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Nino Manfredi, il perfezionista colto e popolare della commedia italiana
«Nel costruire un personaggio mi ispiro alla realtà delle cose, anche se i gesti non vanno riprodotti in modo meccanico, ma reinventati e poi espressi in un linguaggio che tutti possono comprendere. Cioè trasporto i gesti, i movimenti, i tic che sono un patrimonio di esperienze comuni a tutti alle mie corde interpretative».

Considerato uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana, accanto a Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Ugo Tognazzi, Nino Manfredi ha saputo fare della propria tecnica interpretativa sopraffina e del proprio spiccato talento una vera e propria eccellenza artistica. Costantemente alla ricerca di una sorta di "perfezione" nella performance attoriale («Io mi sono fatto la fama di essere il peggiore rompicoglioni del cinema italiano», Alvise Sapori, Sii innocente, e ridi: questo è il mio segreto, La Repubblica, 4 agosto 1985), Manfredi si è imposto come uno dei volti più amati del cinema nostrano anche per la sua capacità di unire cultura alta e cultura popolare. Estremamente esigente con se stesso, non ha mai ceduto alla tentazione di cavalcare il successo procedendo per accumulo di titoli, dando sempre maggiore peso alla qualità a discapito della quantità. Uha carriera, la sua, costellata di ruoli complessi e ricchi di sfumature, mai allineati alle mode delle varie epoche e, soprattutto, esenti da qualsiasi classificazione precostituita.

«Lo chiamavo l'orologiaio: era pignolissimo nel suo lavoro, un cesellatore, per questo riusciva a dare risultati straordinari» (Dino Risi)


Attore, regista, sceneggiatore, comico, cantante e doppiatore, Nino Manfredi, nato a Castro dei Volsci il 22 marzo 1921 e scomparso a Roma il 4 giugno 2004, è stato un monumento della cultura italiana. Laureatosi in Giurisprudenza con una tesi in diritto penale, ha saputo costruire il suo percorso artistico partendo da quella che, una volta, si chiamava "gavetta". Poco più che ventenne, si diletta come presentatore e attore nel teatrino della parrocchia della Natività di Roma, per poi diplomarsi alll'Accademia nazionale d'arte drammatica nel 1947. Al Teatro Piccolo di Roma recita Cocteau, Ferenc Molnár, Denis Amiel, Arthur Miller e Eugene Gladstone O'Neill sotto la direzione del suo maestro Orazio Costa, mentre al Piccolo di Milano, con la regia di Giorgio Strehler, si imbatte nei drammi shakespeariani Romeo e Giulietta, La tempesta e Riccardo II. E poi la collaborazione con Eduardo De Filippo nella stagione 1952-1953, i varietà radiofonici, il teatro di rivista e la commedia musicale. Un percorso di notevole spessore che evidenzia il carattere poliedrico di Manfredi, il quale trova il pieno riconoscimento del grande pubblico con la consacrazione cinematografica. Pietrangeli, Comencini, Risi, Scola e Loy sono solo alcuni degli autori che hanno reso indimenticabile Nino Manfredi sul grande schermo, attraverso ruoli che ancora oggi stupiscono per acume e modernità.

Ripercorriamo allora la carriera di Nino Manfredi andando a riscoprire i suoi personaggi più amati.

Giacinto Rossi in A cavallo della tigre (1961)



Giacinto Rossi è entrato in carcere per un crimine minore commesso per aiutare la famiglia. A pochi mesi dalla scarcerazione, viene costretto dai suoi compagni di cella a partecipare a un'evasione e, dopo un periodo in cui vive molte peripezie, riesce a raggiungere la moglie Ileana: scopre così che la donna convive con un altro uomo... Scritto da Luigi Comencini (anche regista), Age & Scarpelli e Mario Monicelli, la cui influenza è evidente nel sarcasmo intrinseco nei dialoghi e nel cinismo serpeggiante, l'esordio di Manfredi nel registro drammatico è un film corrosivo, che ghigna di fronte al boom economico. D'altro canto, vengono messe in evidenza le contraddizioni di un Paese come l'Italia in cui, al progresso industriale, non corrisponde un avanzamento dei diritti sociali. SI ride a denti stretti, anche grazie alla perizia con cui è caratterizzato il protagonista, povero infermiere indebitato fino al collo a cui Manfredi dà spessore e credibilità.

