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Roman Polanski – Geometrie sottese al fiammeggiante caos dell'esistenza

«Io non voglio che lo spettatore pensi in questo o quest'altro modo, voglio che non sia sicuro di niente. È questa la cosa più inquietante: l'incertezza».


Cristallina dichiarazione d'intenti, quella di Roman Polanski, autore di un cinema ambiguo e allucinatorio, perennemente in bilico tra disperazione e inserti grotteschi, disillusione e derive oniriche, incubo e realtà. L'orrore impattante dei retaggi di stampo religioso (Repulsion, Rosemary's Baby), la tragicommedia (Che?, Carnage), l'attitudine nei confronti del soprannaturale (L'inquilino del terzo piano, La nona porta), l'omaggio al giallo di classica memoria (Chinatown, Frantic), l'indagine storica sempre tesa a una rievocazione dei vissuti personali (Il pianista, L'ufficiale e la spia): Polanski ha sempre spaziato tra vari generi e ispirazioni, dando vita a una poetica profondamente personale legata a doppio filo al disagio, il disagio da parte dello spettatore di visionare un oggetto filmico quasi alieno.


Vocazione ambigua per definizione, ma che non manca certo di precisione formale: a prima vista estremamente istintivo e viscerale, il cinema polanskiano rivela una struttura geometrica utile a bilanciare la ribollente materia di base; e, al netto di una predilezione per il gioco a quattro (basti pensare alle quadrangolazioni tra i protagonisti di Luna di fiele e Carnage), ciò che prevale nell'iter artistico del regista polacco è la triangolarità.



Caratteristica che emerge fin dal suo primo lungometraggio, Il coltello nell'acqua (1962), storia di una coppia benestante che si imbatte in un autostoppista finendo per trascorrere con lui una giornata in barca. Una storia privata e priva di patriottismo (in epoca di disgelo sovietico non concentrarsi sulla guerra e le sorti del proprio paese era assimilabile a un insulto, e infatti il film venne accusato di individualismo e deviazonismo filoborghese), che parte da temi sociali (crisi della coppia borghese, contestazione giovanile) per poi deviare sulla psicologia: in questo triangolo improvvisato l'outsider polanskiano inserito in un ambiente ostile (altro feticcio autoriale) si inserisce nelle dinamiche di un rapporto logoro. La struttura a tre si trasforma in metafora tensiva (la figura femminile frapposta, anche visivamente, tra i due uomini in competizione), fino a divenire lotta serrata che sfocia in tragedia.





Altro triangolo da antologia è quello di Cul-de-sac (1966), letteralmente "vicolo cieco": un apologo sul non-senso della vita e sulla grottesca follia che permea le relazioni tra esseri umani. Polanski, con sguardo da entomologo e influenzato dalle lezioni di Samuel Beckett e Harold Pinter, mette in scena una schiera di personaggi meschini e ipocriti, tratteggiandoli come insetti da deformare e caricaturizzare. In questo contesto sghembo e paradossale l'arrivo di un rapinatore in fuga sconvolge il già precario equilibrio di una coppia decisamente male assortita: lei giovane, vivace, civettuola e fedigrafa, lui attempato, nevrotico, impotente e ambiguo. Ancora una volta un elemento maschile, rustico e refrattario a qualunque tipo di ipocrisia borghese, si inserisce con brutalità in un ambiente affettato, scardinando ogni regola imposta: il risultato è un dirompente triangolo nel quale la donna (di nuovo) funge da detonatore del caos, frapponendosi tra i due uomini (di nuovo) anche visivamente e ostacolando un eventuale compromesso risolutore. Dalla commedia alla farsa, dalla farsa alla tragedia, quasi per caso, senza una reale motivazione; un cul-de-sac.





1994, l'anno di La morte e la fanciulla, adattamento dall'omonima pièce di Ariel Dorfman: una casa sul mare (ritorna l'isolamento causato dall'acqua, quasi a creare un mondo parallelo senza imposizioni sociali), una donna che riconosce (o crede di riconoscere: Polanski gioca sull'ambiguità, distanziandosi dal testo di partenza) il suo torturatore del passato, un marito che sembra annullarsi, spettatore impotente di un gioco al massacro. Un altro triangolo, formale e strutturale, in cui la costante tensione fa esplodere lo scontro tra i personaggi con un ribaltamento tanto inevitabile quanto disturbante per cui le vittime diventano carnefici.


Geometrie sottese al fiammeggiante caos dell'esistenza.


Sara Barbieri

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