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Da Jurassic Park a Jurassic World: la meraviglia perduta
Era il 1993 e Steven Spielberg stupiva il mondo intero. Senza badare a spese, con Jurassic Park ha riportato in vita i dinosauri, mostrando tutto il potenziale della settima arte riuscendo a coniugare intrattenimento, spettacolo, terrore e poesia, il tutto con un sottofondo etico e un messaggio sulla natura: «Vince sempre». A distanza di 27 anni è strano guardare gli occhi del professor Alan Grant (Sam Neill) e della paleobotanica Ellie Sattler (Laura Dern) di fronte al brachiosauro e a tutte le creature erbivore che popolano libere Isla Sorna, dà un sentimento di nostalgia e allo stesso tempo di poesia, che riecheggia nelle partiture di John Williams. Meraviglia, di questo si tratta: «Benvenuti al Jurassic Park».



Con meraviglia si può intendere la reazione che si ha di fronte all’ingnoto, ad un evento improvviso che ci colpisce, capace di stupirci, di farci spalancare gli occhi: è la vista il senso privilegiato della meraviglia. Grant si toglie gli occhiali da sole, vuole vedere bene, capire se si tratti di un sogno o della realtà, ed è lo stesso gesto compiuto dalla dottoressa Sattler poco dopo. Potremmo dire che tornano bambini, in un certo senso, ed è una sensazione così forte e così fisica che il professor Grant arriva anche a sentirsi quasi male, a doversi sedere. Ed è lo stesso archeologo ad esplicitare il suo ritorno all’infanzia, nell’incontro con la Triceratops malata: «Oddio, è stata la mia preferita fin da bambino e adesso mi sembra la cosa più bella che abbia mai visto» si appoggia alla sua pancia enorme, si fa trasportare dal ritmo del respiro del dinosauro, dimenticandosi di quanto stia accandendo attorno a lui. 



Ma la meraviglia non è solo un sentimento poetico e positivo, anche la paura a modo suo è meraviglia: è frutto dello stupore, che deriva dall’incontro con ciò che non conosciamo e che pensiamo possa costituire un pericolo. Jurassic Park agisce sia a parole, tramite Ian Malcolm (Jeff Goldblum) – «La mancanza di umiltà di fronte alla natura che si dimostra qui... Mi sconvolge» – sia con quella che probabilmente è la sequenza più attesa di tutto il film: l’incontro con il T-Rex. Anche se in realtà ad essere interessante è l’incontro mancato con il Tirannosauro e quanto, invece, accade in Jurassic World in una scena analoga. La macchina del Parco ha portato il gruppo di fronte al recinto del dinosauro, una gabbia con una capra all’interno viene aperta per richiamare il predatore che, però, non si presenta all’appuntamento previsto, e la spiegazione arriva direttamente dal professor Grant: «Il tirannosauro il cibo non l'accetta. Lui vuole cacciare. Non si può sopprimere un istinto vecchio di 65 milioni di anni». Eppure, l’attesa era tanta, gli sguardi pronti a catturare l’immagine straordinaria di qualcosa di mai visto prima, solo sognato e studiato e ora alla portata. Arriverà il momento dell’incontro, meno magico del previsto, a sancire come la natura vinca sempre, per usare le parole del professor Malcolm.



È il 2015, nei cinema arriva Jurassic World, alla regia Colin Trevorrow e Chris Pratt protagonista assieme a Bryce Dallas Howard. Il sogno di John Hammond è diventato realtà: il parco è finalmente aperto ed è pieno di visitatori. Un blockbuster di puro intrattenimento, ma che, a ben osservare, qualche riflessione importante la regala, su tutte quella che porta con sé l’incontro con il T-Rex a confronto con quanto accaduto 22 anni prima. I due fratelli, tra i protagonisti del film, corrono verso l’enorme teca in cui è ammaestrato il dinosauro, ed è evidente come il più entusiasta sia il minore. Arrivati all’interno dell’area, la macchina da presa inquadra una capra e un fumogeno, chiaro richiamo al film di Spielberg, viene lanciato accanto a lei: anche questa volta non si vede il predatore, eppure sappiamo che c’è. Non si vede perché è coperto dalla folla di smartphone che cercano di fotografarlo. Ma è interessante ciò che accade con il fratello maggiore: appena entrato, sente il suo telefono squillare e risponde, mantenendo le spalle al vetro per tutta la durata della chiamata. Questo sembra voler evidenziare Trevorrow: della meraviglia, nemmeno l’ombra, perduta in occhi ormai troppo assuefatti ad un “già visto” di uno schermo.


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