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I migliori film di Sidney Lumet: la nostra top 10

«Il regista ha moltissimo potere. Ma i risultati sono migliori quando non lo deve usare»

Cinquanta memorabili anni di carriera dietro la macchina da presa per uno dei protagonisti assoluti della storia del cinema americano del secondo Novecento: Sidney Lumet debutta a quattro anni all’Yiddish Art Theatre di New York e crescendo diventa attore a Broadway. Continua a inseguire il sogno della recitazione iscrivendosi all’Actor’s Studio, ma è la regia per il cinema a stagliarsi nel suo destino. La sua opera prima, La parola ai giurati, vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino e viene nominata all’Oscar per la miglior regia. Temi portanti del suo cinema, che dimostra fin da subito tutta la sua forza con un’operazione molto serrata, sono la forte carica civile e l’atto d’accusa all’assenza di moralità nel mondo della giustizia e della polizia. Lumet nasceva il 25 giugno 1924: un omaggio con la top 10 dei suoi migliori film!


 
Sidney Lumet decide di occuparsi del pericolo atomico proprio in un periodo in cui la minaccia era molto sentita, e lo fa dando vita a un solido dramma scevro da azione e ambientato nelle buie stanze del potere. Luoghi in cui vengono prese decisioni difficili e dove, soprattutto, vi è un nuovo protagonista a discapito dell'uomo: la macchina. Freddi e alle volte malfunzionanti congegni che rischiano di far scomparire il pianeta. In totale opposizione di toni dal film di Kubrick dello stesso anno (Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba),A prova di errore giunge alle medesime catastrofiche conclusioni generando nel finale un monito di sicuro impatto. Solido e notevole, è un film privo di pecche e forte di spunti importanti.


9) Il principe della città (1981)

Thriller-drama ispirato alla storia vera di Bob Leuci, che dovette testimoniare di fronte alla commissione Knapp e tradire molti dei suoi colleghi. Otto anni dopo Serpico (1973), Lumet torna a indagare il marcio di una società in caduta libera, tratteggiando una spietata analisi sulle contraddizioni del potere mediante un'affilata tensione da inchiesta e un atteggiamento documentaristico che non diventa mai fredda elencazione storica (esemplare, in tal senso, il piano-sequenza sotto la pioggia, che mostra l'incontro tra Ciello e un gruppo di drogati). Il regista, come suo solito, non sceglie strade facili, non fornisce risposte rassicuranti e rivela con lo scorrere dei minuti l'ambiguità del protagonista, costruendo una guerriglia spietata tra polizia e criminalità.


8) Il verdetto (1982)

Sidney Lumet mette in scena l'omonimo romanzo di Barry Reed, sceneggiato da David Mamet, realizzando un solidissimo dramma processuale che riesce a evitare i classici cliché del genere, preferendo concentrarsi sui demoni dell'avvocato protagonista. Il regista gioca su un duplice piano: la suspense della battaglia legale, classico e rinnovato esempio di Davide contro Golia, e l'indagine serrata su un uomo giunto a un bivio, non solo professionale ma anche, e soprattutto, esistenziale. Un apologo sulla giustizia e sulle contrapposizioni tra dogmi e realtà, screziato da chiaroscuri prepotenti che rischiano continuamente di cancellare la possibilità di un equilibrio moralmente sicuro. 


7) La collina del disonore (1965)

Da una sceneggiatura di Ray Rigby (cui andò il premio al Festival di Cannes del 1965), La collina del disonore è il film grazie al quale Sean Connery, dopo un esordio puramente commerciale, inizia a dimostrare le sue raffinate doti interpretative. Si tratta di un potente atto d'accusa nei confronti del militarismo, raccontato con la stessa durezza tratteggiata nel sergente, che non arretra mai di fronte a nulla. Munito di affilatissimo spunto polemico e di uno stile asciutto e funzionale, Sidney Lumet porta la storia e il destino dei suoi personaggi sino alle estreme conseguenze, rivelando la natura inarrestabile e circolare della violenza e della sopraffazione.


6) Onora il padre e la madre (2007)

Con Onora il padre e la madre Lumet dimostra, alla veneranda età di 83 anni, di voler sperimentare e osare (in digitale) come faceva a inizio carriera. E lo fa con un noir appositamente frammentario, in cui il montaggio incastra tempi e prospettive diverse sprofondando nel buco nero della torbida relazione familiare. Con un occhio al teatro elisabettiano, in particolare ai suoi sanguinari intrighi, il regista porta le azioni degli uomini alle conseguenze estreme: lacrime e commozione vengono frenate, si predilige l'affondo rapido che nel finale si gonfia in una tensione parossistica, eppure credibile perché nata dal degenerare delle psicologie.


