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Mindhunter 2: David Fincher introduce gli "Omicidi di Atlanta" nei primi 3 episodi

Chi è che vorrebbe intervistare più di tutti?

Manson

La farò parlare con Manson

Torna Mindhunter, e la seconda stagione riprende esattamente da dove aveva lasciato la prima, con gli agenti Bill Tench (Holt McCallany) e Holden Ford (Jonathan Groff) alle prese con un puzzle intricato, un mosaico di cui vengono consegnate solo poche tessere, centellinate lungo la prima stagione e che ora tornano, come vero fil rouge dell’opera: chi è il serial killer BTK (Blind Torture Kill)? 

Ogni episodio si apre con una sequenza che lo riguarda, in maniera criptica, poco rivelatrice e misteriosa: a differenza degli investigatori, lo spettatore conosce solo il volto dell’assassino, ma poco più. Per i primi tre episodi torna David Fincher, donando anche su piccolo schermo un saggio del suo talento, a suo agio con tematica, atmosfere e clima generale, che ricordano sempre più da vicino i suoi Se7en e Zodiac: gioca con gli specchi, sa bene cosa mettere a fuoco e fuori fuoco, sia in senso metaforico che fotografico, e grazie anche a una colonna sonora essenziale e inquietante, riesce a mantenere alta la tensione. Charles Manson, quindi, al momento altro non è se non uno specchietto per le allodole (benché si sa che apparirà nei prossimi episodi), un nome pronunciato e che attira parecchio l’attenzione dell’agente Ford e del pubblico, a 50 anni dall’eccidio di Cielo Drive, in cui venne assassinata Sharon Tate. Dopo 3 episodi, Manson è solo un nome pronunciato in un colloquio, nulla di più, ma le indagini all’FBI proseguono, sono diversi i profili da seguire, tanti i killer con cui parlare e da cui imparare, tracciando per quanto possibile una mappa della loro mente per comprenderne le azioni e cercare di bloccare chi ne emula gli schemi operativi: sono gli anni degli “Omicidi di Atlanta”, ed è in quel luogo che si focalizza l’attenzione. Il tutto viene gestito da David Fincher con la consueta maestria, optando per una regia essenziale ma non per questo priva di virtuosismi, soprattutto in sede di fotografia.

Per gli episodi 4 e 5 passa il testimone a Andrew Dominik: Mindhunter fin’ora non ha deluso le aspettative, anzi, probabilmente elevando ulteriormente la qualità rispetto alla prima stagione, ponendosi come “altro” rispetto a quanto mostrato nel genere crime su piccolo schermo. Ma tutto è ancora aperto, ci sono diversi interrogativi da risolvere, anche se è giusto chiudere con un dialogo tra Tench e sua moglie, che vagamente ricorda la disillusione di Somerset in Se7en

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