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Roger Moore: il James Bond ironico e charmant per 7 volte 007
Terzo attore, dopo Sean Connery e George Lazenby, a interpretare il personaggio di James Bond, Sir Roger Moore (Londra, 14 ottobre 1927 – Crans-Montana, 23 maggio 2017) è colui che ha permesso allo storico eroe nato dalla penna di Ian Fleming nel 1953 di confrontarsi con successo con il cinema e il contesto socio-culturale degli anni '70 e della prima metà degli anni '80. Leggerezza di tocco, (auto)ironia e classe sopraffina sono solo alcuni dei tratti distintivi di un approccio a 007 che è entrato nel cuore di tutti gli appassionati, legato a un'idea di intrattenimento ormai lontana e, purtroppo, perduta per sempre.


«Forse ho giudicato male Stromberg: chiunque beva Dom Pérignon del '52 non può essere tanto malvagio» (Agente 007 – La spia che mi amava)



Ma come è arrivato Roger Moore a interpretare James Bond? Nel 1972 viene ufficializzata la fine anticipata dello storico telefilm Attenti a quei due, che vede protagonisti Moore e Tony Curtis: visto l'insuccesso in America (a causa della concorrenza di Missione: Impossibile), la serie televisiva non può sostenere i costi di produzione e deve chiudere I battenti anzitempo. Si libera così Moore, il quale finalmente, a 45 anni (!), approda al ruolo, con la benedizione di Connery, il quale approva al 100% la scelta: le voci di dissapori tra i due sono assolutamente false. Ecco così che "Il santo", dal titolo del serial TV (1962-1969) che lo rese celebre negli anni '60 e gli impedì di impegnarsi in altri progetti a lungo termine in quel periodo, entra nella storia. Non solo di Bond.

7 volte 007 (primato assoluto) all'interno di un arco temporale di dodici anni, dal 1973 al 1985: nobody does it better, è proprio il caso di dirlo. Ecco la nostra classifica dei film di James Bond interpretati dal grande Roger Moore.

7) Agente 007 – L'uomo dalla pistola d'oro (1974)



A dieci anni esatti da quella che fu la stagione di maggior successo del “fenomeno Bond”, con L'uomo dalla pistola d'oro si è arrivati a toccare uno dei punti più bassi di tutta la serie. Incertezze nella produzione, evidenti carenze di idee e una sceneggiatura priva di appeal sono le cause di un insuccesso annunciato. Le location conservano un discreto fascino (Hong-Kong, Macao, la Thailandia) ma la storia si limita a seguire gli ormai usurati cliché della saga, senza il minimo guizzo narrativo. Poche novità, molte idee riciclate (il rifugio del cattivo, la Bond girl prigioniera in bikini, l'inseguimento con le barche). In un mare di noia, Roger Moore e Christopher Lee riescono a svegliare lo spettatore nel duello finale, sapientemente ambientato in un labirinto di specchi. Le parentesi ironiche (a tratti parodistiche, purtroppo) stridono con il piglio insolitamente cinico di Moore, il quale avrà modo di riscattarsi ampiamente con le pellicole successive. Lo storico produttore Harry Saltzman dopo il flop di questo episodio abbandonò la saga, lasciando i fan con il fiato sospeso. Ma James Bond tornerà alla grande con Agente 007 – La spia che mi amava (1977) dopo tre, doverosi, anni di riposo.

6) Agente 007 – Vivi e lascia morire (1973)



Primo film della serie girato dopo il definitivo abbandono di Sean Connery, Vivi e lascia morire segna il debutto nei panni di James Bond del londinese Roger Moore. Attraverso una consistente iniezione di umorismo, i produttori cercarono di segnare una forte cesura con i film del passato, nel tentativo di non far rimpiangere i “tempi d'oro” pur conservando i tradizionali tratti distintivi. Poco si accorda, però, questa sterzata a tratti comica con l'atmosfera cupa del film. Inserita in un clima di blaxploitation, la pellicola cerca di aggiornare la figura di 007, calando il protagonista in una vicenda che potesse facilmente attirare gli spettatori dell'epoca, non a caso incentrata sul traffico di stupefacenti: il risultato è un film che snatura in parte la classe e l'eleganza del suo protagonista, senza presentare sequenze significative. Si salvano la rappresentazione di New Orleans e la sensuale presenza della Solitaire di Jane Seymour. Incisiva la figura del barone Samedì (Geoffrey Holder), inquietante figura dedita a riti notturni di magia nera. Meravigliosa title track di Paul McCartney & Wings.

