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Steve McQueen si racconta alla Festa di Roma: "Rocco e i suoi fratelli il mio film italiano preferito"
Ancor prima di essere un regista, Steve McQueen è un artista. Ha studiato arte e design e ha esposto le sue opere in tutto il mondo, anche alla Biennale di Arti Visive di Venezia. Le prime forme d'arte con cui si misura sono quindi la fotografia e la scultura. Nel 1999 espone presso la London Institute of Contemporary Arts e viene premiato con il Turner Prize, il più prestigioso riconoscimento inglese di arte contemporanea: si tratta di un aspetto da tenere a mente quando si guarda un suo film. Nella sua carriera cinematografica, iniziata negli anni novanta con i cortometraggi Bear, Deadpan ed Exodus, prima di imporsi al grande pubblico nel 2008 con il suo primo, struggente, lungometraggio, Hunger (vincitore della Caméra d'or per la miglior opera prima al Festival di Cannes), McQueen ha sempre puntato anzitutto sulla cura della composizione dell’inquadratura.

Muovendosi dunque lungo la linea di confine tra cinema e arte, l’autore inglese, alla fine degli anni duemila, pone al centro della sua poetica la simbologia dei corpi: il corpo martirizzato, lacerato dalla fame, vettore ultimo di resistenza, di Bobby Sands (interpretato da Michael Fassbender in una delle sue performance più estreme) in Hunger; quello corrotto e degradato dalla dipendenza sessuale di Brandon (ancora Michael Fassbender) in Shame; quello torturato e offeso di Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) in 12 anni schiavo (film che riceve importanti riconoscimenti, tra cui tre premi Oscar®: miglior film, migliore sceneggiatura non originale e miglior attrice non protagonista, mentre McQueen ottiene la sua prima nomination come miglior regista).

Un cinema, quello di McQueen, che combina uno sguardo impassibile e oggettivo alla incessante ricerca di poesia visiva, e che ama mostrare più che raccontare. Come accade anche in Widows – Eredità criminale, heist movie su un gruppo di vedove costrette a proseguire il lavoro sporco iniziato dai loro mariti, altra opera certosina nella composizione delle inquadrature.

Ospite di un incontro della Festa di Roma, Steve McQueen ha presentato all'evento Small Axe, una serie TV antologica in cinque episodi ambientata a Londra tra gli anni '60 e gli '80, sulle vite di un gruppo di ragazzi e delle rispettive famiglie appartenenti alla comunità indiana della città.


Ecco i punti toccati nel corso del suo Incontro Ravvicinato con il pubblico della Festa del Cinema di Roma.

Sul perché ha girato Hunger con inquadrature spesso molto lunghe e prive di stacco di montaggio nelle quali solo alla fine, magari, viene mostrato il controcampo

È un modo per mantenere alta l’attenzione di chi guarda, quando stacchi il pubblico respira, istintivamente si rilassa. Non facendo questa scelta stilistica il pubblico è sempre lì presente e l’attenzione resta molto alta. Nel caso del dialogo tra Bobby Sands e il prete in Hunger non c’era alternativa, andava tenuta così. Pensiamo al tennis: nella finale di Wimbledon del 1980 tra due straordinari tennisti entrambi irlandesi d'origine, John McEnroe e Jimmy Conners, avevamo due atleti con un’idea di potenza molto diversa. Connors giocava molto a fondo campo, cercando di sfruttare l'errore avversario, mentre McEnroe era un maestro di schiacciate e rovesci, dell'attacco all'avversario. Lo stesso accade in quella scena: Sands vuole far finire subito l’incontro, il prete invece prolunga i tempi, logora l'attesa puntando sull'errore dell'altro. 

La figura di Bobby Sands

Di Sands mi colpiva la fermezza. Uno può essere più o meno d’accordo con qualcosa, ma a prescindere da come la si pensi sulle azioni essere pronto a fare tutto per i propri principi, com'era lui, è incredibile. Quando eravamo bambini coi nostri genitori potevamo solo alzarci da tavola senza mangiare per dimostrare il nostro dissenso, era l’unico potere che avevamo. Il resto, dagli amici a ciò che potevamo fare, era tutto già deciso dai genitori. Forse Sands, col suo sciopero della fame estremo, mi fa pensare proprio a questo, al rapporto con mia madre. L’immagine del volto di Sands durante il suo sciopero della fame, quando io avevo 9 o 10, aveva sempre un numero accanto. Io chiesi stupidamente a mia mamma se fosse per caso la sua età, ma in realtà erano i giorni di sciopero della fame dal momento in cui l’aveva iniziato. Era quello il suo unico potere.

Il dialogo tra Michael Fassbender e Carey Mulligan in Shame davanti la televisione

Felix The Cat come cartone animato per me era un must e per questo l'ho usato all'interno della sequenza. Se non vediamo i volti di chi parla, come accade  in quella scena, ascoltiamo con più attenzione. Quando sentiamo scorci di conversazione in strada o in treno scatta l’immaginazione, si mette in moto sempre e comunque un processo.


Il confine tra la videoarte e il cinema

Da bambini prendendo in mano un gessetto pensiamo subito in termini di prospettive, quindi non è che per me ci sia grande differenza. Se proprio si vuole trovare una distinzione il cinema è forse più come un romanzo mentre l'arte contemporanea somiglia maggiormente alla poesia: al suo interno ci sono fratture e condensazioni che puoi esplorare come cerchi concentrici che vanno in direzioni diverse. Tutti noi conviviamo con l’arte, e tanti di noi vogliono tornare a rivedere un quadro in un museo che hanno già visto per ritrovare una sensazione, magari quella della prima volta che hai visto un'opera. Alla seconda visione però magari qualcosa dentro di te cambia, un aspetto dell'arte è che non possiamo portarla via con noi. Il cinema credo sia uno stato mentale diverso.

A proposito di 12 anni schiavo

Il film non costò molto. Il fatto che il presidente fosse Barack Obama in quel periodo ha aiutato sicuramente. Pare che negli USA molte persone avessero paura di andarlo a vedere in sala, infatti quando è uscito in home video c’è stato un grandissimo successo di DVD nel giro di una settimana. Ha rappresentato una svolta, dimostrando che un film come questo può funzionare anche come ricavi.

A proposito di Widows - Eredita criminale, il suo ultimo film

L’ispirazione viene da una serie televisiva con lo stesso titolo che guardavo da bambino e con protagoniste delle donne che, anche senza partner al loro fianco e nonostante le avversità, riuscivano ad avere la meglio. Era un programma televisivo britannico con enorme seguito. Pur raccontando di personaggi minori e perdenti attirava tantissimo.

Il film italiano: Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti 

Non ricordo dove l'ho visto la prima volta, ma negli anni '80 e '90 a New York c'erano tanti cinema che davano film d'essai in pianta stabile, era l'unico modo per vedere certi film classici e recarsi in sala, proprio come azione fisica, era parte integrante dell'esperienza del vedere un film. Questo capolavoro di Visconti ha grande senso di realtà, passione, restituisce la qualità materiale di ciò che bisogna fare per sopravvivere. Vedendolo te la senti quasi nelle mani, come una ghiaia che ti scalfisce, e naturalmente è un film che parla anche di fragilità della mascolinità.


Biografia Steve McQueen, Fonte: Festa del Cinema di Roma

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