente inaccettabili dal punto di vista del senso comune. Con la lettera della madre morta (classico elemento presente/assente della struttura narrativa dei film del Decalogo) come cardine dell'aut-aut, il film vortica attorno allo straniante rapporto prima tra padre e figlia, e poi, contemporaneamente e senza alcuna smentita (il finale, come al solito non sbroglia, ma ammatassa ulteriormente), tra uomo e donna privi di un legame di sangue biologico, suscitando la spiazzante compresenza di una “moralità immorale”, zona neutra – e per questo mai davvero esente da qualsivoglia neutralità – ove i due rapporti sussistono e continuamente tracimano in precario equilibrio l'uno nell'altro, mandando in frantumi ogni più solida certezza morale dello spettatore, e rendendo impossibile, ma imponendola al tempo stesso, una scelta. Una delle vette più alte di tutto il Decalogo.

1) Decalogo, 1 – Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio all'infuori di me (1989)



Il professore di matematica Krzysztof (Henryk Baranowski) è convinto che tutto sia calcolabile e prevedibile attraverso l'uso del computer, anche la resistenza del ghiaccio del laghetto dove il figlio Pawel (Wojciech Klata) vorrebbe pattinare. Fatti i calcoli e i dovuti controlli autorizza il figlio, ma l'impossibile accade e il ghiaccio si rompe.
Da un'idea di Krzysztof Kiéslowski e Krzysztof Piesiewicz, celebre avvocato difensore di molti oppositori del regime comunista in Polonia, nasce la serie del Decalogo, dieci film “problematici” ispirati ai Dieci Comandamenti. Pensati per la televisione polacca, i dieci episodi mettono in scena dieci casi giudiziari, dove lo spettatore finisce per essere il giudice unico di una contesa spirituale sempre in bilico. Ambientati tutti a Varsavia nei quartieri periferici ma residenziali, gli episodi mettono in scena un mondo privo di fede e religione che gli eventi mettono in crisi, spesso e volentieri in modo del tutto implicito dal punto di vista spirituale (lasciando allo spettatore il compito di ricontestualizzare lo spirito del comandamento all'interno del film). Ne risultano quindi dieci dubbi sotto forma di film, la cui asciuttezza narrativa, in coppia con l'abilità di Kiéslowski di utilizzare e creare simboli/metafore forti, hanno consegnato la serie ai classici del cinema dello spirito. Glacialmente laico nell'esposizione e allo stesso tempo profondamente spirituale e toccante nell'esito, il primo episodio è forse il film del Decalogo più esplicito, in cui viene messo in scena l'ambiguo confronto/scontro tra la fede nella scienza e la fede religiosa. Simboli e metafore, anche particolarmente ardite (il computer che si accende da solo, la boccetta d'inchiostro, le lacrime di cera sull'Icona della Madonna, il ghiaccio che si tramuta in acqua santa), ma sapientemente calibrate e distribuite nella pellicola, puntellano e amplificano la portata problematica messa in campo, e ne definiscono ulteriormente la profondità spirituale. In assoluto uno degli episodi più potenti, maestosi e indimenticabili di tutta la serie. Da brividi.
Maximal Interjector
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