5) Moonraker – Operazione spazio (1979)



Cavalcando il successo di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e Guerre stellari (1977), l'undicesimo capitolo della serie di 007 esaspera i toni fanta-spionistici e, mantenendosi ben poco fedele al bellissimo romanzo di Ian Fleming Il grande slam della morte (1954) a cui si ispira, cerca di intercettare il desiderio di evasione di un pubblico ammaliato dalla sci-fi postmoderna. L'operazione (spazio) non può dirsi pienamente riuscita, però. In primis perché il plot ricalca in modo troppo pedestre quello del film precedente, La spia che mi amava (1977), riproponendone i medesimi sviluppi narrativi (la coppia di agenti uomo/donna, i rigidi spostamenti alla ricerca del villain, la finalità del piano diabolico) e, in secondo luogo, perché l'abuso di effetti speciali e di congegni del reparto Q (la gondola “personalizzata" a Venezia, il motoscafo dalle mille risorse, l'orologio-bomba) offuscano il consueto charme del protagonista. Girato tra Inghilterra, Italia, Francia, Brasile e Guatemala, sembra più un catalogo Alpitour che un film di azione. A risollevare le sorti della pellicola, ci pensano il mago delle scenografie Ken Adam (straordinario il set nello spazio, così come il bunker di Drax in sudamerica) e uno spiritoso Roger Moore capace di iniettare consistenti dosi di umorismo alla vicenda. Per apprezzarne la smaccata inverosimiglianza, Moonraker è da interpretare come un innocuo divertissement che tradisce (in parte) lo spirito di James Bond allo scopo di stupire a tutti i costi.

4) 007 – Bersaglio mobile (1985)



Settima e ultima volta di Roger Moore nei panni di James Bond. L'attore londinese, a 57 anni, dimostra di conservare ancora uno charme invidiabile e, nonostante appaia troppo attempato per la parte, riesce a regalare ancora una prova di grande classe senza rinunciare al suo proverbiale humour inglese. Gli sceneggiatori Michael G. Wilson e Richard Maibaum cercano di confezionare un plot moderno (terremoti artificiali, componenti elettroniche) senza però riuscire ad aggiornare l'ormai abusata formula narrativa mantenuta fin dagli anni '60: il risultato è un prodotto ben costruito ma vagamente anacronistico. I rampanti anni '80 fanno irruzione attraverso la memorabile presenza della diva pop Grace Jones (femme fatale tra le più riuscite di sempre) e la canzone dei titoli di testa interpretata dai Duran Duran (all'apice del loro successo). A fasi alterne, entusiasma e coinvolge, grazie anche alle suggestive location europee e statunitensi, tra cui spiccano l'ippodromo di Ascot, il castello di Chantilly e la City Hall di San Francisco. Notevoli le sequenze a Parigi e il finale sul dirigibile di Zorin che sorvola il Golden Gate. Eccellenti, come sempre, lo scenografo Peter Lamont e Maurice Binder, autore degli iconici titoli di testa.

3) Solo per i tuoi occhi (1981)



Con il dodicesimo episodio della serie, James Bond torna con i piedi per terra, in tutti i sensi. Dopo la fantascientifica missione nello spazio di due anni prima, il produttore Albert Broccoli si rimette saggiamente sui più consolidati binari di una spy-story classica e, quasi per contrappasso, realizza una pellicola più essenziale, in cui lo sfarzo delle scenografie (dell'ottimo Peter Lamont) e l'impiego degli abituali congegni della sezione Q risultano funzionali a una vicenda appassionante e ben strutturata. Al di là del divertentissimo inseguimento sulla 2CV e del finale nel suggestivo Monastero Aghia Triada a Meteora (dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco nel 1988), la pellicola presenta alcuni momenti poco brillanti, che però non compromettono il buonissimo risultato finale. Il carisma e la classe di un Roger Moore visibilmente divertito regalano più di un momento divertente al film. La bellissima Carole Bouquet interpreta una Bond girl intensa e risoluta, mentre Lynn-Holly Johnson, nei panni della fin troppo sbarazzina Bibi, è al limite della parodia. A causa di un villain poco carismatico e privo di una marcata connotazione, la storia risulta a tratti scontata, però John Glen, montatore e direttore della seconda unità della saga promosso qui a regista, dimostra un piglio solido ed efficace, soprattutto nelle scene di azione. Sarà lui a tenere le redini della serie per tutti gli anni '80, con ottimi risultati. Primo film senza Bernard Lee (M risulta in permesso), scomparso il 16 gennaio 1981. Musiche di Bill Conti. George Lucas e Steven Spielberg, dopo aver accarezzato l'idea di girare un film di 007 con Sean Connery protagonista, resa impossibile per questioni di copyright, realizzarono I predatori dell'arca perduta (1981), primo film di una trilogia (sforzandoci di ignorare ciò che viene dopo) che rende omaggio in più di un'occasione alle gesta dell'agente al servizio segreto di Sua Maestà.