Natalino Tartufato in Italian Secret Service (1968)



Natalino è un ex-partigiano noto con il nome di “Capellone”, che ora, però, deve fare i conti con l'esame di terza media per poter ottenere un impiego. Durante la guerra, aveva salvato l'agente americano Charles Harrison, il quale non si è dimenticato di lui: entrato a far parte del servizio segreto, lo statunitense contatta l'amico italiano per dare la caccia a una spia neonazista, ma gli imprevisti sono dietro l'angolo. Grazie al traino di James Bond e dei suoi tantissimi epigoni made in Italy, Comencini prova un non facile mix di spionaggio casereccio e rodata commedia sociale. Il risultato non sempre convince, ma trova nel personaggio di Manfredi un plus notevole.

Marino Balestrini in Straziami, ma di baci saziami (1968)



Marino Balestrini, ciociaro innamorato della marchigiana Marisa, è portato dalle malelingue a pensare che la ragazza l'abbia tradito. Accecato dalla gelosia, la maltratta al punto da farla fuggire a Roma, spingendola tra le braccia del sarto sordomuto Umberto. Compreso l'errore, partirà alla riconquista. Folcloristica commedia diretta da Dino Risi, Straziami, ma di baci saziami rimane uno dei titoli più amati di Nino Manfredi, che si trova perfettamente a suoi agio in questo tripudio di eccessi da fotoromanzo, teatralità popolare e comicità ruspante. Irresistibili i dialoghi, resi epocali dall'alterazione dialettale. Ciliegina sulla torta la presenza di Ugo Tognazzi con tanto di capigliatura alla Harpo Marx.

Cornacchia/Pasquino in Nell'anno del Signore (1969)



Roma, 1825: l'umile ciabattino Cornacchia cerca insieme alla convivente Giuditta di salvare dalla ghigliottina due carbonari accusati di cospirazione e tentato omicidio. Ma, senza l'appoggio popolare, ogni sforzo sarà vano. Ispirato a fatti realmente accaduti durante la Roma papalina, il film è il primo (e il migliore) di tre capitoli che il regista Luigi Magni dedicherà al difficile rapporto tra popolo e aristocrazia nella capitale (gli altri due sono In nome del Papa Re del 1977 e In nome del popolo sovrano del 1990). Una commedia dalle forti tinte drammatico-storiche, i cui spiccati contenuti anticlericali hanno dato più di una preoccupazione alla produzione per la scelta del cast. Ed è proporio il felice assortimento degli attori il punto di forza di una pellicola trainata in particolare dal carisma di un grandissimo Manfredi, premiato con il David di Donatello e il Nastro d'argento.

Benedetto Parisi in Per grazia ricevuta (1971)



Benedetto cresce nel terrore del peccato: traumatizzato in gioventù e sopravvissuto a un incidente, è creduto miracolato e viene rinchiuso in convento. Ne uscirà anni dopo per andare alla scoperta del mondo: l'incontro con il cinico e ateo Oreste, padre della timida Giovanna, cambierà la sua vita. Commedia dolceamara sugli effetti di una religione mistificatoria e distorta, in cui Nino Manfredi (protagonista, regista e autore della sceneggiatura con Leo Benvenuti e Piero De Bernardi) si mette in gioco appieno, accentuando la componente autobiografica e tratteggiando con delicatezza estrema le paure infantili, le ossessioni giovanili e le disillusioni della maturità. Presentato in concorso alla 24ª edizione del Festival di Cannes, dove si è aggiudicato il Premio come miglior opera prima. Una piccola gemma.

Geppetto ne Le avventure di Pinocchio (1972)



Realizzando questo sceneggiato televisivo in sei puntate tratto da uno dei classici per l'infanzia, Comencini, anche sceneggiatore insieme a Suso Cecchi D'Amico, ha dato vita a una fluviale produzione dallo spirito poetico e sognante che ha tra i punti di forza un cast di assoluto rilievo (Gina Lollobrigida, Vittorio De Sica, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Lionel Stander su tutti). Il regista dà ampio spazio al rapporto tra Pinocchio e Geppetto, attraverso squarci lirici che lasciano comunque spazio anche a un approfondimento di taglio sociale in grado di ancorare il racconto alla realtà. Un riferimento assoluto all'interno dei film TV, da vedere nella sua versione integrale e non in quella ridotta a 135' per il mercato home video.

