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Come funziona il modello contemporaneo di produzione e distribuzione cinematografica
Il modello contemporaneo di produzione e distribuzione cinematografica è caratterizzato da elementi importanti e ben definiti che permettono, in condizioni normali, di far funzionare l’attività dell’industria del cinema. Inserendo questo discorso nel contesto odierno, caratterizzato da una chiusura prolunga delle sale, cercheremo di rimarcare l’importanza dei cinema, non solo da un punto di vista artistico (tutti noi non vediamo l’ora di tornare a guardare film sul grande schermo), ma anche sul fronte di un fattore economico fondamentale per l’industria: la sala è essenziale perché genera il valore dei film. Il film acquisisce valore dal box office, quindi le sale hanno una forte incidenza sul mercato cinematografico, anche se in termine di ricavi per il distributore pesa circa il 20-25%.

In secondo luogo, è corretto ricordare che si tratta di un sistema definito dis-integrato: produzione, distribuzione ed esercizio non coincidono con lo stesso proprietario come avveniva, invece, nel modello classico del cinema. Infatti, possiamo considerare gli Studios (Warner Bros., Disney, Paramount, etc.)  come i distributori finanziatori attorno ai quali ruotano i produttori indipendenti, i cosiddetti “satelliti” degli Studios, cui viene affidata la produzione di un film. Lo Studios può possedere uno di questi satelliti o avere una partecipazione con esso o infine, avere un rapporto contrattuale della durata per esempio di tre anni. Una casa di produzione, quindi, cerca l’appoggio delle case di distribuzione affinché possa convincerlo a finanziare l’opera. Se la casa di produzione satellite è legata contrattualmente a un determinato Studio è tenuta a consegnare il progetto del film a quest’ultimo. Tutto ciò che il “satellite” produce deve portarlo allo Studios con cui ha stipulato il contratto. Gli Studios si avvalgono, inoltre, della facoltà di poter rifiutare, in caso di dissenso, la prima offerta del film della casa di produzione satellite (First Look Last Refusal). A quest’ultimo è concessa la libertà di cercare di farsi finanziare il film da un altro Studio, ma prima ha l’obbligo di tornare dallo Studios con cui è legato contrattualmente che potrebbe rivalutare il film e di conseguenza cambiare idea sull’effettiva possibilità di concedere un finanziamento.

Per essere più specifici, ripercorriamo a grandi linee le dinamiche di business legate alla realizzazione della trilogia de Il signore degli anelli. I rapporti iniziano quando la New Line Cinema, casa di produzione di Peter Jackson, propone alla Warner Bros., Studio con cui era contrattualmente legata, il progetto di tre film ispirati all'universo narrativo creato da Tolkien. Inizialmente la Warner rimane affascinata dalla proposta di un possibile franchise di successo, ma d’altro canto è necessario calcolare anche i possibili rischi. La casa di distribuzione dovrebbe finanziare tre film, sulla base di un progetto astratto, caratterizzati da un ingentissimo budget, senza avere nemmeno la sicurezza del successo del primo film (se dovesse andare male al box office è difficile che gli altri due riescano ad ottenere un enorme successo). Inoltre, non c’era ancora un’idea chiara sul possibile cast e Peter Jackson aveva diretto fino a quel momento solo b-movie o comunque film su scala decisamente più ridotta. Nonostante ciò, la Warner vuole dare fiducia al progetto di Peter Jackson (per fortuna) e decide di coprire soltanto metà del costo di produzione. La New Line Cinema, a quel punto, si trova costretta a mettere l’altra metà "di tasca propria"? Assolutamente no! Troverà invece una soluzione molto interessante, specchio del modello di business odierno.



Cerca i finanziamenti catapultandosi sui mercati di tutto il mondo, proponendo ai distributori di comprare il progetto del film con tanto di licenza compresa per poterlo sfruttare economicamente a pacchetto concluso. In questo modo Peter Jackson riuscì a ricavare l’altra metà necessaria per realizzare un’epica trilogia di enorme successo planetario. Questo ci fa intuire che il modello contemporaneo è considerato globale, poiché il mercato internazionale arriva a pesare il 60% dei ricavi

Per questo motivo la produzione contemporanea si concentra principalmente su un numero abbastanza ridotto di titoli, di una certa importanza con un focus sui franchise seriali e globali, ovvero marchi che contraddistinguono degli universi simbolici narrativi, dei mondi espandibili caratterizzati da personaggi serializzabili in vari modi. Se pensiamo a Star Wars, e al suo sfruttamento commerciale, abbiamo già perfettamente in mente di cosa si tratta. I franchise sono operazioni che ricevono sempre più conferme da parte del pubblico e in cima alle classifiche del box office troviamo spesso titoli derivati da franchise. Infatti, prendendo in analisi il box office mondiale del 2018 (per considerare un anno lontano dal COVID-19), i primi tre film che hanno ottenuto l’incasso più alto sono: Avengers: Infinity War, Black Panther e Jurassic World - Il regno distrutto. Infine, per rimarcare il fatto che il modello contemporaneo poggia su un maggiore ricavo estero, le storie dei franchise non sono strettamente legate alla cultura del paese di produzione, anzi, contengono dei forti richiami a diverse culture (come la forte presenza di costumi e usanze della cultura africana in Black Panther).

