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10 anni di Una separazione: Asghar Farhadi e il cinema del dubbio

Sono passati ormai 10 anni da quando Una separazione venne presentato al festival internazionale di Berlino. La pellicola sancì il successo internazionale di Asghar Farhadi che, dopo esser stato sommerso da una vera e propria valanga di premi (il film del 2011 riuscì infatti a vincere l'Orso d'oro come miglior film al festival di Berlino, l'Orso d'argento al cast femminile nella stessa kermesse, l'Oscar e il Golden Globe come miglior film straniero), divenne uno dei più noti e stimati esponenti del cinema iraniano. Il trionfo del 2011 ha fatto da apripista per la giusta e meritata riscoperta di un artista capace di ben dosare i delicati equilibri narrativi.


 

Il cinema di Farhadi racconta drammi sociali: parte, infatti, da una storia intima e familiare per tratteggiare un più complesso ed esteso affresco della situazione politica e sociale iraniana. Le opere del regista ruotano attorno al conflitto, sia esso spirituale, di classe o relazionale. La scrittura di Farhadi non ha bisogno di trame particolarmente intricate, la sua abilità è proprio quella di rendere straordinario l’ordinario: i suoi film, infatti, pur raccontando storie e drammi quotidiani, riescono ad avere un andamento narrativo estremamente magnetico. I personaggi, come noi spettatori, sono perseguitati dal dubbio e dall’incertezza, ed è forse questo il fascino più grande di opere che non elargiscono superficialmente pretenziose e sentenziose verità. Non vi è dunque una distinzione manichea tra bene e male, non esiste alcuna certezza ma, bensì, sono le molteplici angolazioni della prospettiva ad alimentare il fuoco del dubbio. Allo spettatore, proprio come ai personaggi, non è concesso alcunché a cui aggrapparsi: Rana Etesami, protagonista de Il cliente (2016), è stata violentata? Nel film Una separazione, Razieh ha perso il bambino per colpa di Nader o dopo esser stata investita da un’auto? Quale sarà la scelta della figlia di Simin e Nader? Queste sono tutte domande a cui Farhadi non dà mai risposte certe, e noi, proprio come i personaggi della pellicola, siamo condannati al limbo del dubbio.

 


I personaggi le cui sorti andremo a scoprire sono spesso tormentati da dilemmi personali, morali e spirituali e le loro vite vengono stravolte da eventi traumatici e voluti dal caso. Nel cinema di Farhadi, a ricoprire un ruolo di primo piano è, inevitabilmente, la cultura del suo Paese natio. Quest’ultima ha infatti plasmato il modo di pensare e agire dei personaggi. In Una separazione viene presentato un conflitto dentro al conflitto: mentre seguiamo la tormentata separazione di una coppia, quest’ultima viene coinvolta in un’ulteriore contesa con un’altra coppia (anch’essa alle prese con screzi e frizioni relazionali). Ovviamente Farhadi vuole toccare temi di grande attualità per l’Iran come, ad esempio, la differenza culturale e religiosa, problematica annosa che in tutto questo tempo ha contribuito a creare fratture all’interno del Paese. Le famiglie che si ritrovano coinvolte in questa battaglia appartengono a due ceti diametralmente opposti e incarnano i due volti dell’Iran: la famiglia di Nader e Simin rappresentano infatti la classe media e moderna (all’interno della coppia sarà la donna a ricoprire il ruolo maggiormente progressista dei due) mentre il nucleo familiare di Razieh e Houjat appartiene al ceto povero, maggiormente attaccato alla religione e alla tradizione.




Altro elemento di riflessione su questa dicotomia tra progresso e tradizione può venire dall’utilizzo dei colori e dello spazio. La cucina, da sempre associata al ruolo della donna, in Una separazione riveste un ruolo iconoclasta: è infatti in questo spazio che le donne del film dimostrano tutta la loro forza, sferrando attacchi all’universo maschile (interessante anche la scelta cromatica legata a questa stanza: il verde, rimando forse a quel Movimento Verde che in Iran è associato a un’idea di progresso e cambiamento).

Il cinema di Ashgar Farhadi è tratteggiato dunque da un grandissimo stampo sociale e, al contempo, da una profonda anima intimista; è un cinema in cui spesso vengono utilizzati specchi, finestre e vetrate per simboleggiare la separazione che ancora persiste tra uomo e donna; un cinema profondamente umano in cui, a dispetto di differenze e contrasti, si vuole sottolineare anche ciò che ci rende vicini.


Simone Manciulli

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