5) Serpico (1973)

Tratto dalla storia vera dell'omonimo poliziotto italo-americano, Serpico non è un semplice dramma biografico che racconta le gesta eroiche di un moderno Don Chisciotte della Mancia, ma è una rappresentazione ontologica profonda, un'analisi di un animo osteggiato sia dalla società che, infine, da sé stesso. Lumet dirige la potente sceneggiatura scritta a quattro mani da Waldo Salt e Norman Wexler, e regala allo spettatore un Al Pacino in una performance tra le migliori in carriera. Un protagonista caricato nel fisico e nello spirito, capace di portare sullo schermo un personaggio dignitoso, forse troppo, che con il passare dei minuti monopolizza la scena.


4) Assassinio sull'Orient Express (1974)

Giallo di grande raffinatezza, tratto dall'omonimo capolavoro di Agatha Christie e messo in scena da Sidney Lumet con un ritmo e un'abilità invidiabili, che conservano intatto il piacere ludico-intellettuale del romanzo. Una magistrale direzione d'attori, scevra da smanie di protagonismo, enfatizzata da una sceneggiatura (firmata da Paul Dehn) che sfida e coinvolge lo spettatore, presentando tutti gli indizi in gioco per svelare la soluzione dell'enigma in anticipo su colui che indaga. Lumet dimostra di saper superare limiti oggettivi (gli stretti interstizi dei vagoni, non certo adatti per riprese di ampio respiro) e coglie l'occasione per puntare su primi piani indagatori e mistificatori, esaltando al tempo gli interni (corridoi e scompartimenti chiusi) al fine di evocare la suspense.


3) Quinto potere (1976)

Tra i titoli imprescindibili della carriera di Sidney Lumet, Quinto potere è un violento e ficcante atto d'accusa ai media, in particolare alla loro capacità di deformare la realtà a piacimento. Il protagonista è l'incarnazione di questa satira portata avanti con toni accesi, un burattino dal destino già segnato, capace però di mettere a nudo le contraddizioni (e persino i risvolti futuri) non solo di un mezzo, ma di tutta la società. L'operazione ha un carattere profetico capace di resistere al tempo, in cui i personaggi sono strumento per un'indagine sull'uomo contemporaneo e sul suo rapporto con la realtà e la comunità. Quattro Oscar: entrambi gli attori protagonisti (Peter Finch e Faye Dunaway), attrice non protagonista (Beatrice Straight) e miglior sceneggiatura originale.


2) La parola ai giurati (1957)

L'esordio al cinema di Lumet, dopo anni di palestra televisiva, prende spunto dal piccolo schermo: un teledramma andato in onda nel 1954 scritto da Reginald Rose (sceneggiatore e coproduttore della pellicola). La trasposizione per il grande schermo ne riporta fedelmente l'unità di spazio, ed è proprio nell'atmosfera claustrofobica di una stanza chiusa che emergono evidentissime le doti del giovane autore americano. Lumet genera tensione giocando sui piani, sull'incrociarsi di sguardi e opinioni di uomini identificati soltanto con dei numeri, eppure dotati di una prepotente ricchezza psicologica, lasciata emergere soprattutto dai loro atteggiamenti e dal mutare delle loro opinioni nel corso della storia. Un grande esempio di cinema civile da camera, in cui il dramma umano si unisce magnificamente alla suspence. Vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino.


1) Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975)

Lumet mescola le carte (sia sul piano morale, sia su quello di genere) ragionando fin da subito sul rapporto tra singolo e comunità, sull'invasione dello spazio privato da parte delle autorità. Un heist-movie che diventa presto film politico, intrecciandosi con quello sentimentale e raccontando con sublime avanguardia l'amore tra due uomini, anche grazie alle prove di uno strepitoso Pacino e di Chris Sarandon. Se inizialmente la caratterizzazione dei rapinatori ne riporta un'immagine da eroi, nel corso della pellicola il carattere si modifica davanti allo spettatore, permettendo a quest'ultimo di scoprire un intero spettro emotivo al punto da impedirgli la più totale identificazione o repulsione. Dopo Serpico (1973), Lumet lavora ancora sull'ambiguità dell'animo umano: Sonny (e assieme a lui il regista) arringa la folla e si presenta davanti a un pubblico, anche televisivo (anticipazione del vampirismo di Quinto potere del 1976), rintracciando nella polis non solo i luoghi della città ma anche i cittadini che la vivono, indagando conflitti e fallimenti per raccontare la tragedia e lo smarrimento di un Paese attraverso le incertezze dei singoli. Oscar per la miglior sceneggiatura originale.

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