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L'incredibile storia dell'Isola delle Rose: la nostra intervista a Sydney Sibilia

L’INCREDIBILE STORIA DELL’ISOLA DELLE ROSE
intervista a Sydney Sibilia

È davvero incredibile che la storia de L'Isola delle Rose sia una storia vera! Dopo aver visto il film inevitabilmente si va a informarsi sulla cronaca degli anni ’60 e credo sia inevitabile chiedersi perché questa vicenda non sia più famosa, non sia mai stata trattata (andando a memoria, forse solo un volume della serie a fumetti Martin Mystère, qualche anno fa, ne ha tratto un’avventura del protagonista).

Io l’ho scoperto per caso, proprio quando stavo scrivendo Smetto Quando Voglio 2: sai, SQV 2 e 3 sono due film che devi scrivere tenendo Wikipedia aperto, parlando in continuazione, in fase di scrittura, con Francesca Marino, a esempio di chimica e latino. E sai che quando stai su wiki si aprono a lato delle finestre tipo “Non tutti sanno che…” e c’era questa info sull’Isola Delle Rose, piccolo Stato. Se fai questo lavoro, le antenne ti si drizzano come i cani di tartufo, sono andato a leggere ed era una storia incredibile!! Me la leggo proprio su Wikipedia, poi mi informo meglio e mi chiedo “Ma ti pare che non ci hanno fatto ancora un film?”. Allora lo faccio io! Ed è nato così. Sul perché non ne parlino di più, guarda: siamo un paese dove accadono un sacco di cose interessantissime, e non tutte sono famose, ci si dimentica facilmente di quanto succede. Ma meglio per me!

È una storia particolarmente importante dal punto di vista politico, soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo. Sicuramente la produzione del film però è nata tanto tempo fa; e parliamo poi di una produzione Netflix, e non Netflix Italia, ma proprio il colosso della Enne Rossa internazionale. È da sottolineare perché adesso, dopo questo infausto 2020, Netflix sembra un compagno di casa: ma quando è iniziata la produzione del film, parliamo più o meno di cinque anni fa, era “solo” un colosso straniero che si affacciava timidamente in Italia. 

Devo dire che è stata una bella cosa. Per me è stata un’esperienza gigantesca, anche per capire come si lavora a livello internazionale; poi loro mi hanno insegnato tanto – tutto questo però lasciandomi assolutamente la libertà di fare il film che avrei voluto fare. Non avrei mai acconsentito a fare un film con degli studios e acconsentire a certi compromessi, volevo un film e Netflix mi ha fatto fare il film che volevo. Massima libertà autoriale, aiutandomi su delle cose: all’epoca era un po' strano fare un film per una piattaforma, anche se originariamente era prevista anche l’uscita in sala (prevista fino a un mese dall’uscita…).

Dal punto di vista produttivo ci sono due cose che mi hanno colpito positivamente. Prima di tutto la grandeur che traspira da ogni fotogramma: per raccontare di una piattaforma in mezzo al mare tu hai ricostruito una piattaforma in mezzo al mare! Non è una cosa che si vede spesso, con tante ricostruzioni in cg. Ma anche dal punto di vista del casting, sei riuscito a mettere d’accordo uno degli attori migliori di ultima generazione come Elio Germano con dei maestri come Luca Zingaretti e Fabrizio Bentivoglio, che hanno due modalità recitative differenti: mentre Germano ha un’interpretazione mimetica, annullandosi nel personaggio, gli altri due si avvicinano ai personaggi con tono di farsa ma con ascendenze nobili. Come hai lavorato con loro sul set?

Elio era nel progetto fin dall’inizio. Lo chiamo, gli racconto tutta la storia: ancora la sceneggiatura non c’era quindi gli racconto la “versione estesa”, quella vera di otto ore (ogni tanto mi faceva “Fammi andare a casa!” e io “No, ancora non ho finito”), e alla fine gli dico “Questo è il film, lo facciamo insieme o no?” e lui mi risponde “Se lo scrivi così come lo hai raccontato, si. Magari un po' più corto”. Un anno e mezzo dopo gli ho dato la sceneggiatura. Elio quindi era a bordo dall’inizio, differentemente dai politici. Con Fabrizio ci siamo approcciati dopo. Ed era bello proprio perché io volevo dei registri un po' diversi: la parte più divertente e più comica, che mi sono anche divertito di più a scrivere, era proprio quella dei politici, che ci tenevamo a restituire grotteschi, surreali. Una parte caricaturale superiore rispetto al resto perché poi la parte realistica doveva essere affidata ai personaggi considerati “pazzi”, i “pazzi in mezzo a noi”, quelli in mezzo al mare. Invece Roma era più farsesca. Ma noi siamo sempre partiti dalla conseguenza. Tu immagina com’è andata: c’è un consiglio dei Ministri in cui, a un certo punto, qualcuno riceve una telefonata dall’ONU dove dicono che, nel casino del ’68, è successa una cosa piccolissima perché un uomo ha dichiarato uno Stato Indipendente (e immaginavo una Democrazia Cristiana che cerca di minimizzare, non so se hai visto la serie Chernobyl dove dicono a Gorbačëv che è scoppiata una centrale nucleare dicendo “Nooo, ma una sciocchezza…”). Partendo, quindi, dal risultato e andando a ritroso sono uscite fuori le scene che avete visto. E proprio quella scena è come è venuta nella prima stesura, non l’abbiamo mai cambiata: sono quelle che vengono di botto, le migliori poi, perfette così.  