Nino Garofoli in Pane e cioccolata (1974)



Emigrato italiano, Nino cerca di diventare un membro a tutti gli effetti della società svizzera. Lavora come cameriere, ma fa un “errore” che gli costerà carissimo: privato del permesso di soggiorno, da clandestino cercherà di nascondere la sua provenienza. Curioso film grottesco e perennemente sopra le righe firmato Franco Brusati che, sotto la patina di prodotto leggero e in apparenza superficiale, nasconde una piccola riflessione impegnata sul tema dell'emigrazione e sul tentativo di trovare un proprio posto nella spietata società moderna. Dramma e commedia vanno a braccetto, sostenuti da uno scatenato Manfredi, impegnato in uno dei ruoli più difficili di tutta la sua carriera. Da segnalare anche Anna Karina nei panni della rifugiata politica Elerna e, soprattutto, l'industriale in bancarotta interpretato da Johnny Dorelli («I soldi non si fanno col lavoro, si fanno con i soldi: non lo sai?»). Orso d'argento per la miglior regia al Festival di Berlino e notevolissimo successo internazionale.

Antonio in C'eravamo tanto amati (1974)



1944-1974. Amori, speranze e drammi di tre amici: Gianni, sfrenato arrivista, si legherà alla ricca Elide per interesse; Nicola vedrà sfumare le sue ambizioni intellettualistiche; Antonio resterà fedele agli ideali che lo hanno formato e amerà la stessa donna per tutta la vita. Sullo sfondo, la grande Storia italiana, dalla Resistenza al post boom economico, dal Neorealismo ai fatidici anni '60, che resero grande il cinema italiano. Un Ettore Scola in stato di grazia ha realizzato uno dei film italiani più belli degli anni '70, attraversato da un afflato malinconico che ha fatto epoca. Lineare nonostante i numerosi salti temporali, la pellicola stigmatizza la caduta degli ideali politici e personali, le dolorose prese di coscienza che portano inevitabilmente alla tragedia e il definitivo tramonto di una certa figura di intellettuale. Un'epopea crepuscolare sull'amicizia e lo scorrere del tempo, in perfetto equilibrio tra pubblico e privato, sostenuta dalle magistrali interpretazioni di un trio di attori al loro meglio: difficile dire chi sia più bravo tra Gassman, Manfredi o Satta Flores, senza dimenticare il fondamentale apporto di Stefania Sandrelli e Giovanna Ralli. Un cinema italiano che fu e che mai più sarà, popolare nel racconto, stimolante negli affondi critici, ricchissimo nella forma.

Giacinto Mazzatella in Brutti, sporchi e cattivi (1976)



Periferia di Roma, anni '70. Giacinto Mazzatella, emigrato pugliese, vive in una sudicia baraccopoli con la moglie e i numerosi figli. Per aver perso un occhio, l'uomo ha ottenuto un risarcimento di un milione di lire, che custodisce gelosamente, ma i parenti sono pronti a impossessarsene in ogni modo. Dramma venato di grottesco diretto da Ettore Scola (anche sceneggiatore con Ruggero Maccari), che tinge la macchina da presa di rigido realismo e verismo, non rinunciando a una contaminazione caricaturale e deformante. Le immagini malsane e brulicanti, con primi piani atti a inquadrare la turpitudine fisica e morale dei protagonisti, denunciano la totale assenza di moralità di un'Italia dimenticata, divorata dalla sete di possesso e di consumo. Intensa e memorabile l'interpretazione di Nino Manfredi, gretto antieroe chiuso nel suo cinico egoismo, e almeno una sequenza da antologia: il tentato omicidio ai danni di Giacinto, che viene spinto inconsapevolmente a mangiare un piatto di maccheroni conditi con veleno per topi. Premio per la miglior regia al Festival di Cannes. Imperdibile.

Michele Abbagnano in Café Express (1980)



Per mantenere il figlio malato in collegio, il menomato Michele vende abusivamente il caffè sul treno notturno che va da Vallo della Lucania a Napoli. Nel corso delle nottate, l'uomo, passando attraverso i vagoni, ha ormai instaurato rapporti amichevoli con molti dei pendolari, che lo aiutano a evitare i controllori ferroviari decisi a smascherarlo. Ispirandosi a un suo progetto televisivo, il regista Nanni Loy guarda con sensibilità al protagonista, senza risparmiare una radiografia, talvolta piatta e approssimativa, della società italiana dell'epoca attraverso i vari personaggi che popolano il treno. Tra i massimi pregi del film, svetta la performance di Nino Manfredi che, con la sua interpretazione bonaria ma tagliente, passa dal registro comico a quello drammatico in modo misurato e convincente.

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