Nel paradigma odierno, per evitare un disastro finanziaro, gli Studios ricorrono spesso alla realizzazione congiunta di un film, il “Co-financing”, una formula già esistente negli anni ’80, caratterizzata da una suddivisione dei rischi (Braveheart: 40% Paramount, 60% Fox; Die Hard: 50% Fox, 50% Disney; Titanic: Fox 50% Paramount 50%)

Tornando, invece, all’importanza del valore generato grazie all’incasso in sala, comprenderemo anche il motivo per cui sono aumentate esponenzialmente le spese di lancio di un film che spesso equivalgono addirittura al costo di produzione del film (dal 50% al 100% del film). Tutte le monetizzazioni successive rispetto all’incasso in sala dipendono in maniera lineare dal box office, addirittura il prezzo della vendita di un film alle tv è parametrato in base al risultato del box office. A un determinato incasso corrisponde un determinato prezzo

Oltretutto è cambiato il paradigma distributivo, difatti, è nota l’adozione della saturation release: il distributore deve aggiudicarsi più sale possibili nell’immediato, poiché in questo modo massimizza il suo guadagno, dato che i film non rimangono molto in sala. 

La leva di marketing non è più basata sul passaparola, come avveniva per il modello del road-show legato alla gestione di un’uscita controllata in poche sale, dove c’era una permanenza maggiore del film al cinema (rimaneva in sala anche fino a 6 mesi). Nel nuovo modello cambia completamento il ciclo di vita del film, poiché esso ha vita breve. Questo modello della saturazione si utilizzava nell’era classica del cinema per i film brutti, film “venuti male”, quelli per cui era meglio che non si innescasse il passaparola. 

Nel nuovo modello, una caratteristica fondamentale è quella del multi-screen, dove la Tv (cessione dei diritti e Home-video) genera più ricavi rispetto alla sala, ragion per cui le forme di sfruttamento Tv sono decisive: il 25% degli incassi degli Studios vengono dalla sala, un altro 30% viene dalla vendita dei diritti di distribuzione del film. Un'altra importante fetta di ricavo, soprattutto negli anni ’90-2000, è garantita dalla vendita dell’Home Video (ora on demand), arrivando a pesare la metà dei ricavi degli Studios. Successivamente, però, ci fu un crollo dovuto a internet, alle pay Tv e a causa della pirateria digitale che ha contribuito a reprimere l’home video: oggi vale il 20%. 

Con l’avvento del digitale c’è stato un crollo improvviso dell’Home Video (pensiamo al fallimento di Blockbuster), anche se negli Stati Uniti soltanto da tre anni il digitale ha superato la distribuzione fisica dell’Home Video. Il reale nodo è che ad avvantaggiarsi della distribuzione digitale non sono stati gli Studios, bensì le piattaforme streaming come Netflix e Amazon Prime Video. Perché allora gli Studios non hanno cavalcato l’onda del digitale e si sono in qualche modo fatti anticipare? Il motivo è strettamente legato alla stessa paura che gli Studios avvertivano, negli anni ’50, a causa dell’avvento della Tv. Il cinema la vedeva come nemica e non avrebbe mai pensato, inizialmente, di poter invece sfruttare un film vendendo i diritti per trasmetterlo in tv. Il medesimo timore nei confronti delle piattaforme digitali è lo stesso. Per questo motivo si è cercato di non agevolare l’ingresso delle piattaforme streaming, ritardando la cessione dei cataloghi, in quanto non c’è nessuna voglia di accelerare il processo di digitalizzazione. Anche perché non sono mai stati chiari i modelli di ricavo delle piattaforme (è davvero complesso pensare che Netflix riesca a sostenersi dai soli abbonamenti e generare un tale profitto da riuscire ad ottenere ingenti ricavi). Oggi, tuttavia, la Disney e altri Studios hanno intuito la forte potenzialità che offre il digitale e stanno nascendo sempre più piattaforme come Disney+, HBO Max, Paramount+.

Matteo Malaisi

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