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Il cinema di Wong Kar-wai: un vento d’oriente capace di farci sognare

Non poteva esserci rassegna migliore per celebrare questo dolce ritorno in uno dei luoghi che noi cinefili maggiormente amiamo: la sala cinematografica. La rassegna Una questione di stile non è solo uno splendido omaggio al cinema di Wong Kar-wai, riproposto in versione restaurata in 4K nei cinema italiani, ma simboleggia anche la voglia di non arrendersi di un settore che, nell’ultimo anno e mezzo, ha vissuto momenti tragici. E visto il grande entusiasmo con cui è stato accolto questo vento d’oriente, possiamo affermare che la passione che noi tutti proviamo per la sala non si è mai attenuata. 

La stella del regista hongkongese (di adozione) più influente degli ultimi 30 anni iniziò a splendere sul finire degli anni ’80, il film in questione è As Tears Goes By (1988). Il regista, con un passato da sceneggiatore, si approccia alla macchina da presa con un film di genere, nello specifico un gangster movie, nonché vero e proprio omaggio a Mean Streats (1973) di Martin Scorsese. Salta subito all’occhio che l’interesse dell’autore è maggiormente orientato verso le venature sentimentali di cui è tratteggiata l’opera. Resta infatti impressa la splendida sequenza d’amore tra i due protagonisti (Andy Lau e Maggie Cheung) accompagnata dalle note di Take My Breathe Away



È con i film successivi che la firma stilistica di Wong Kar-wai acquisisce sempre più riconoscibilità, diventando una vera e propria icona di stile sia in patria che all’estero. I film di Wong racchiudono l’estetica frenetica di MTV, mischiandola con la profonda attenzione verso i rapporti relazionali tipica della Nouvelle Vague; l’amalgama di questi elementi ha generato uno stile unico capace di attirare l’attenzione di pubblico e critica internazionali.  

La splendida estetica che contraddistingue i film di Wong Kar-wai è frutto di una fortunata collaborazione con il suo storico direttore della fotografia Christopher Doyle. Le sue pellicole sono permeate da un’atmosfera quasi da sogno, dalle cui nebulose nebbie spiccano i colori splendenti delle luci al neon di una città che non dorme mai. A emergere da questa foschia è proprio Hong Kong, metropoli frenetica e caotica in cui si muovono anime solitarie, alla disperata ricerca di un contatto umano. Jump cut, freeze frame e step printing sono gli stratagemmi formali tramite i quali il regista riesce a veicolarci la disperata solitudine di individui smarriti nel caos di una metropoli moderna.

Nel cinema di questo maestro contemporaneo possiamo scorgere anche una vena politica, forse maggiormente evidente in 2046 (2004), titolo che riporta alla mente la fatidica scadenza del 2047: anno in cui Hong Kong tornerà sotto la sovranità del governo cinese. I personaggi si fanno così riflesso delle incertezze di un intero paese. 



Opere estremamente sensuali e, al contempo, capaci di trasmettere con eleganza la profonda (e forse irreversibile) solitudine umana. Wong Kar-wai è affascinato dalla complessità dell’amore; nelle sue opere ritroviamo la languorosa disperazione derivata da un sentimento non corrisposto e, ancor peggio, lo struggente rimpianto di aver incrociato la persona giusta nel momento sbagliato. Sono forse soltanto i ricordi, l’unico rifugio in cui ritrovare un certo legame con una persona, ma questi possono rivelarsi sia delizia sia dolente condanna. E così, disperatamente soli mentre vaghiamo senza una meta, trascinati da un fiume di gente, il più tenero e sincero momento di intimità può forse venire da sfiorare uno sconosciuto per la strada.  





Simone Manciulli

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