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L'inverno del commissario Ricciardi: Il senso del dolore, la condanna del sangue

Luigi Ricciardi è un commissario della Mobile di Napoli che deve convivere con una maledizione: lui sente le voci dei morti. Se qualcuno muore di morte violenta, lui è condannato a sentire (e vedere) il suo fantasma ripetere ossessivamente le ultime parole dette prima di spirare, almeno finché non arriva alla verità. In questo modo, la sua vita deve per forza ruotare intorno al suo lavoro, ritenendo impossibile farsi una famiglia e rintanandosi nella sua solitudine.

Nasce da un libro di Maurizio De Giovanni Il commissario Ricciardi, poi passato sulla carta stampata come fumetto della Sergio Bonelli Editore e adesso approdato anche sullo schermo: mantenendo sempre intatta una carica emotiva incredibile.

Perché se la detection è alla base della storia, il quid pluris della creatura di De Giovanni è senza dubbio l’affascinante e malinconico universo esistenziale nel quale sono ambientate le storie del personaggio: un mondo dove anche una situazione abusata come la comunicazione con le anime dei defunti è vista da una declinazione differente, quasi a latere, per raccontare -tanto- altro ed esplorare i mondi nascosti all’interno dell’anima. 

I racconti lunghi di De Giovanni sono scanditi dall’alternanza delle stagioni: e non fa eccezione IL SENSO DEL DOLORE- L’INVERNO DEL COMMISSARIO RICCIARDI, dove un cielo grigio cala su una Napoli difficilmente vista così viva e vera, colorata dai suoi umori e rumori, affollata da personaggi grotteschi e sopra le righe ma sempre tridimensionali nella dimensione del dolore privato. 

La divisione cronologica in stagioni dà poi quella coesione d’ambienti che rende le immagini quasi sinestetiche: come l’INVERNO è cupo, soffocante, la PRIMAVERA gode di un soffio di vento che solleva le tende e riscopre i sorrisi, in un risveglio dell’anima soffuso con i colori pastello degli interni

La scrittura di De Giovanni (e la regia di Alessandro D’Alatri) usano i generi -dal poliziesco al melò al thriller, passando per l’horror- senza restarne ingabbiati, anzi mantenendosi alla giusta distanza che permette di non restare ingabbiati in un canone narrativo ma facendo sì che in questo modo la storia prenda vita. Non è quindi un difetto se l’elemento fantasmatico risulta troppo caricaturale: nella messa in scena, l’impianto è forzatamente teatrale, e la verosimiglianza emotiva viene raggiunta solo trattando i generi con delle ellissi drammaturgiche. Sorreggendosi anche grazie a location perfette, inquadrate con la luce giusta: il Teatro San Carlo di Napoli, ad esempio (luogo del delitto della prima puntata) restituisce appieno un’aura misteriosa e affascinante che riverbera sulla città intorno e sul tono della storia, mentre racconta una città e un’anima in chiaroscuro. 

GianLorenzo Franzì

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