2) Octopussy – Operazione piovra (1983)



All'alba dei 56 anni, Roger Moore dimostra di non aver perso lo smalto e interpreta con garbo e raffinato sense of humour una delle più riuscite pellicole di 007. Sulla base dei racconti Octopussy e The Property of a Lady (contenuti in Octopussy and The Living Daylights, ultimo romanzo di Ian Fleming, pubblicato postumo a due anni dalla sua morte, avvenuta nel 1964), il tredicesimo film della serie brilla per ricchezza di invenzioni (lo spettacolare teaser, gli inseguimenti in India, la rocambolesca sequenza sul treno, il finale ad alta quota), fluidità nello sviluppo narrativo e ineccepibile confezione, grazie al prezioso apporto di Alan Hume (fotografia), John Barry (colonna sonora) e, soprattutto, dello scenografo Peter Lamont, capace di ricreare con perizia gli straordinari set dell'harem di Octopussy (una conturbante Maud Adams), della residenza di Kamal Kahn (Louis Jourdan) e dei vicoli indiani. Impagabile atmosfera da Guerra fredda, tra gerarchi russi deliranti, americani superequipaggiati e inglesi dall'invidiabile aplomb. Nessuna novità di rilievo, ma che qualità. L'uscita dell'apocrifo Mai dire mai nello stesso anno, attesissimo per il ritorno di Sean Connery nei panni di James Bond, ha spinto i produttori a compiere uno sforzo sopra la media. E si vede. La canzone dei titoli di testa All Time High è interpretata da Rita Coolidge.

1) Agente 007 – La spia che mi amava (1977)



Dopo il clamoroso insuccesso del capitolo precedente, Agente 007 – L'uomo dalla pistola d'oro, che rischiava di compromettere il futuro della serie, la Eon Production di “Cubby” Broccoli, grazie a un impegno produttivo senza precedenti, confeziona nel 1977 una delle migliori pellicole di 007. L'accattivante sceneggiatura di Richard Maibaum e Christopher Wood, che per la prima volta non si basa su un romanzo di Ian Fleming, riunisce i tópoi della saga costruendo una storia di fanta-spionaggio in cui convivono azione sfrenata, eleganza figurativa e parentesi ironiche, calate in un frizzante clima “post” Guerra fredda. Alla sua terza prova nei panni di James Bond, Roger Moore modella un protagonista amabilmente gigione, dalla classe sopraffina, perfettamente a suo agio in ogni situazione di pericolo, che entra nel cuore dei fan di tutto il mondo. Il raffinato esotismo delle location (Alpi svizzere, Egitto e una Costa Smeralda di raggiante bellezza) ha contribuito al successo del film, così come le sontuose scenografie di Ken Adam (il rifugio nel Mediterraneo di Stromberg e l'interno della petroliera Liparus, realizzato grazie a un'idea di Anthony Burgess e all'occhio di Stanley Kubrick), capace di mantenere un fil rouge nelle ambientazioni della serie che permette di identificare, attraverso una sapiente cura per il dettaglio, il Bene e il Male. Da antologia il killer Squalo (Jaws nell'originale) dalla forza sovrumana e i denti di acciaio, interpretato da Richard Kiel (2.20 metri), e la Lotus Esprit in grado di andare sott'acqua. Fotografia di Claude Renoir, nipote di Jean. Musiche di Marvin Hamlisch, che strizzano l'occhio alla disco-music anni '70. Nobody Does It Better, come recita la title track di Carly Simon, divenuta una hit internazionale. Tre nomination agli Oscar (scenografia, colonna sonora e canzone originale). La première a Londra avvenne il 7/7/77.

Davide Dubinelli

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