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L’antinomia Donna di Dolan

È il manzo alla bourguignonne di Grace. Sono il whisky e il caffè, il sugo troppo diluito della mamma Susan Sarandon che fanno intendere che lì, fra i capelli color ruggine e gli occhi incavati e vuoti c’è il groviglio muliebre di Dolan.

La mia vita con John F. Donovan è una lode alla femminilità. Sono quattro le donne attorno alle quali ruota tutto il film, non è costruito intorno al divo inquieto e tediato che interpreta John F. Donovan, ma tutto gravita attorno alle imperatrici affaticate di Xavier Dolan.

Grace è avvallata nella disillusione. È una madre che si fa piccola e poi frana nella tinta bronzea che la fascia dappertutto. Nel crepuscolo della cena, nella sua casa d’ambra. C’è un momento in cui la maschera si spacca vero? Sì, quella di Grace Donovan si è rotta. Eppure ci prova, lotta per farsi amare un poco, si preoccupa del sale, chiede se sulla carne ce n’è abbastanza. Combatte a modo suo, come l’altra mamma – Natalie Portman - di questa storia sconsolata e lo stesso radiosa. Evasa dal fallimento, immersa in un altro. Tutto sommato composta, diligente, vigile. Eppure annaspa dietro a un figlio troppo intelligente, troppo profondo. Snervante. E nella corrispondenza scritta fra il figlio grande della Sarandon e quello piccolo della Portman, s’intrecciano le vite complesse di due figli sì, ma anche di due madri. Entrambe indebolite. Sfibrate dietro il ruolo, dentro l’aurea di cosa erano o potevano essere. Con i capelli mogano e lo sguardo vinto. 

Per tutta la narrazione si affaccia l’antinomia. La madre determinata e quella piegata, la donna forte come l’agente Barbara del divo Donovan – Kathy Bates – che sa quando restare e quando andare via. Che ha ben chiara la sua scelta di vita, che sembra arida, spoglia di sentimenti, invece sposa quello in cui crede prima di tutto. Poi l’altra donna inflessibile, la giornalista Audrey – Thandie Newton – scettica, intirizzita, prevenuta, tuttavia anche lei sfaccettata. Prima gelida, poi morbida. 

Non è questa la vita? Non è forse una dualità continua d’impulsi?

“Le cose sono semplici. Le persone hanno un’inspiegabile propensione a renderle compliate”, dice Michael Gambon rivolto a Donovan come un’apparizione in una tavola calda che si fa urna ed epilogo. Pare un chiaroveggente verso la fine, quando dice che il modo di rimediare agli errori sono solo affari tuoi e del buon Dio. Lo sanno bene queste donne imperfette di Dolan, queste donne difettose, umane e giuste. 

Hilary Tiscione

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