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Totò che visse per sempre: le maschere più belle del Principe della risata
Cosa sarebbe la tradizione comica italiana senza Antonio de Curtis? Quanto ha inciso l'attore napoletano nel cinema popolare nostrano? Quando verrà valorizzato per quello che è e ne verrà riconosciuto lo status di grande interprete? Bistrattato dalla critica benpensante quando ancora in attività, Totò (Napoli, 15 febbraio 1898 – Roma, 15 aprile 1967), diventato oggetto di studio e analisi solo dopo la sua morte (te pareva...), è stato ampiamente rivalutato nel corso dei decenni da quel mondo accademico e professionale che in prima battuta non era riuscito a percepire (per attitudine snob, ovviamente) la sua importanza. «Ma mi faccia il piacere!»,

Quella che è apparsa in maniera cristallina già dagli anni '20, fin da quando mosse i suoi primi passi prima nell'avanspettacolo e poi nel teatro e nella rivista, è stata la sua debordante presa sul grande pubblico, sulla gente comune che sentiva il bisogno di ridere. Ma è con la definitiva affermazione nel mondo del cinema, avvenuta a metà degli anni '40, che la popolarità di Totò esplode letteralmente. Dagli anni '50 i personaggi memorabili non si contano, così come le scene entrate nell'immaginario comune e le battute passate alla storia.

«Non è una cosa facile fare il comico, è la cosa più difficile che esiste, il drammatico è più facile, il comico no; difatti nel mondo gli attori comici si contano sulle dita, mentre di attori drammatici ce ne sono un'infinità. Molta gente sottovaluta il film comico, ma è più difficile far ridere che far piangere».



Dalla commedia di Edoardo Scarpetta, Miseria e nobiltà (1954) è una sinfonia di risate orchestrate da un cast in stato di grazia, capitanato da un Totò inarrestabile, una fucina di lazzi, invenzioni e battute di tale livello da trasformare ogni scena in una lezione di spettacolo. Come dimentacare la celeberrima sequenza degli spaghetti?



Con Siamo uomini o caporali? (1955), Totò e Camillo Mastrocinque traducono su pellicola il fulcro “filosofico” del pensiero dell'attore, espresso nell'autobiografia omonima (e divenuto uno dei suoi tormentoni). È un Totò, questo, che pur non rinunciando alla sua carica effervescente, racconta e mostra, con un'espressività carica di mille sfumature, il volto vessato e perdente dell'uomo qualunque. Uno dei film più sentiti e appassionanti della carriera di Totò, per il materiale autobiografico, per l'audacia del soggetto e l'ambizione a un'interpretazione più sfaccettata.



La banda degli onesti (1956), ovvero un esempio di comicità perfetta grazie alla sceneggiatura di Age e Scarpelli e alla rutilante verve di Totò e Peppino, autentici mattatori in grandissima forma. Il film, procedendo per raffinati bozzetti familiari, fotografa un'Italia “di condominio” che non esiste più, agglomerata intorno a momenti di piccola povertà che non scadono nel dramma facile né sprofondano in una comicità da palcoscenico.



Campione d'incassi del 1956, Totò, Peppino e… la malafemmina è il film comico di Totò per antonomasia. Secondo le testimonianze di molti collaboratori della pellicola, è da considerarsi per buona parte, e ancor più di altri film similari, una creazione originale di Totò e Peppino che hanno stravolto, integrato e ripensato intere sequenze. È il caso della celeberrima dettatura della lettera, vera lezione sui tempi comici, più volte omaggiata, imitata e riproposta anche da istrioni di razza, senza che la copia riuscisse ad avvicinarsi minimamente all'originale. Ma la scena in Piazza del Duomo a Milano non è certo da meno.



Non si tratta di una semplice parodia dei caper movie (sottogenere del thriller in cui una banda compie un grosso colpo criminale), ma di un film epocale. I soliti ignoti (1958) fa parte della storia del cinema di casa nostra, imponendosi come il capostipite della "commedia all'italiana", un nuovo genere cinematografico destinato a estinguersi con la fine degli anni '70. Non ci sono più gli sketch che nascondono una critica sociale, ma è la critica sociale a essere inframmezzata da parentesi divertenti. E il personaggio dell'esperto di casseforti Dante Cruciani, interpretato da Totò, è davvero memorabile.


Con Risate di gioia (1960), Mario Monicelli ha il merito di riunire davanti alla macchina da presa, per la prima e ultima volta, Totò e Anna Magnani, strepitosi mattatori capaci di coniugare ironia e malinconia, incarnando idealmente un vecchio mondo che è destinato a finire nel dimenticatoio, sopraffatto da una società dominata dall'apparenza, cinica e sostanzialmente anaffettiva. Una meraviglia, in cui povertà e disagio sono raccontati in modo scanzonato e divertente.



«Lei con quegli occhi mi spoglia... spogliatoio!». (Totòtruffa'62).



- ...io sono un soldato, non sono un assassino!
- Che cos'è la vita di cento, duecento persone davanti a vittoria di gran Reich, sono come mosche!
- E io non ammazzo nemmeno le mosche. E sa cosa le dico? Che io l'ordine di sparare non lo darò né ora né mai!
- Badate, colonnello... io ho carta bianca!
- E ci si pulisca il culo!
(I due colonnelli, 1962)



Celebre “poesia cinematografica” dedicata alla crisi culturale della sinistra comunista negli anni '60, girata da Pier Paolo Pasolini all'apice della sua libertà creativa, prima delle controverse opere dell'ultimo periodo. Attraverso un uso smodato, benché a tratti di complessa decifrazione, della metafora e del simbolismo, con Uccellacci e uccellini (1966) Pasolini dà vita a una non-commedia con un piede nell'avanguardia (le accelerazioni delle immagini usate non in chiave slapstick), dove viene passata in rassegna l'incapacità della sinistra post-togliattiana di leggere la realtà e cogliere le contraddizioni della società moderna che si stava affermando in Italia. Memorabili Ninetto Davoli e Totò, il quale ha ricevuto una menzione speciale al Festival di Cannes per la sua interpretazione, paragonati efficacemente dal regista a uno zuffoletto e uno stradivario che danno vita a un bel concertino.


Ninetto Davoli, Pier Paolo Pasolini e Totò sul set de La Terra vista dalla Luna, deliziosa fiaba "aliena" che fa parte del film a episodi Le streghe (1967), firmato da Pasolini, Luchino Visconti, Mauro Bolognini, Vittorio De Sica e Franco Rossi.  

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