Da Smetto Quando Voglio in poi è come se nel cinema italiano si fosse aperta una nuova fase che riguarda propriamente certa commedia, che potrebbe essere ricondotta alla “nuova” commedia all’italiana, come se fosse una commedia all’italiana 2.0, aggiornata alla sensibilità moderna ma sempre ancorata a certe caratteristiche. In Italia, la commedia è un genere ultra prodotto; ma tra la fine degli anni ’70, quando è finita l’età dei vari Sordi e Totò, e quella che faccio coincidere con la metà degli anni ’10, con Smetto Quando Voglio, c’è stato un interregno di cinepanettoni. Prendendo la commedia “pura”, cioè non quella dichiaratamente intrisa di dramma come Ozpetek o Virzì o Verdone, sei stato tu a vedere la commedia in maniera nuova, ricalcando la realtà sociale per ridere ma senza quella risata sguaiata. Dopo di te c’è stato proprio un nuovo modo di vedere il genere…Anche perché i tuoi film sono un cinema che ingloba tanto citazionismo mai fine a sé stesso, ma frutto di una visione più ampia. E anche un cromatismo differente, un modo nuovo di produrre una commedia…

Guarda, quando scrivi un film, non sei conscio di quello che verrà fuori, cerchi semplicemente di fare un film che sia mediamente allineato ai tuoi gusti. E quindi penso a ciò che fa ridere me e lo propongo, racconto storie come se stessimo a cena insieme e ti raccontassi una barzelletta. È semplicemente che vedo delle cose che ho visto da piccolo e rimangono in fondo all’ipotalamo, oltre alle cose che mi piacciono oggi e si aggiornano film per film, e alcune cose neanche me ne accorgo che ce le metto dentro. È una questione di gusto, di background culturale; e forse non è proprio una rivoluzione, ma una normale evoluzione dell’immagine, del cinema, del gusto. Così come tra qualche anno arriverà un ragazzo che ha preferenze diametralmente opposte a me e farà altre cose diverse ma sempre buone. Così si evolvono i linguaggi, nel linguaggio cinematografico.

C’è però sempre un fortissimo aggancio con l’attualità: nella trilogia di Smetto Quando Voglio l’eterno legame con il precariato, argomento purtroppo sempre presente, mentre L'incredibile storia dell'Isola delle Rose ci riporta al ’68, ma in qualche modo attualizza il discorso e la sostanza politica, con lo scontro fra l’uomo e il Destino. Stai lavorando a qualcosa ora?

Io lavoro sempre a qualcosa di nuovo, non smetto mai. Anzi, smetto quando voglio…cioè mai!! Ho un paio di idee da sviluppare, ora mi prendo un po' di tempo, le metto in ordine, e vediamo. Anche perché è quel periodo della vita in cui decidi cosa farai per i prossimi due-tre anni, poi quando ci sei dentro io non ci metto poco a fare un film, devo costruire un mondo….Mi guardo anche dentro, perché devi sempre andare a vedere cosa senti l’esigenza di raccontare, scegliendo tra le storie che ti capitano sotto mano. Devo capire se le storie che ho da tanti tempo in testa si incastrano con varie cose, perché poi i ruoli devono essere maturi (ad esempio, non avrei mai potuto fare L'incredibile storia dell'Isola delle Rose come mio secondo film, a livello produttivo era una sfida troppo grande per il me di anni fa, è frutto della parte tecnica che ho imparato con il secondo e terzo capitolo di Smetto Quando Voglio). Certo, poi l’impegno de L'Isola era ogni giorno esponenzialmente più difficile, ogni giorno un inabissamento, un bombardamento, un’esplosione, uno sci nautico…ma ora, che è uscito, posso dire “Ah, finalmente ce l’ho fatta!”

GianLorenzo Franzì

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