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Fulci Talks: il documentario sul regista di culto è ora disponibile in streaming
Soprannominato “terrorista dei generi”, Lucio Fulci è stato un uomo di cinema in ogni sua sfaccettatura. Prima dell’esordio dietro la macchina da presa lavora come sceneggiatore firmando l’indimenticabile Un americano a Roma e di fatto inventando il personaggio interpretato da Alberto Sordi (già presente in Un giorno in pretura, anch’esso sceneggiato da Fulci). Il suo primo film da regista è la commedia I ladri: come dichiarerà in seguito, accetta di fare questo film poiché in difficoltà economica e dopo alcune pressioni da parte dello stesso Totò. Nella sua carriera girerà decine di pellicole di ogni genere: giallo, commedia, spaghetti western, fantascienza, thriller e naturalmente horror sono tutti generi che Fulci ha trattato con il suo abile tocco e con profondo rispetto; nonostante fosse un amante del cinema autoriale – in particolare quello italiano – ha sempre lavorato nel genere, un po’ per scelta e un po’ per necessità.



I suoi film non sono mai stati amati dalla critica, anzi spesso ha subito pesanti e immeritate stroncature. Persino il giorno della sua morte non è stato ricordato a sufficienza: è mancato il 13 marzo del 1996, lo stesso giorno di Krzysztof Kieslowski e tutte le attenzioni cinefile andarono al maestro polacco. Solo dopo la morte i suoi film sono stati rivalutati, oggi è infatti considerato un regista di assoluto culto ed è amato e citato da registi come Sam Raimi, Quentin Tarantino e Wes Craven; ad oggi è ricordato principalmente per i suoi horror come Zombi 2, L'aldilà! e Quella villa accanto al cimitero, ma la sua filmografia è ricca di piccole perle. Inoltre, sono stati pubblicati diversi testi sul suo cinema ed anche alcuni documentaristi si sono cimentati nell’approfondire la sua filosofia, mentre nel 2019 è stato distribuito Fulci For Fake diretto da Simone Scafidi ed è uscito da pochissimo Fulci Talks per la regia di Antonietta De Lillo (nelle foto, ndr).



Il film è disponibile dal 10 marzo su Chili ed è un vero e proprio ritratto della vita e del cinema dell’autore romano. «Se Lucio era un terrorista dei generi io sono una terrorista dei ritratti, nel senso che sono una persona assolutamente estrema - ha dichiarato la De Lillo - Per me il cinema è un corpo, come una grande orchestra, dove a volte parlano le immagini e a volte le parole, e altre volte ancora gli assoli. Sono sempre andata controcorrente, ho sempre pensato che una persona che si raccontasse potesse essere un grande film e l'ho fatto con grande passione. Questo lavoro ha richiesto un anno e mezzo di montaggio e di post produzione. Tutto il materiale è stato scelto pezzo per pezzo e messo insieme in modo che ci sia una presentazione, uno svolgimento, dei colpi di scena e delle situazioni emotive, quindi è assolutamente pensato e poi composto con effetti speciali per imbruttire il materiale, per dargli un decor. È una scelta che rivendico. Alcuni mi dicono che si aspettavano le immagini dei film ma secondo me il cinema serve per immaginare, quindi quando si vedono delle cose non si devono sentire e quando si sentono non si devono vedere, in modo che l'altro senso che non è chiamato ad agire sia chiamato a immaginare», ha dichiarato la regista.



Ad aver aiutato nella realizzazione del progetto è stato Marcello Garofalo, critico cinematografico e grande esperto di cinema di genere, che godeva di grande stima da parte dello stesso regista: «Ho incontrato Lucio Fulci la prima volta nel 1993 all'Istituto francese Grenoble di Napoli dov'era intervenuto a un incontro sul cinema noir. Era sempre stato un regista che anche da ragazzo mi aveva molto incuriosito, non solo per il fatto che fosse così bravo a scivolare all'interno dei vari generi cinematografici, cosa oggi ovvia a chiunque conosca il suo cinema, ma a me quello che affascinava tanto è che lui era in una zona di confine tra il regista di genere e il regista/autore e quindi era un unicum perché doveva sempre spostare in qualche modo un pochino più avanti l'asse del visibile, del mostrabile, forse anche perché era un modo di farsi notare, all'interno di una produzione che all'epoca era vastissima. Io avevo assolutamente voglia di chiacchierare con un uomo che aveva dimostrato attraverso i suoi film molta intelligenza, molto humour, molta verve, molta tecnica e molta conoscenza del vero cinema. Gli dedicai una lunghissima intervista che apparve divisa in due parti su SegnoCinema. Da allora iniziò una bellissima amicizia, lui mi chiamava spesso, parlavamo di tutto, perché con lui era possibile parlare di qualsiasi cosa».

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